16 Agosto 2021
Un migliaio di persone hanno sfilato per le strade della capitale per chiedere maggiori diritti per la comunità LGBTIQ
L’ingresso è uno solo, controllato dalla sicurezza. I manifestanti arrivano a gruppetti e senza segni di riconoscimento, per evitare possibili violenze.
È il secondo pride di Sarajevo e le misure di sicurezza sono ingenti: tra la folla sono presenti una settantina di agenti in borghese e poliziotti in tenuta antisommossa attendono il corteo ad ogni angolo, pronti a fermare i possibili attacchi al corteo.
Per i controlli si attende brevemente davanti ai cancelli barricati del parco, si passa una persona alla volta, aprendo borse e zaini e mostrando la certificazione di vaccinazione o il tampone negativo. Passata la sicurezza si entra nel parco Safet Isović, accolti da attiviste e attivisti del pride che distribuiscono bandiere, cartelloni, spille e altro materiale.
Una volta dentro ci si rilassa, l’atmosfera diventa quella di una protesta frizzante e allegra. Per un giorno la popolazione LGBTIQ di Sarajevo e della Bosnia – Erzegovina intera si riprende le strade che le sono da sempre negate.
La folla inizia a raccogliersi dalle 10 e cresce man mano, riempiendo il parco in attesa della partenza del corteo, prevista per le 12; per la maggior parte è composta da bosniaci, ma c’è una nutrita presenza della comunità internazionale di Sarajevo, tra cui spiccano per importanza gli ambasciatori di Stati Uniti e Inghilterra e l’ambasciatrice svedese. Si balla e si chiacchiera mentre si attende l’inizio del corteo.
#otporsamargine, resistenza dal margine, è lo slogan che guida la marcia dell’orgoglio di Sarajevo 2021, lo si legge sui cartelli scritti a mano e sul grande striscione viola che apre il corteo.
«Resistiamo dal margine perché è lì che siamo relegati noi e le altre molto minoranze del paese» spiega Branko Ćulibrk, uno degli organizzatori.
«Da anni portiamo avanti con forza la battaglia per i diritti delle persone LGBTIQ in Bosnia, ma ancora fatichiamo a prenderci gli spazi pubblici. La rete di attiviste e attivisti è molto attiva, supportata anche da altri gruppi della società civile, e insieme proviamo a portare al centro tutte le persone emarginate: resistenza dal margine, appunto, perché vogliamo portare in piazza quello che di solito è chiuso tra le quattro mura di casa. A due anni dal primo pride di Sarajevo del 2019 – il pride del 2020 è stato cancellato a causa del covid, ndr – per noi è ancora più importante essere qua. Affrontiamo ancora oggi gli stessi problemi di due anni fa, violenza e discriminazione costanti. Il covid ha solo peggiorato la situazione, acuendo il nostro isolamento sociale ed impedendoci di mantenere la visibilità che abbiamo duramente raggiunto durante gli ultimi 15 anni di attivismo».
L’invisibilità, le discriminazioni e il covid
Il covid ha impattato la vita delle persone marginalizzate in modo maggiore rispetto al resto della popolazione. Lesbiche, omosessuali, bisessuali in Bosnia ed Erzegovina – come nel resto del mondo – si sono ritrovati chiusi all’interno delle pareti di casa con famiglie troppo spesso omofobe e il rischio di subire violenze psicologiche e in alcuni casi fisiche.
