Un viaggio virtuale nella Colombia che resiste. Ogni episodio darà voce a uno dei municipi de Los Montes de Maria, in cui i sopravvissuti al logorante conflitto parlano di sé, dei loro talenti, della loro resilienza. Video, foto e audio cercheranno di tramettere l’immensa accoglienza della gente, tra scene di vita quotidiana, emergerà quel lato della storia poco raccontato, quello delle “vittime” che non si arrendono ai ricordi di dolore.
Capitolo 6. Da Chalan a Maria la Baja: ultima tappa a Los Montes de Maria, nella Colombia che resiste
La generazione della pace di Chalán
Siamo coetanei, loro però hanno già vissuto l’inferno. Hanno lottato contro stereotipi che li descrivevano come guerrilleros di un paesino famoso per una bomba esplosa con un asino. Con gli spari a pochi passi da casa, gli scontri tra attori armati all’ordine del giorno, la propaganda della FARC che recluta. Adesso respirano un vento di pace che sfiora il loro animo sensibile, lo cura e lo sana. Non è abbastanza perché da qui inizia la salita per costruire la pace.
Lili mi porta sulle colline, da lì si vede tutto Chalán, conosce a memoria ogni profilo, ogni percorso. E tra quella natura che ha dovuto imparare a lasciar andare il dolore. Controlla bene il tono della voce, è tranquilla non si lascia rompere dal pianto. Non c’è finzione ma voglia di raccontarsi e liberarsi.
Racconta dei tempi in cui le molte lacrime e la tristezza si mescolavano all’allegria e all’unione che si respirava in casa. Si sentiva sicura solo tra le braccia della sua famiglia con cui ha condiviso momenti strazianti per la perdita della sorella minore.
Un giorno la videro passare per il paesino, la madre corse ad abbracciarla e a dirle ti costituirsi se un giorno si fosse trovata nel mezzo di un combattimento.
C’è una foto appesa in una stanza vuota, adornata solo dai quadri dipinti dal fratello, sembra Liliana ma non è lei. Identiche come due gocce d’acqua, due sorelle separate dalla propaganda. L’assenza sa essere così presente in quella sala che sembra quasi avere una voce da un eco infinito. Mentre il padre sistema le gabbiette per i pappagalli, la madre mi serve un tinto caldo. Nessuno ha perso la gentilezza né il sorriso.
La guerra ha insegnato tanto, a perdonare, resistere e liberarsi. Lili non è mai andata via da Chalán, portando alto il nome con orgoglio, sfidando tutti gli stereotipi, etichette e interrogatori estenuanti.
“I paramilitari ci minacciavano perche eravamo guerrilleros che ci bruciavano vivi. Ha passato mesi vivendo dentro il monte perché la vita era ormai impossibile nel paese. Gli uomini con il machete facevano a turni per proteggere tutti durante la notte”.
Senza nessun tipo di appoggio dalle istituzioni, hanno resistito mentre familiari e amici morivano.
Quello che abbonda qui, dice, è forza di volontà. E con la stessa determinazione Lili si impegna per i giovani della sua comunità, affinché abbiano un futuro libero dalla droga. È una ragazza madre preoccupata per il futuro del figlio. Trabocca gentilezza e forza da ogni sua parola, dai suoi sguardi che seppur segnati dai lucidi occhi neri, accennano sorrisi di libertà.
Per mesi racconta, Chalán ha vissuto senza autorità. Solo con la morte del prete, figura visibile e riconosciuta, si decisero a tornare. E lì inizio una nuova tappa di violenza. Si ritrovarono a fare da scudo umano tra gruppi armati ed esercito, tra la collina sopra sua casa e il centro del paesino.
Il giorno in cui i guerrilleros abbandonarono la zona, Lili respirò finalmente fino in fondo, libera dall’ansia, libera come un uccellino seppur senz’ali. Pensò che uniti potevano farcela, potevano ricostruire ripartendo dal bene comune.
È un momento di speranza in cui Lili sente di dare un nuovo volto a Los Montes, quello di un posto che vuole rinascere, dove si respira una brezza fresca, un vento nuovo.
