5 Dicembre 2018
Un esperimento riuscito di governo a sinistra, senza strappi, ma senza tradimenti
Mentre in Italia ci si chiede se discutere o no con l’Europa, in Portogallo la legge di bilancio 2019 ha concluso il suo iter parlamentare la settimana scorsa. È l’ultima finanziaria di questo governo, sempre nel segno della riduzione del deficit, ma elaborata in costante dialogo con le sinistre e senza fendenti a sorpresa su stipendi e pensioni.
Dato che l’anno prossimo si andrà al voto due volte, fra europee e legislative nazionali, è prevedibile che la tensione fra i partiti salga. Resta tuttavia il fatto che il governo socialista, con il sostegno delle sinistre radicali, ha funzionato fino al traguardo di legislatura, ormai visibile all’orizzonte.
Per questo motivo Lisbona è considerata un po’ dappertutto un laboratorio di sperimentazioni avanguardistiche per le sinistre che vogliono governare e non sfasciarsi. Eppure, a un’analisi più attenta, il segreto del Portogallo sembra risiedere proprio nel volersi astenere da esperimenti troppo audaci.
Proviamo ad abbozzare un’analisi fra quanto succede qui e altrove, specie in Italia, possibilmente senza giudizi di merito impliciti, cioè senza dare per scontato cosa sia meglio o peggio.
Proprio senza alcun giudizio di merito, possiamo forse dire che il Portogallo è un paese sostanzialmente conservatore, anche se in questo momento ha una maggioranza parlamentare che va dai socialisti ai trotzkisti.
La stessa sopravvivenza di parole così novecentesche nel vocabolario politico attuale rivela che è ancora in una fase ‘arretrata’ della storia mondiale. I socialisti hanno retto l’urto degli scandali giudiziari contando su una stampa e un’opposizione meno disposte ad approfittare di certe défaillances. All’opposizione, intanto, il Partito comunista portoghese si avvia a compiere cent’anni nel 2021 grazie anche al suo rigido dirigismo.
Un’austerità d’altri tempi che non solo lo ha aiutato a digerire lentamente le scosse ideologiche di fine secolo, ma ne ha fatto un amministratore affidabile a livello locale e un controllore ferreo della piazza e delle forze sindacali che contano.
Il più libertario e movimentista Bloco de Esquerda, dopo un pericoloso sbandamento in fase di ricambio generazionale, si è stretto attorno ai giovanissimi dirigenti attuali, e tutti questi ‘diversamente comunisti’ hanno comunque rispettato l’accordo di governo anche quando si trattava solo di ridare ai lavoratori quanto sottratto dalla crisi.
Poco o niente si è alleggerita la pressione fiscale indiretta, per esempio sul carburante, che non costa molto meno che in Francia (anche se i gilet gialli qui li vedi solo in caso di tamponamento), né si è affrontato di petto l’atavismo del precariato e dei bassi salari. Ben altra accoglienza hanno avuto in Italia la carota degli 80 euro e il bastone del jobs act di Renzi; per non parlare delle vecchie finanziarie di Prodi, l’esperienza politica forse più simile alla portoghese.
Perciò faceva un certo effetto, nella recente convenzione nazionale del Bloco, vedere i vari rappresentanti delle litigiose sinistre italiane osannare il connubio delle sinistre fuori casa. Lo stesso strano effetto che si prova ogni anno, a settembre, alla festa del quasi centenario Pcp, dove sono disseminati a distanza di sicurezza gli stand dei partiti comunisti italiani, divisi su argomenti ormai inafferrabili, e dei comunisti spagnoli, divisi per etnie (castigliani, catalani, baschi…).
A proposito di regionalismi, qui una suddivisione amministrativa in regioni fu respinta da un referendum vent’anni fa. Più recentemente, la Corte Costituzionale ha bocciato un timido incremento di autonomia per uno dei due unici parlamenti regionali esistenti, nelle lontane Azzorre. D’altronde la Costituzione vieta l’esistenza stessa di partiti autonomisti.
Insomma è la partecipazione dal basso che qui appare ridimensionata, a cominciare dal dato oggettivo sull’affluenza alle urne. Se in Italia c’è allarme astensionismo pur essendo gli elettori ben al di sopra del 70%, in Portogallo nel 2015 ha votato poco più della metà degli aventi diritto e alle europee del 2014 solo il 34%.
I referendum? Tutti puntualmente disertati. Se quello sulle regioni non arrivò al quorum per un pelo, i due dedicati a un tema enorme come la depenalizzazione dell’aborto rimasero abbondantemente al di sotto della soglia minima. Toccò poi ai deputati, in una prova tecnica di larghe intese, legiferare a prescindere dallo scarso entusiasmo popolare.
Ecco, il popolo… dov’è?, si domanda il neopopulista e adepto della democrazia digitale.