«Le persone transessuali sono quelle che hanno sofferto di più all’interno della comunità queer» spiega Dajana Bakić, del comitato organizzativo. «In Bosnia le istituzioni mediche non sono in grado di seguire il processo di transizione di genere, che significa che per ricevere assistenza devono spostarsi a Zagabria o Belgrado. Con il covid si sono trovate con i confini chiusi e la difficile scelta di dover rientrare in una casa dove spesso affrontano grosse difficoltà e rischi, sapendo che non avrebbero avuto assistenza medica». È mancato anche il supporto della comunità e degli eventi che i gruppi di attivisti e attiviste diffusi su tutto il territorio della Bosnia organizzano, tra i pochi luoghi sicuri dove potersi sentire liberi di esprimersi e confrontarsi con i membri della comunità. «Dopo due anni di assenza è tanta la soddisfazione di tornare in piazza» continua Bakić «e di aver portato più di mille persone insieme a noi nonostante le grosse difficoltà che hanno impedito a molti di partecipare. Durante i mesi di assenza dalle piazze abbiamo usato internet per mobilitarci, organizzando molti webinar online come quelli sulla salute mentale, ad esempio, e abbiamo pubblicato una serie di storie raccolte tra un centinaio di membri della comunità LGBT per dare uno spazio di espressione alla comunità. Il pride è però il momento che ci permette di avere più visibilità e di riprenderci lo spazio pubblico».
Tra le richieste portate di fronte al parlamento bosniaco quella di procedere a varare una legge sulle unioni tra persone dello stesso sesso e di cambiare la legislazione sulle manifestazioni, che al momento vede la fornitura di alcune misure di sicurezza a carico degli organizzatori.
Non sono solo questioni legali: «dobbiamo lavorare anche sul piano culturale, sul cercare di cambiare la narrazione mediatica che viene fatta di noi, interfacciarci con tutti i livelli delle istituzioni, senza dimenticare il mondo scolastico» aggiunge Bakić. «Negli ultimi anni ci sono stati alcuni passi in avanti dal punto di vista legale, ma non bastano quando nella vita di tutti i giorni subiamo continue discriminazioni e violenze, quando non ci è permesso essere noi stessi, noi stesse e come attivista rischi la vita tutti i giorni. Un segnale positivo è che, dopo due anni che insistiamo, quest’anno le istituzioni comunali e cantonali di Sarajevo hanno accettato di coprire i costi per la sicurezza del pride e speriamo che presto arrivino a cambiare la legge, rendendo le piazze un luogo più aperto e sicuro. La strada è lunga, ma vediamo segnali di cambiamento».
#otporsamargine
Alle 12 in punto il corteo inizia a marciare, guidato dai membri del comitato organizzativo che danno il ritmo e intonano i cori da un megafono.
Il percorso attraversa tra le altre via Mareša Tita, una delle vie principali della capitale, per arrivare dopo un’ora e mezza davanti al parlamento bosniaco. Non ci sono problemi durante la marcia, tutto fila liscio, la sola protesta è quella di un imam che decide di anticipare di 20 minuti la preghiera di metà giornata per disturbare il corteo alzando il volume degli altoparlanti del minareto.
Dalle finestre dei palazzi alcune persone si affacciano per salutare e vengono ricambiate dalla folla che percorre le strade intonando slogan contro la violenza, contro il fascismo, urlando la voglia di uscire dalle “quattro mura di casa” per riguadagnare le piazze.
Di fronte al parlamento si ribadiscono le richieste di maggiori diritti per la comunità LGBTIQ. «Siamo qui oggi anche per quelle persone che non sono scese in piazza – dice al microfono Amar, attivista del pride – sapendo che sarebbero qui con noi se vivessimo in un paese più libero».
A chiudere la manifestazione la cantante Esma Numanovic intona la tradizionale canzone bosniaca Snijeg Pade Na Behar Na Voće, che si apre con il famoso verso “che ognuno ami chi vuole”.
Verso le 13.30 si spengono le ultime note dell’altoparlante. Quella che fino a quel momento era una folla unita, rumorosa, che rivendicava con orgoglio i propri diritti si scioglie improvvisamente – si sente la tensione salire insieme alla paura di attacchi violenti nel tragitto verso casa. In pochi istanti spariscono le bandiere e gli altri simboli del pride, le magliette vengono infilate nelle borse. Si rientra verso casa separati in piccoli gruppi, in modo da non farsi riconoscere.
foto di Tommaso Siviero