“La mia figura era molto conosciuta e importante a Kampala in quei anni. È impossibile che non siano risaliti a me. Il perché non mi abbiano contattato quando hanno prodotto il libro e poi il film, non riesco ancora a capirlo”. Il professor Paolo Marandola si interroga perplesso mentre mi riceve nel suo studio nel calmo quartiere residenziale di Rhodes Park a Lusaka, capitale dello Zambia. “Sarà stato per gli eventi che mi coinvolsero in quei anni e soprattutto per via delle persone che mi fecero cacciare dall’Uganda…”.
L’anziano Professore di urologia e andrologia si riferisce al romanzo The last King of Scotland dello scrittore Giles Foden e all’omonimo film ad esso ispirato diretto da Kevin Macdonald e uscito nel 2006.
Entrambi questi lavori narrano la storia e le peripezie di un personaggio inventato, il giovane medico scozzese Nicholas Garrigan, ambientate nel regime del sanguinario dittatore ugandese Idi Amin Dada negli anni tra il 1971 e il 1979 durante i quali morirono più di 300mila persone. L’attore britannico James McAvoy ha interpretato la parte del protagonista, mentre l’americano Forest Whitaker ha vestito i panni di Amin e grazie questa interpretazione ha vinto l’Oscar nel 2007, oltre al Golden Globe ed il premio BAFTA.
Nella pellicola il dottor Garrigan parte per l’Uganda come volontario dopo aver finito gli studi di medicina e incontra casualmente il dittatore Amin il quale lo nomina suo medico personale. Tra i due si instaurerà un rapporto speciale, al tal punto che il dittatore nominerà il medico suo consigliere politico. Una serie di accadimenti porterà Garrigan, inizialmente affascinato da Amin, a scoprire il lato oscuro del dittatore e alla rottura, fino al tentativo di assassinarlo.
La figura del medico corrisponde abbastanza bene a quello del romanzo di Foden che a sua volta è stato ispirato da personaggi realmente esistiti. Mentre su Amin e i fatti storici che lo hanno riguardato lo scrittore inglese ha sfruttato il suo background da giornalista per una ricostruzione il più possibile accurata, sul personaggio di Garrigan ha rivelato di essersi ispirato a due personalità realmente coinvolte in quei otto anni di regime: l’ex-ufficiale coloniale britannico in seguito divenuto consulente di Amin, Bob Astles e il medico scozzese Wilson Carswell.
“Con Carswell avevo un buon rapporto, ma non eravamo amici stretti. Era noto in città e faceva il medico di base per gli espatriati. Gli Inglesi in particolare. Ma non era vicino ad Amin né ha mai lavorato per il Mulago Hospital. Credo che inizialmente io e lui fossimo gli unici medici stranieri nel paese”. Paolo sistema alcuni documenti sul suo tavolo per fare spazio, poi continua. “Astles… lui era un tipo nauseabondo, orribile e odioso. Credo abbia fatto uccidere molte persone senza motivo. Era a capo della sezione speciale delle indagini anticrimine. ‘Lo spione’ che riportava fatti e azioni degli espatriati ai servizi segreti ugandesi. Uno di quelli con cui bastava una parola sbagliata e potevi finire nei guai”.
Non c’è mai stata una persona che possa realmente somigliare al personaggio di Garrigan, vale a dire un medico e consigliere personale di Amin, ma il Professor Marandola si può sicuramente considerare quanto di più vicino a questo ritratto.
Nato nel 1938 a Rocca D’Evandro in provincia di Caserta, grazie a una borsa di studio ha potuto studiare e laurearsi all’Università di Pavia dove in seguito è diventato professore. Ha continuato i suoi studi a Londra, negli Stati Uniti e infine in Canada dove avrebbe dovuto trasferirsi se nel 1972 non avesse preso la decisione di andare a visitare l’Africa. Accettò l’invito del missionario comboniano Giovanni “John” Scalabrini per prestare un periodo da medico volontario a Gulu nel nord dell’Uganda. Una scelta che ha cambiato la sua vita, un po’ come quella di Garrigan.
