di Matteo Maimone and Anna Elisa Sida
20 Maggio 2019
Thailandia: cosa si cela dietro un combattimento di Muay Thai
Petchrungruang Gym – Pattaya. Questa palestra, come tante altre in Thailandia, è un luogo dove apprendere l’arte della Muay Thai.
A differenza delle altre, però, è un vero e proprio punto di ritrovo. Una tana per appassionati di lotta. E’ un luogo dove amicizia, passione e rispetto vivono in armonia tra di loro. Non c’è distinzione di sesso, età o etnia. Qui ci si allena tutti insieme.
Nell’aria si respira olio e sudore, si notano molteplici guantoni appesi sulle corde del ring in attesa di essere utilizzati.
Al Petchrung si alternano molti personaggi: c’è Angelo Bernardoni, abruzzese, studente di scienze motorie che nella Muay Thai ritrova una pratica meditativa che gli permette di controllare la paura pre-match.
C’è Alessandro Sara, futuro campione nascente di soli 16 anni, con un’innata coordinazione nei movimenti che gli permette di sferrare pugni e calci precisi e intensi.
E poi c’è Dylan Hoang, un giovane ragazzo francese di 24 anni che 7 anni fa ha conosciuto l’arte della Muay Thai e se n’è innamorato. La sua intenzione è di rimanere il più possibile in Thailandia, dai 4 ai 9 mesi di permanenza per potersi allenare ed esibire in incontri per poi tornare in Francia, a Grenoble, a lavorare così da risparmiare soldi che gli permetteranno di tornare a Pattaya ad allenarsi.
E’ un ciclo continuo fatto di sudore, di sacrifici, di severi allenamenti che mettono a dura prova animo e corpo. Allenamenti che si dividono in due fasce della giornata: al mattino presto, sveglia alle 5 e corse lungo le campagne della città per poi proseguire nel pomeriggio con un risveglio muscolare intenso.
Tutti loro hanno come comune denominatore Filippo Cinti. Filippo, anni 41, campione del mondo WPMF 2005, campione europeo professionisti WKN 2004, in Thailandia oramai dal 2003, è uno dei più noti fighters italiani.
Attualmente ritirato dal mondo agonistico (anche in seguito ad un infortunio) continua a prendere parte attivamente come allenatore e manager di atleti professionisti. Ed è in questo caso che entra in gioco qui, al Petchrung, come punto di riferimento per i ragazzi.
Si sa che la Muay Thai è lo sport nazionale della Thailandia. E’ un’arte marziale resa inconfondibile dalle danze e dai rituali pre-combattimento che la contraddistinguono.
E’ unica per via della storia e per le tradizioni a cui le appartengono ma soprattutto è caratterizzata da valori e principi importanti come il rispetto e il coraggio. E’ una pratica che mette insieme tutto: violenza fisica, armonia e rispetto.
La sua origine risale a diverse centinaia di anni fa come metodo di autodifesa e soprannominata consecutivamente “l’arte di otto arti” in quanto venivano utilizzati 8 punti di contatto: 2 pugni 2 gomiti 2 ginocchia e 2 piedi così da trasformare anche il più esile corpo ad una vera e proprio arma da guerra.
Uno stile di combattimento così efficace tanto da elevarsi a livello di popolarità nazionale raccogliendo riconoscimento e una maggiore esposizione a livello internazionale.
In seguito alla rapida espansione che la Muay Thai ebbe, vennero introdotte le prime nuove regole formali dove gli incontri vennero divisi in 5 round con limiti di tempo scanditi da un orologio e integrate le classi di peso per gli atleti.
Oggi la Muay Thai e’ diffusa e praticata in tutto il mondo anche se la Thailandia, rimane la terra dove questo sport trova la sua apoteosi. Moltissimi infatti i combattenti non thailandesi che vengono qui a studiare, allenarsi e combattere.
Come ripete molto spesso Filippo, la Muay Thai, oltre che essere lo sport nazionale del vecchio Siam, offre opportunità di lavoro e successo, nella stessa misura del calcio italiano.
Ed è a Pattaya, al Max Muay Thai Stadium che avviene l’incontro per il quale Dylan ha sostenuto mesi di allenamento con Filippo.
La tensione è alle stelle, la si può percepire nell’aria, quella stessa aria intrisa di olio balsamico contornata da un vociare proveniente dallo staff, dai primi spettatori accorsi per partecipare al backstage.
Ogni attimo è scandito da un passaggio differente e meccanico: i bendaggi alle mani ad esempio.
