Ricominciare dal Centro Selam

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16 Settembre 2021

Il Centro Selam è una piccola realtà di rifugiati siriani che aiuta i propri connazionali scappati dalla guerra. Tra di loro anche le quattro donne raccontate in questo reportage.

Sara continua ad abbassare lo sguardo e a toccarsi il volto, posso percepirla arrossire anche sotto il suo lungo niqab che le lascia scoperti solo gli occhi. Ha vent’anni e una figlia di quattro e nel 2017 ha pagato un passeur per attraversare il confine turco- siriano.

Ha vissuto per qualche anno con il fratello e sua moglie in una piccola città al confine della Turchia, ma poi se n’è dovuta andare perché la casa era troppo piccola.

Sara si è sposata a sedici anni perché la madre era malata e il padre si era rifatto una vita in Libano, ma due mesi dopo suo marito è rimasto vittima di un bombardamento in strada e Sara è quindi stata costretta a partire. Il confine tra Siria e Turchia era ormai chiuso da fine 2014, quindi decide di affidarsi a un ragazzo conosciuto per caso che, dietro compenso, le fa attraversare la frontiera in bus.

Dopo il primo periodo a casa del fratello viene accolta dal Centro Selam, il più grande centro in Turchia per donne rifugiate siriane gestito da donne siriane.

Il centro si trova a Gaziantep, città nel sud est della Turchia a circa due ore dal confine con la Siria, ed è stato fondato da Sameera Kanjo e sua figlia.

Sameera Kanjo, fondatrice del centro Selam. Foto di Clara Rita Gagliardone.
Sameera mostra la stanza di Sara e i ricami fatti dalle donne del centro. Foto di Clara Rita Gagliardone.

“Quando sono arrivata nel 2013 pensavo solo a sfuggire alla guerra in Siria e a salvare i miei bambini, ma una volta qui ho visto che c’era la necessità di aprire un posto come questo” dice Sameera. Ha uno sguardo profondo e vigile che si illumina ogni volta che sorride. Non è mai sola, c’è sempre qualche bambino che le gravita attorno o qualche donna che le vuole parlare, e lei, mai di fretta, si dedica a tutti.

Nel 2013, appena arrivata in Turchia, apre il centro Selam come rifugio per un piccolo gruppo di bambini rimasti orfani. Il centro ha avuto un grande successo, soprattutto grazie alla sensibilità di Sameera, che rimasta anche lei orfana all’età di sei anni, sapeva fin da subito quello di cui i bambini avevano bisogno.

Oggi il centro non è più un orfanotrofio, ma accoglie circa cinquanta donne rimaste sole o con figli.

Alcune bambine e alcuni bambini del centro. Foto di Clara Rita Gagliardone.

Si trova in un grosso edificio appena fuori dal centro di Gaziantep, ha un totale di quarantotto appartamenti e alcuni locali adibiti ad area giochi, al ricamo e alla creazione di opere da rivendere online, oltre a diverse stanze per far studiare i bambini.

Sara insieme ad altre donne possono risiedere nel centro per tutto il tempo di cui hanno bisogno e usufruire dei servizi messi a disposizione: supporto psicologico ed educativo. I bambini che arrivano, spesso sono molto piccoli e imparano direttamente il turco, dimenticando il poco arabo che avevano cominciato a parlare in Siria. Il centro, attraverso delle lezioni pomeridiane, li aiuta a mantenere viva la loro lingua madre.

Sara adesso spera di riuscire a trovare un lavoro e far studiare la figlia in modo che possa avere un futuro migliore rispetto a quello che avrebbe avuto in Siria.

Grazie al centro, Sabiha, un’altra vedova siriana, riesce ad affrontare le ingenti spese mediche che la sua patologia le impone. Ha quarantacinque anni, quattro figli e da tre anni e mezzo vive nel centro.
È seduta sul letto circondata dai suoi figli che l’aiutano a mangiare e a coricarsi. Ha gli occhi stanchi, ma mi accoglie con un sorriso e chiede alla figlia di prepararmi il caffè siriano.

Ha attraversato il confine turco nel 2012 arrivando a Kilis, città più a sud di Gaziantep, ed è rimasta nel campo profughi della città per sei anni. Nel 2018, grazie ad alcuni conoscenti, viene a sapere del Centro Selam.

“Ci piace la Turchia perché siamo vicini alla Siria, magari un giorno ci potremo tornare, inschallah”, dice Sabiha come se essere più vicino alla sua terra mitighi un po’ il dolore e la nostalgia di casa. “Per ora mi basta che vadano a scuola e stiano bene” aggiunge poi indicando i suoi figli.