Amin era salito al potere l’anno prima con il colpo di stato che aveva rovesciato Milton Obote. Le relazioni con gli ex-colonizzatori erano ai minimi storici e Amin aveva cacciato tutti i medici britannici: “praticamente il 98% del totale. Rimasi sorpreso nel vedere che c’erano ospedali nuovi, ma abbandonati per mancanza di personale. I missionari conoscevano il Ministro della Sanità, Henry Kyemba, e così, per curiosità me lo feci presentare”, afferma Paolo, il quale racconta di aver evidentemente fatto una buona impressione. Infatti poco tempo dopo il suo rientro in Italia venne contattato da Kyemba che gli offrì una collaborazione con l’Università di Makerere, la più antica dell’Africa subsahariana, e un posto al Mulago Hospital di Kampala. Paolo sorride guardando fuori dalla finestra: “Ero giovane e avventuroso. Ricevetti addirittura una lettera di invito ufficiale firmata da Amin… Così partii”.
Paolo gira verso di sé lo schermo del suo computer per poi far partire la riproduzione del film di Macdonald. Le scene iniziano a susseguirsi e il dottore italiano guarda incuriosito. La pellicola arriva al punto in cui Garrigan vede per la prima volta Amin durante un suo comizio non lontano dal villaggio dove sta facendo il volontario. Mentre Whitaker interpreta egregiamente il dittatore che arringa la folla esultante, Paolo sorride e non può fare a meno di commentare.
“Era la sua forza questa. Amin era totalmente incolto e non parlava quasi mai in inglese. Ma aveva un linguaggio e un carisma che andava alla pancia della gente semplice. Potremmo definirlo un populista ante litteram”. La spregiudicatezza e l’istintività politica del dittatore ugandese lo portarono spesso a scelte incaute, “come quando cacciò 80mila indiani dal paese nel 72 e diede in mano il commercio ai suoi soldati. Erano scelte populiste, senza strategia e lungimiranza”. Ma a livello continentale aveva assunto una leadership del panafricanismo e nei movimenti di liberazione. “Era visto come un eroe perché sbeffeggiava l’emblema del colonialismo: la Regina Elisabetta. Parlava al cuore del popolo ugandese e africano. Solo dopo si scoprirono le sue atrocità… il suo lato oscuro”.
Per affinità il dittatore ugandese strinse strette relazioni con Mu’ammar Gheddafi e proprio l’alleanza con il leader libico riporta alla mente di Paolo il giorno in cui incrociò per la prima volta Amin. Avvenne poco dopo esser giunto nel paese, in un resort alle cascate Murchison sul Nilo Bianco dove si stava svolgendo un incontro tra i due despota.
“Lo intravidi in divisa, attorniato dalle sue guardie. Provai ad avvicinarmi per conoscerlo, ma non me lo permisero”. Questo episodio tra l’altro non si concluse nel migliore dei modi. Malauguratamente infatti Paolo aveva dato delle pillole di chinino a una cuoca affetta da malaria che serviva nel resort. La sicurezza presidenziale trovò le pillole in cucina e risalì al medico. “Credevano che volessi avvelenare il presidente. Venni cacciato dal resort nel bel mezzo della notte – afferma ridendo. Amin viveva nella costante paranoia di attentati e golpe. Ma questo lo avrei scoperto meglio più tardi”.
Le immagini del film vanno avanti fino al primo incontro tra Garrigan e il dittatore che si è appena ferito in un incidente stradale. Paolo osserva e poi ferma la riproduzione con aria infastidita. “Questa è una scena pietosa secondo me. Il presidente Amin, che nella sua equipe aveva sempre un infermiere, fa chiamare un medico e poi ha paura di farsi avvicinare e toccare con questo atteggiamento primitivo… e poi i soldati che puntano le armi addosso al medico!”. Per il professore è tutto inverosimile, a tal punto da sentirsi quasi offeso. “Verso i medici c’era molto rispetto e Amin era ignorante, ma non stupido. L’unica cosa azzeccata qui è il suo amore per la Scozia che lo fa simpatizzare per il medico”.
