21 Dicembre 2018
In Libano meridionale sale la tensione con Israele: un’analisi
Naqura, Libano del Sud- Il 4 dicembre scorso Israele ha lanciato l’operazione ‘Northern Shield, per distruggere i tunnel di Hezbollah, il movimento sciita libanese filo iraniano, che dal territorio libanese conducevano all’interno dello stato d’Israele.
Secondo fonti militari israeliane i tunnel non erano ancora operativi e non presentavano un ‘pericolo imminente’. Tuttavia l’operazione, condotta in territorio israeliano, ha riportato l’attenzione mediatica sui delicati equilibri e rapporti tra i due paesi, Libano ed Israele, ufficialmente ancora in guerra e trai quali vige un cessate il fuoco.
In questo contesto geopolitico, lungo la linea di demarcazione tra i due paesi, la Linea Blu, opera la Forza di Interposizione in Libano delle Nazioni Unite (UNIFIL), il cui mandato, creato nel 1978 con le risoluzioni 425 e 426 del Consiglio di Sicurezza della Nazioni Unite, è stato ampliato in seguito al conflitto con Israele del 2006 (risoluzione 1701). UNIFIL tra le sue molteplici funzioni è impegnata nel regolare pattugliamento della Linea Blu, dove nel corso degli ultimi mesi, in territorio israeliano, è in atto la costruzione di un muro alto 9 metri lungo tutta la linea di demarcazione.
Intervistato in Libano per Q Code Magazine, il capo missione e force commander a guida di UNIFIL dal 7 agosto, il Generale Stefano Del Col, spiega che “questa risoluzione ha cambiato totalmente Unifil”. Tra questi cambiamenti, è stato introdotto lo strumento dell’incontro tripartito: unico luogo fisico, una casa vicino alla Linea Blu, dove israeliani e libanesi tramite gli auspici di Unifil e del suo head of mission e force commander, dialogano tra di loro. “Si tratta di incontri tecnici volti ad abbassare le tensioni, anche tramite accuse reciproche. Si tratta d’incontri regolari, che avvengono di norma ogni 6 o 7 settimane e che rimangono del tutto confidenziali. Tutto quello che viene discusso all’incontro tripartito rimane lí, non viene reso pubblico” sottolinea Del Col.
Anche la struttura, una casa al confine, dove avviene l’incontro è tenuta lontana dai media, non vi si può avvicinare, né scattare foto neppure dall’esterno.
Dati i delicati equilibri geopolitici tra i due stati, è utile analizzare la situazione interna dei due paesi, per capire se vi sia un reale interesse, e quindi pericolo, di un nuovo conflitto. La situazione economica e politica in Libano continua ad essere instabile, nonostante l’elezione del presidente Michel Aoun a guida del paese nell’ottobre del 2016.
L’analista e giornalista libanese Kareem Chehayeb, contattato da Q Code Magazine spiega che “quello che rende questo ‘incidente’ particolare, rispetto a scontri armati ma isolati del passato, è il fatto che adesso sia in atto una vera e propria campagna dell’IDF. Negli ultimi anni si è assistito ad un incremento della retorica del conflitto da entrambe le parti, sia da parte di Hezbollah che da parte del governo israeliano. In particolar modo in seguito proprio all’elezione di Michel Aoun come presidente, alleato di Hezbollah. Esponenti della destra israeliana hanno dichiarato che il governo libanese e Hezbollah sarebbero ormai la stessa cosa”. Tuttavia, per lo meno per il versante libanese, “il governo libanese, incluso gli alleati del partito di Dio, sono occupati nel tentativo di attirare investimenti stranieri in Libano per superare il difficile impasse economico del paese. Il primo ministro Saad Hariri è impegnato in numerosi world tours al fine di attirare investimenti esteri nel paese” sostiene l’analista.
Proprio per questo motivo “il governo libanese, nonostante la retorica di scontri verbali trai gli opposti schieramenti, vuole promuovere la sua immagine come un governo dell’intesa, per incoraggiare gli investimenti esteri”.
Per quanto riguarda Hezbollah, i cui “sforzi bellici in Siria l’hanno tenuta fortemente impegnata dal punto di vista militare, sarebbe complicato prendere parte ad un conflitto su un altro fronte in questo momento” conclude Chehayeb.
