Meglio di un romanzo: Quell’ultimo sentiero

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4 Dicembre 2020

L’introduzione del reportage di Beatrice Spazzali, scelto nel 2020 dalle giurie dei pitching di Meglio di un romanzo

Nella notte tra l’11e il 12 novembre 1973, sei giovani africani passarono il confine nella Val Rosandra, un canyon che spacca la roccia del Carso e risale verso le colline. Faceva insolitamente freddo quell’autunno e la temperatura era scesa a cinque gradi. Di quei sei giovani, quattro morirono di freddo e di fame, i loro corpi furono trovati dagli abitanti del posto e furono seppelliti nel cimitero di S. Antonio in Bosco. I funerali furono a spese del comune e ogni anno la loro storia viene ricordata nell’anniversario della loro morte.

Le cronache locali del tempo raccontano che erano partiti dal Mali e dalla Mauritania. Con un volo aereo avevano raggiunto la città di Spalato per poi proseguire in autobus fino a Fiume. Da qui in poi non si sa bene chi li accompagnò verso il confine con l’Italia. Si sa invece che la loro speranza era di raggiungere la Francia, ma si trovavano appena dall’altra parte dell’Europa.

Quella tragedia impressionò notevolmente la popolazione dei piccoli paesi, che partecipò ai funerali. La stampa ne parlò un po’ e poi calò il silenzio, perché quel fatto sembrava estraneo agli avvenimenti del tempo, quasi come un incidente. Ma non era così.

Quarantasette anni dopo, la Val Rosandra è ancora la porta della rotta balcanica sull’Europa occidentale e gli stessi sentieri meta domenicale di passeggiate in mezzo alla natura sono attraversati da decine e decine di profughi, che silenziosamente entrano in Italia.