Amin aveva combattuto assieme a soldati scozzesi nei King’s African Rifles (KAR) dell’esercito coloniale britannico. Anche la loro patria era sottomessa agli inglesi e per questo nutriva un’ammirazione particolare per la Scozia. “Durante alcune cerimonie militari indossava il kilt e anche alcuni suoi soldati. Faceva un po’ ridere, ma era fatto così…”.
Paolo racconta che il suo primo incontro con il dittatore avvenne al Mulago Hospital, dove gli era stato affidato il compito di studiare e risolvere il devastante problema della gonorrea, che nel paese africano si manifestava su migliaia di casi in una forma estremamente aggressiva ed epidemica.
“La situazione era disastrosa e Amin lo aveva capito… aveva un’intuizione straordinaria su certe cose e poi nutriva proprio un forte interesse per la sanità. Amava i medici.”. Fu il ministro Kyemba a presentarglielo quando un giorno venne in visita. Il dottore spalanca gli occhi mentre ricorda che “fu un impatto scioccante per l’insieme fisico e psicologico del personaggio. Era pauroso. Una stazza enorme: alto 2,10m per 130/150 kg. Ma allo stesso tempo aveva il viso di un bambino”. Paolo ricorda che allora in Italia non si sapeva niente di Amin, per questo rimase scioccato. Eppure l’impatto iniziale lasciava spesso spazio alla gentilezza e cordialità con cui si poneva solitamente il dittatore. “Fu davvero socievole… era come se già ci conoscessimo. La prima impressione fu positiva”.
Il film riparte e si arriva alla scena in cui il dittatore propone a Garrigan di diventare suo medico personale. Anche qui il Professor Marandola commenta soddisfatto l’interpretazione di Whitaker.
“La gestualità veemente e agitata di Amin era effettivamente questa come anche l’auto esaltazione delle sue capacità fisiche. Diceva di essere il più forte e il più bravo. Per non parlare del sesso… Ripeteva di continuo che lui era il più grande amatore del mondo”.
Per Paolo, anche se quella di Garrigan è una storia inventata, è verosimile che il dittatore fosse così impulsivo da scegliere una persona sconosciuta e affidarle un incarico di rilievo se gli andava a genio. “Nella valutazione dei suoi rapporti sociali lui era un tipo molto facile. Era capace di prendere l’ultimo sguattero di una baraccopoli e nominarlo ministro se gli stava simpatico – afferma il dottore ridacchiando -. Era nel suo carattere dire ‘faccio tutto ciò che mi piace’. L’istinto e Amin andavano a braccetto”.
Una decina di minuti di pellicola dopo il giovane Garrigan viene chiamato nel mezzo della notte perché il despota ugandese ha un malore. Amin è steso sul letto ed è convinto che qualcuno lo abbia avvelenato, ma il dottore scozzese capisce che si tratta di una stupidaggine e risolve facilmente. Anche in questo caso Paolo si frammette nel dialogo del film confermando la paura delle cospirazioni e attentati del dittatore ugandese.
“Più passava il tempo e più diventava paranoico. Lo si notava nelle conversazioni che avevamo. Era angosciato dagli attentati… in effetti ce ne sono stati diversi orchestrati da frange militari mentre vivevo a Kampala. Molti soldati e ufficiali sono stati fatti fuori”.
Il Professore spiega che Amin accentrava il potere su di sé perché non si fidava di nessuno se non dei suoi familiari stretti. “Quando sei ossessionato dall’esaltazione di te stesso, è normale che inizi a credere che qualcuno voglia farti fuori”. Paolo racconta che Amin non dormiva mai nella stessa casa per più di due notti di seguito. “Ne aveva diverse in città e era capace di spostarsi in due o tre case nello stesso giorno senza che nessuno lo sapesse”.
Il film prosegue, e fra il dittatore e l’immaginario Garrigan inizia a crearsi uno stretto legame. Il dottore entra nell’entourage dei fedelissimi e Amin si confida con lui arrivando a consultarlo nelle sue decisioni politiche.