Sulle posizioni del partito di Dio, l’analista Weddady contattato da Q Code Magazine, aggiunge che “Hezbollah, come parte del governo libanese, avrebbe ogni interesse a non essere ritenuto dai suoi oppositori come il solo responsabile di un nuovo conflitto con Israele. E la presenza dei tunnel, confermata da UNIFIL in un sopralluogo tecnico il 6 dicembre, sarebbe uno smacco per Hezbollah che ha ripetutamente dichiarato che nel caso di un conflitto con Israele, ne avrebbe occupato il territorio” conclude Weddady. Entrambe gli esperti ritengono che per il Libano non ci sia alcun interesse a entrare in un conflitto con Israele al momento.
Sul fronte israeliano la situazione interna del paese, come spiega Chehayeb, vi sono numerose ragioni che farebbero pensare che non ci sia un vero interesse ad entrare in conflitto. A cominciare da “i problemi interni con la popolazione palestinese; la controversa legge sullo stato nazione ebraica e l’interesse del paese a mantenere buone relazioni con il governo della federazione russa per assicurarsi che i suoi alleati, attori non statali del governo siriano, stiano lontano dal Golan.” Il tempismo dell’operazione di smantellamento dei tunnel, per Weddady “presenta un’opportunità politica utile al momento per il Primo Ministro israeliano, Benjamin Netanyahu, attualmente sotto investigazione per corruzione e frode. Senza arrivare ad un vero conflitto con il Libano. Sarebbe questo il motivo della tempistica dell’operazione”.
Per quanto concerne invece il reale apporto che può dare UNIFIL nel prevenire un potenziale conflitto tra le parti é importante ricordare come sostiene Weddady che “l’utilità di UNIFIL è fortemente legata alle reali volontà politiche dei due paesi, Israele e Libano”.
Significativo, almeno per il momento, è il fatto che le operazioni per distruggere i tunnel siano state condotte esclusivamente in territorio israeliano: il mancato confronto diretto con Hezbollah indicherebbe un basso rischio di una escalation. Entrambe le parti hanno mantenuto ad oggi il cessate il fuoco dal 2006.
Tuttavia, come sottolineato da Weddady “nessuna delle parti ha un vero controllo sulle misure di escalation: difficile per entrambe, date le tensioni, se la miccia venisse innescata, prevenire o impedire un conflitto”.
Dal punto di vista prettamente militare, mentre Hezbollah dispone dell’unità Radwan, specializzata negli sconfinamenti per condurre attacchi in territorio israeliano, dal 2014 le IDF (Forze di difesa israeliane) contano sull’unità speciale del genio nota con il nome di ‘Yahalom’ (diamante in ebraico). Quest’ultima conduce operazioni militari tra cui la distruzione dei tunnel (i soldati di questo reparto sono scelti di proposito di una certa statura per assicurare la massima efficenza nelle operazioni).
Per Weddady l’attuale situazione tra i due paesi sarebbe di ‘business as usual’, ma nell’ambito di un ‘business’ di forti tensioni e ostilità anche se non di conflitto bellico.
In Libano invece il clima attuale viene definito “misto” da Chehayeb. Esiste un nervosismo di fondo, ma la priorità è di assicurare la stabilità. Paragonando lo scenario odierno ad esempio con il 2006, per quanto riguarda la posizione degli Stati Uniti a riguardo, pare non ci sia alcun interesse a una escalation. Mentre il presidente Bush nel 2006 si era espresso ed aveva preso una posizione più chiara a riguardo.
In questo complesso scacchiere geopolitico, UNIFIL ha tenuto il 5 dicembre, subito dopo la neutralizzazione dei tunnel da parte israeliana, un incontro tripartito con esponenti senior delle forze armate libanesi (LAF) e le IDF, incontro volto a far diminuire le tensioni tra le parti.
L’Italia che insieme ad altri 42 contingenti da tutto il mondo, mantiene un contingente importante in Libano impiegato in peacekeeping con UNIFIL, svolge quindi un ruolo strategico e di mediazione importante in seno alla missione UNIFIL. Sfatando un noto proverbio libanese che, quando non si trovano i responsabili per un evento, cita ‘dev’essere colpa degli italiani’.