Essere accolti da qualcuno che ha avuto le stesse difficoltà è stato fin dagli inizi un punto di forza del centro perché le donne si sentono maggiormente comprese per via del passato molto simile e tendono a fidarsi di più.
Il centro è interamente finanziato da donatori occasionali e gestito da volontari; questo, insieme al fatto che il numero di rifugiati è aumentato negli ultimi anni, ha reso il futuro del centro precario, che vive ogni anno con il timore di dover chiudere.

Oggi in Turchia si contano circa 3.6 milioni di rifugiati siriani, di cui solo l’1,6% risiede in sette centri d’accoglienza gestiti dal DGMM (Directorate General of Migration Management), l’autorità amministrativa e operativa che si occupa della migrazione in Turchia.

Oltre il 98% dei rifugiati siriani vive invece fuori dai campi ed è registrato al sistema di asilo messo in atto dal governo turco appositamente per la migrazione in massa del popolo siriano: la protezione temporanea. Si tratta di un particolare sistema di asilo il quale prevede che, terminata la guerra in Siria, i siriani debbano fare ritorno a casa.

La permanenza temporanea ha parecchie limitazioni: i profughi siriani per esempio devono risiedere nella provincia in cui hanno fatto la registrazione e per spostarsi necessitano di un permesso speciale, che difficilmente viene concesso. Anche accedere all’università è complicato, perché pur vivendo in Turchia da parecchi anni, gli studenti siriani risultano cittadini stranieri e pertanto devono competere per un numero molto ristretto di posti.

Fatima mostra, rispettivamente, un video del suo locale distrutto ad Aleppo e un dipinto del locale della sua famiglia, sempre ad Aleppo. Foto di Clara Rita Gagliardone.

Fatima e Marwa hanno venticinque e diciannove anni, sono sorelle e volontarie al centro. Entrambe hanno vissuto gli orrori della guerra sulla propria pelle quando il padre fu arrestato perché critico verso il governo di Bashar al-Assad e quando successivamente persero la madre a causa di una bomba che distrusse il loro locale ad Aleppo.

Il padre, Mahmmoud Hamam, è un avvocato siriano ed era solito organizzare nel loro locale, una sorta di caffè letterario, ritrovi e dibattiti insieme a colleghi e amici provenienti dall’élite colta siriana, per discutere le decisioni del governo e organizzare petizioni per la difesa dei diritti umani.

Dopo il rilascio dal secondo arresto, Mahmmoud ha deciso di scappare in Turchia. Lì lo hanno poi raggiunto anche le sue figlie, dopo che il locale era stato colpito parecchie volte, l’ultima delle quali aveva ucciso anche la madre.

Arrivate in Turchia hanno continuato i loro studi, Fatima in ingegneria civile e Marwa prima al liceo e poi in psicologia all’università. Entrambe hanno dovuto faticare parecchio per avere il massimo dei voti e riuscire a rientrare nei pochi posti a cui avevano accesso.

Nonostante si siano integrate nella società turca non hanno mai dimenticato cosa significa arrivare in un paese nuovo e ricominciare da capo. Fatima e Marwa si recano al centro per aiutare in quello che di volta in volta è più urgente: seguono i bambini nei loro compiti oppure forniscono supporto nell’organizzazione delle varie attività.

Marwa, volontaria al Centro Selam. Foto di Clara Rita Gagliardone.
La lavagna su cui i bambini del centro imparano l'arabo. Foto di Clara Rita Gagliardone.
Le fotografie appese nello studio di Sameera e Mahmmoud Hamam e sua figlia Fatima. Foto di Clara Rita Gagliardone.

Fatima e Marwa insieme ad altri volontari costituiscono una rete di aiuti fondamentale. Insieme hanno creato un esempio di solidarietà tra persone che hanno vissuto un’esperienza comune.

Accanto a tante organizzazioni umanitarie internazionali con molti più fondi, il Centro Selam è una piccola realtà di rifugiati siriani che aiuta i propri connazionali senza ricevere contributi esterni.

“La mia speranza è che la guerra in Siria finisca, che ci sia di nuovo la pace e la libertà e che i siriani possano fare davvero ritorno a casa loro” dice Sameera, perché nonostante il grande supporto che il centro sta dando alla comunità, ognuna di queste donne, in cuor suo, spera un giorno di poter far ritorno nella sua terra.