È a questo punto che il Professor Marandola inizia a spiegare come lui finì casualmente con l’entrare nella cerchia ristretta del dittatore. L’evento che cambiò tutto per il dottore italiano fu una conferenza per la firma di un accordo bilaterale tra l’Università di Pavia e quella di Makerere. In quell’occasione fu Paolo a tenere una relazione a nome del suo ateneo alla presenza di Amin.
“Spiegai, facendo degli esempi, che molti grandi scoperte scientifiche sono state fatte da scienziati che avevano studiato a Pavia e il discorso piacque molto ai presenti e soprattutto al presidente”. Era un momento di transizione anche culturale per l’Uganda, fino ad allora impregnato di cultura britannica. “Alla fine Amin disse che noi italiani gli stavamo regalando una seconda indipendenza, ma culturale. Disse: ‘Pensavamo venisse tutto da Londra!’ – afferma Paolo convinto – Credo sia stato quel discorso a scatenare la sua simpatia nei miei confronti. Fu così che entrai nel cuore del sistema a Kampala”.
Fra il dottore italiano e Amin si creò un legame di amicizia e il dittatore iniziò ad andare frequentemente a visitarlo nel suo studio al Mulago Hospital, inizialmente per controllare come stessero procedendo le cose nell’ospedale, poi semplicemente per scambiare qualche chiacchiera facendosi visitare superficialmente e prendendo sempre più confidenza. Paolo iniziò ad essere invitato a cene ed eventi dalla presidenza e a frequentare l’élite politica e diplomatica della capitale ugandese. “Mia figlia Candy era una compagna di giochi di Moses, uno dei figli di Amin e spesso chiacchieravamo mentre li guardavamo giocare nella piscina dell’Apollo Hotel. Lo stesso che si vede nel film. Oggi è lo Sheraton”.
Il tema centrale delle loro conversazioni era il progetto sulla lotta alla gonorrea di cui si stava occupando il medico italiano. Amin mostrava un tale interesse al punto di prelevarlo nei fine settimana e portarlo nelle caserme di Mbarara a sensibilizzare le sue truppe.
Nel ’74 portò addirittura Paolo in diretta televisiva sulla rete nazionale. “Con me seduto al suo fianco, disse che era il più grande amatore del mondo e che prendeva l’ambororo due o tre volte al mese e che ogni volta veniva a curarsi da me”. “L’ambororo” era la gonorrea in swahili ma il dottore italiano nega che Amin fosse mai andato da lui per questa infezione. “Voleva condividere i problemi della gente e si mostrava uno di loro per trasmettere i messaggi. Io non so perché, ma a lui stava a cuore il problema della gonorrea”.
Questo particolare raccontato dal dottore italiano fa riemergere una congettura che è iniziata a circolare dopo la caduta del dittatore ugandese. Il suo comportamento paranoico e a volte schizofrenico con cambi repentini di umore e d’opinione fecero nascere il dubbio che fosse affetto da neurosifilide e che ciò lo portasse a mostrare sintomi di disturbo di personalità, come del resto ipotizzato nel saggio Pox: Genius, Madness and the Mysteries of Syphilis di Debora Hayden, pubblicato nel 2003 qualche mese prima che Amin morisse in esilio a Gedda in Arabia Saudita. Il dittatore ugandese era così interessato alle malattie sessualmente trasmissibili perché lui stesso ne era affetto?
Il Professor Marandola ricorda bene le manifestazioni del lato oscuro del dittatore: “aveva scatti d’ira improvvisi… Era capace di stare tranquillo a tavola con te a bere una birra per poi girarsi e dire a un ufficiale di andare ad ammazzare qualcuno”. Per Paolo nessuno poteva immaginarlo al primo incontro, perché era un cambio così repentino che spiazzava. Da una parte un Amin socievole e amichevole, dall’altra un bruto “assolutamente crudele e perverso nelle sue manifestazioni contro i nemici”. “Quando Amin si arrabbiava… quella faccia da bambino, quel viso su quell’enorme busto… si trasformava in un’espressione terrificante”. Erano manifestazioni di una patologia? Paolo dice di esser certo di un disturbo della personalità ma di non avere alcuna prova sulla neurosifilide. “Non ho mai visto sintomi fisici esterni nelle visite. Sarebbe stato necessario un test specifico” ovviamente impossibile da ottenere.