Il bendaggio, come spiega Filippo, è qualcosa di molto importante che devi imparare a fare molto bene.
La mano ed il polso sono strutture assai complesse formate da tante ossa, che se sottoposte continuamente a carichi d’impatto provenienti dai colpi di un avversario allenato a dovere, possono andare incontro a danneggiamenti.
I bendaggi, quindi, servono a far rimanere al loro posto queste strutture, mantenendole compatte e in asse con l’avambraccio cosi che la forza dell’impatto si scarichi dalle nocche sul braccio e non sulle parti più deboli del polso e della mano. Contribuiscono anche a far calzare meglio il guanto nella mano creando un blocco unico ma soprattutto custodiscono le “tue armi”.
Dopo di che arriva il momento del massaggio terapeutico dove Filippo, con una pressione dei pollici e movimenti circolari energizza il tessuto muscolare preparando il corpo di Dylan al combattimento e massimizzando la sua performance.
Indossati i guantoni, viene posto successivamente sulla testa di Dylan il Mongkhon, il tradizionale copricapo che ogni fighters indossa, fonte di protezione e fortuna e viene custodito con assoluta cura, insieme ai Prajied che sono particolari bracciali che vengono indossati per tenere lontani gli spiriti maligni.
E’ giunto il momento dell’incontro: Dylan entra scenicamente in uno scenario composto da luci multicolori, un pubblico entusiasta e una marea di scommettitori incalliti che sgomitano silenziosi a bordo ring.
Il rituale thailandese prevede, prima del fatidico combattimento, una danza suddivisa in due fasi: la prima è il wai kru, un omaggio al maestro dove l’atleta si muove sul ring per tre volte lungo tutto il perimetro a tempo di musica e fermandosi in preghiera ad ogni angolo mostra rispetto anche per l’avversario.
La seconda fase è il ram muay, un rituale svolto al fine di scacciare gli spiriti maligni ed evocare quelli positivi in cui ogni lottatore, ornato da vestiti tradizionali thailandesi, ripete mentalmente preghiere propiziatorie perché l’incontro abbia un esito positivo.
Conclusa la danza, Dylan si dirige infine verso l’angolo del ring (Pitee Tod Mongkon) dove lo attende Filippo, che alla fine della recitazione delle preghiere propiziatorie per il buon andamento dell’incontro toglie dalla sua testa il Mongkon posizionandolo proprio sull’angolo affinché lo continui a proteggere anche durante l’incontro.
Per alcuni, questo è un rituale che può prendere molteplici significati: dalla connessione con gli spiriti passati e quindi con una convinzione spirituale molto forte alle spalle oppure ad un momento meditativo molto alto, un momento perfetto per concentrarsi sull’imminente incontro e per effettuare l’ultimo stretching necessario per riscaldare i muscoli.
Il pubblico circostante è eterogeneo: dagli anziani ai bambini, alle coppie ai gruppi di amici in vacanza, prevalentemente cinese e thailandese.
Un pubblico che non vede l’ora di osservare con i propri occhi cosa sta per capitare.
La musica fa da sottofondo a tutto il match e cresce man mano che l’incontro si fa più cruento: prevede movimenti lenti e simbolici e preghiere sussurrate silenziosamente dall’atleta.
Dopo colpi spettacolari caratterizzati da calci alti mirati e potenti e sangue immancabilmente versato non manca la fase del Clinch: la fase del combattimento corpo a corpo che tutt’oggi caratterizza uno degli aspetti fondamentali della Muay Thai composto da colpi di ginocchia e di gomito, duri e mirati. Nonostante i contraccolpi dati e ricevuti, alla fine del terzo round i giudici danno Dylan perdente.
La cosa, però, che colpisce ed emoziona è vedere il rispetto reciproco dimostrato dai fighters stessi, sia dentro che fuori dal ring. Al termine dell’incontro, i combattenti, si scambiano un abbraccio ed un sorriso che va al di la del risultato, un grande momento di vera sportività. Ed è proprio quella la vittoria più bella. E’ un’evoluzione di capacità e abilità tecniche che diventano caratteristiche dell’individualità del singolo.
Quanto si può imparare da chi è esperto? E’ un apprendimento che si basa sul rispetto per la persona. L’aspetto sostanziale non è imparare, ma imparare ad imparare. Ed è cosi che ti accorgi che in un contesto del genere il colore, l’età e la ricchezza non contano nulla se prima non impari il rispetto reciproco.