L’incredibile ascesa di un movimento come quello di Grillo, dai teatri ai meetup, dagli smanettamenti al computer all’alzata di mano in parlamento nel giro di pochissimi anni, qui, è fantapolitica.
Comunque la pensiate su quanto sta avvenendo in Italia, rivela un impeto partecipativo che in Portogallo non esiste. Il movimento antitroika era nato su base digitale e indipendente dai partiti, ma si spense dopo un annetto e l’opposizione tornarono a farla i partiti e i sindacati tradizionali.
Senza peraltro grandi risultati. Non bisogna infatti dimenticare che la destra, tecnicamente, non è mai stata davvero battuta nelle urne. Dopo quattro anni di tasse e tagli, prese più voti di tutti e, per metterla da parte, ci volle l’abilità negoziale di António Costa, segretario socialista che, malgrado l’irruente scalata alla segreteria del partito, non subì la fronda dei rosiconi per quello scarso risultato elettorale. Né lui, una volta al potere, rottamò da spaccone i possibili frondisti, anzi, se ne ricordò nel distribuire le poltrone.
Il panorama è quello di una società più apatica, o forse solo più scettica verso la militanza politica come metodo per risolvere i problemi del quotidiano. Dunque meno ingovernabile dall’alto. Meno militanti di base che ai congressi ‘blastano’ la leadership di partito e poi diventano leader da ‘blastare’, meno Cobas che spiazzano i sindacati maggiori, meno centri sociali autogestiti, di destra o sinistra, zero ‘casepound’ e zero ‘okkupazioni’, sebbene il degrado degli immobili sfitti fosse invitante, prima che arrivassero i grandi investitori a farne alberghi.
Tutti i movimenti rivendicativi che furoreggiano ‘là fuori’ (emblematica locuzione portoghese per dire ‘all’estero’) assumono tinte più sfumate ‘qua dentro’. A destra, è ingenuo pensare che non covino idee affini a certa estrema destra europea (come quel Vox che domenica scorsa è entrato a piè pari nella politica spagnola dalla finestra dell’Andalusia). A sinistra, cose come il MeToo piacciono finché a salire e scendere dalla giostra sono Kevin Spacey o Asia Argento, ma quando inzacchera Cristiano Ronaldo qualcuno/a comincia a esitare.
Tanta prudenza non ha impedito però che si legiferasse a tutela di coppie omosessuali e altre identità di genere. Ciò garantisce un clima sufficientemente pacato affinché qualunque proposta di legge sulla famiglia venga valutata per quello che è, come nel caso della residenza alternata, che in Italia ha il marchio Pillon e della destra più retriva, mentre qui è in esame e ha già incassato favori e dubbi legittimi d’ambo i lati.
Certo il sistema ha le sue falle, perché la violenza, la disuguaglianza, gli abusi, le ruspe non mancano, e l’arte di smorzare i toni può danneggiare chi ha bisogno di urlare, ma anche chi fa dell’urlo una tecnica cinica per acchiappare voti, soldi e click. In tempi di politica spettacolo, forse, è la società dello spettacolo lusitana a risultare meno sgargiante.
Il più attivo su vecchi e nuovi media è il presidente della Repubblica, Marcelo Rebelo de Sousa, un prof. in pensione che pratica un populismo capovolto, tutto pace e amore, irritando quelli che vorrebbero un picconatore più duro, mentre lui si ostina a fare il vecchio zio arzillo (nuota tutte le mattine nel mare di Cascais) e ‘buonista’ (aggettivo in Portogallo non pervenuto, deo gratias).
Qui non ci sono, e se ci sono godono di una visibilità offuscata, scolaresche pro o contro il presepe o ‘tavoli tecnici’ in cui si dibatte il colore delle bambole all’asilo, ma nemmeno scrittori che vi spiegano quanto siete fascisti da uno a cento. Per fortuna e disgrazia, studenti, genitori e intellettuali sono tutti più defilati. Cosa ci si può aspettare da un Paese in cui nemmeno i rapper dicono le parolacce? E i cantanti non portano ai festival della canzone inni al feto abortito, né statistiche in rima sui femminicidi, con contabilità annessa sulle donne ammazzate da maschi aborigeni o stranieri.
L’anno scorso un portoghese ha persino vinto il festival Eurovision con una canzone… d’amore! Di quelle che più sono sceme e più sono vere, come diceva Fanny Ardant in quel film di Truffaut.
Colpe e meriti di tutto ciò vanno forse attribuiti a uno spazio pubblico di discussione più angusto, come denunciava il filosofo José Gil in un saggio di una decina d’anni fa. E certo la democrazia è allargamento, attraversamento libero di quello spazio. Ma cosa succede se lo scorpione punge la rana che lo tiene a galla in mezzo al guado?
Il Portogallo sembra essersi fermato sulla riva. Lascia per ora che siano altre rane a traghettare l’animale velenoso. Vedremo di nascosto l’effetto che fa.