“In ogni caso al tempo Amin aveva trovato questa sorta di intesa con me… e francamente era reciproca”. Paolo sintetizza così il suo rapporto con un personaggio che in quel periodo rispettava e apprezzava, un po’ come il dottor Garrigan nella pellicola. E, come per il personaggio inventato, la cosa è andata avanti fino a quando una serie di eventi che lo coinvolsero gli fecero aprire gli occhi e scoprire le atrocità, fino a farlo cacciare dal paese.
Mentre il Professor Marandola racconta, il film entra nel vivo delle tragiche vicissitudini che il personaggio del dottore scozzese deve affrontare. La tensione aumenta fino ad arrivare a circa un’ora e venti di pellicola quando viene uccisa la quarta moglie di Amin, Kay, interpretata dall’attrice Kerry Washington. Il suo corpo viene ritrovato oscenamente smembrato e Garrigan si dispera quando lo vede in una sala mortuaria. Paolo su questa scena smette di parlare e osserva attonito. “La ricostruzione di ciò che accadde quel giorno nella sala autoptica dell’ospedale di Mulago è vera. Io c’ero e non lo dimenticherò mai… Erano due persone che conoscevo e la cosa mi stravolse”.
Secondo le ricostruzioni di allora, la quarta moglie del dittatore ugandese, Kay Adroa Amin, aveva una relazione con il ginecologo ugandese Mbau Mukasa (nel film l’affaire è invece con il protagonista Garrigan) e il suo omicidio resta ancora avvolto nel mistero. Nell’agosto del 1974 il corpo della donna venne ritrovato fatto a pezzi nel portabagagli dell’auto di Mukasa di fronte a una scuola a Nakasero nel centro di Kampala, mentre il dottore era stato trovato morto il giorno prima nella sua abitazione. Ufficialmente fu detto che Kay fosse incinta dell’uomo e che morì durante il tentativo di aborto da parte del ginecologo che poi si suicidò, ma nessuno è mai riuscito a spiegare lo smembramento del corpo della donna. Vendetta di Amin perché aveva scoperto la relazione?
“Ci chiamarono per partecipare a un’autopsia. Ci siamo trovati di fronte ai due corpi, uno dei quali orribilmente fatto a pezzi… a quel punto dissi basta e iniziai a pensare di lasciare il paese e lo dissi alla mia equipe medica”. Il medico italiano cominciò a dare più peso alle notizie che riguardavano persone scomparse, uccisioni sospette e torture che nel frattempo erano diventate sempre più frequenti. A riportare le notizie a Paolo erano i missionari comboniani presenti capillarmente sul territorio. “A partire dal 75 le torture e le uccisioni divennero di dominio pubblico e negli ospedali arrivavano persone vittime di torture o di strani incidenti”.
A questo punto il professor Marandola poggia la schiena sulla spalliera della sedia, fa un sospiro come per prepararsi a un racconto difficile e doloroso. Poi alza lo sguardo verso la finestra dello studio e inizia ad esporre le complesse vicende che lo coinvolsero e avvennero quasi simultaneamente nell’Uganda del 1975.
Da qualche tempo egli era diventato amico della principessa Elizabeth Nyabongo Bagaaya, appartenente alla famiglia reale dei Toro (uno dei cinque antichi regni ugandesi), famosa nel paese e all’estero come prima avvocatessa ugandese e top model internazionale. Nel febbraio del ’74 venne nominata ministro degli esteri da Amin, il quale, secondo Paolo, “aveva un debole per lei e intendeva sposarla per assumerne anche il titolo nobiliare” legittimandosi ulteriormente agli occhi de popolo.
Forse a causa del suo rifiuto, il dittatore la rimosse dal ministero nel novembre dello stesso anno accusandola di aver avuto un rapporto sessuale con l’allora Ministro degli Esteri francese nell’aeroporto di Orly a Parigi. A quel punto la donna era imprigionata nel paese e si sentiva minacciata. Il dottore italiano, nuovamente contrariato dal comportamento del dittatore e convinto che le accuse fossero mere falsità, decise di intervenire per aiutare la sua amica, organizzando la sua fuga all’estero assieme ad amici in comune dell’Ambasciata zairese.