Jesús y Rocio
Due cugini seduti che guardano il paesino di Chalán. In una collina, che tanti spari hanno sentito, adesso si sente solo il silenzio e il volo degli uccelli. Le voci sono delicate, timide, trattengono emozioni e raccontano storie. A Jesús piace dipingere, ha riempito la casa di murales e dipinti. Dopo aver intrapreso gli studi in seminario, ha incontrato il suo grande amore per il quale vorrebbe lasciar tutto: la filosofia. Studia a periodi alterni, solo quando ha i soldi per poter pagare il semestre, altrimenti resta a Chalán. Occupa il tempo scrivendo e immaginando un futuro migliore, disegnato da giovani che non si arrendono.
“Quello che do é quello che so e che sono, dobbiamo aiutare i giovani affinché abbiamo un senso di appartenenza e sappiano ciò che vogliono. Io per quello studio filosofia, per aprire la mente, per dare l’esempio e mostrare che qui si può lottare, si può cambiare, possiamo essere migliori”.
Insieme alla cugina Rocio e alla sorella Lili, ha organizzato una rete di giovani che ha convocato tantissimi e ha spazzato via la loro indifferenza. L’esperienza ha finito per cambiare loro stessi e ridare loro speranza.
A un certo punto, lo sguardo dolce e la voce malinconica riportano a quel tempo di violenza e di resistenza. Questa parola le sembra poco per definire ciò che la famiglia ha vissuto e si meraviglia nel vedere che oggi stiano tutti bene che gli incubi del passato non li perseguitano più. “Siamo ancora in piedi, pronti a mettere in atto alternative, se abbiamo passato la guerra, nient’altro potrà fermarci”.
Confessa che ciò che l’ha aiutata a resistere è stato l’amore dei suoi cari e che non sono mancati episodi che l’hanno segnata per sempre.
“Desidero che Chalán torni come prima perché questo è un nido d’amore dove nasce tutto, noi siamo gli agricoltori, quelli che coltivano la vita”.
LUZ NELLY
E poi arriva lei, femmina come la vita, come la speranza, come la luce. Si chiama Luz Nelly, mi accoglie con un’aria sbarazzina da 15enne, in stile vagamente contadino, con jeans, camicia a quadri e cappello di paglia. Sembra uscita da un film dal sapore nostalgico e mi racconta una delle storie più toccanti sul conflitto armato. Una storia montemariana di lotta, esistenze e resistenze.
Non sembrano lontani i giorni in cui Luz, maestra di una piccola scuola elementare nel cuore dei monti, a Matuya, in alto superando Maria la Baja, doveva litigare al mattino con forze armate che le impedivano di svolgere le lezioni.
I piccoli studenti la rassicuravano, mentre gli scontri a fuoco tra paramilitari e guerrilleros avvenivano sopra le loro teste, sopra le aule, sopra la loro voglia di avere una vita normale.
Erano loro che le davano la forza di reagire, di gridare i propri diritti di fronte a quegli uomini e a quelle donne che avevano scelto la via della violenza.
Cosi Luz, un giorno decise di dire basta, che dovevano andare via da quelle mura, lei e i suoi piccoli studenti, che di piccolo avevano solo la statura.
Dopo varie richieste, sopralluoghi, pensieri, riflessioni, decise con un gruppo di genitori di comprare un pezzo di terra un po’ più in là, più lontano dagli scontri ma sempre vicino agli abitanti.
Con voce mistica e sguardo ispirato, Luz mi ricordò tutti i dettagli di quel giorno, il giorno in cui vide quel pezzo di terra che le sembrò perfetto per costruire una nuova scuola.
Suona come pure follia, in Colombia, in tempo di conflitto, mettersi in testa che si possa comprare una terra e montarci su un posto per studiare.
Ma questa è la terra del realismo magico, dove chi crede, chi resiste, trasforma la realtà in magia.
Oggi Luz, insegna con altri maestri, in una scuola costruita a pezzettini, un pezzo loro, un pezzo il ministero, dove mancano ancora tante cose. A volte l’aula può essere un pezzetto d’erba all’ombra di un albero.
Ma qui a Matuya, la speranza e la passione sembrano non sparire mai. Sono eterni nel sorriso di Luz, nella sua vita che costruisce come un puzzle, che tira avanti da madre single con la grinta di un esercito.
Un esercito di stimoli vitali.