La principessa riuscì a varcare il confine con il Kenya nel febbraio del 1975 e Paolo rivela: “Fui io a portare Elizabeth fino a Nairobi con la mia auto che aveva la targa diplomatica”. Il dottore non sa se in seguito i servizi segreti del regime abbiano mai scoperto di questo suo intervento, ma certamente ciò aveva contribuito a farlo sentire insicuro nel paese.
Quasi contemporaneamente avvenne un altro episodio che coinvolse Paolo. Il medico italiano fu invitato a partecipare a una puntata della trasmissione radiofonica italiana Chiamate Roma 3131 dedicata ad Amin durante la quale giustificò alcuni comportamenti del dittatore: “Amin era un punto di riferimento per la liberazione africana e io un socialista, quindi condividevo”. Poco dopo venne contattato dal giornalista di Panorama, Carlo Rossella, che gli chiese aiuto per organizzare un’intervista a Kampala con il despota ugandese. Paolo riuscì ad ottenerla tramite l’Ambasciata Italiana, ma l’articolo di Rossella pubblicato il 20 febbraio 1975 mise in cattiva luce il dittatore irridendolo. La successiva reazione di quest’ultimo contro la sede diplomatica italiana “fu furibonda”, racconta il professore, e quasi certamente intaccò ulteriormente il suo rapporto con Amin.
“E ora viene il bello” esclama il Professor Marandola dopo una pausa nel suo racconto. Per buona parte del film di Macdonald compare un personaggio a cui, forse volutamente, non è stata data l’importanza adeguata. Si tratta di Jonah Wasswa che nella pellicola ricopre l’incarico di Ministro della Sanità e che a causa di un errore viene fatto eliminare da Amin per tradimento. Nella realtà però sappiamo che il ministro della sanità era Henry Kyemba, il quale, come Paolo conferma, era il vero consigliere del dittatore. “Era l’unico che aveva accesso alla sua camera da letto per capirci… Il suo braccio destro. Aveva molto potere”. Kyemba tra l’altro non venne mai ucciso, ma fuggì dal paese nel 1977 rifugiandosi a Londra dove rivelò ai media e al mondo le malefatte del regime ugandese pubblicando anche il bestseller “State of Blood” nello stesso anno.
All’inizio del 1975 Paolo, che lavorava a stretto contatto con Kyemba, lo accompagnò in Italia per concludere degli accordi di cooperazione bilaterali. Mentre si trovavano a Roma, il medico italiano vide il ministro entrare in una banca di Via Veneto con una valigetta. “Lì per lì non ci feci caso… ero giovane non notavo certi dettagli”, spiega Paolo. Qualche mese prima il governo ugandese aveva destinato alla sanità 40 milioni di dollari, che erano in parte spariti. I servizi segreti ugandesi avevano fatto delle indagini per scoprire dove fosse finito quel denaro. A capo dell’investigazione c’era il già citato Bob Astles. “Poco dopo il mio rientro a Kampala dall’Italia, iniziai a ricevere frequenti visite da Astles. Mi faceva domande su Kyemba e sul nostro viaggio.” Astels voleva una testimonianza su quanto aveva visto a Roma per inchiodare il ministro, ma il dottore italiano si rifiutò per non creare grane a una persona che allora stimava. “Continuavo a negare e lui continuava a venire sempre più stizzito”. Kyemba nel frattempo doveva esser venuto a sapere delle strane visite e “pressioni” ricevute da Paolo e aveva paura che questi prima o poi avrebbe ceduto. “Se avessi parlato, lui era finito. Ora ero tra due fuochi e la cosa non mi aiutava”.
Mentre si sviluppavano queste vicende il dottore italiano si convinse ulteriormente che l’Uganda non faceva più per lui e si recò dall’Ambasciatore italiano a Kampala, Renzo Falaschi, per annunciare la sua scelta di rientrare assieme alla sua equipe. Il diplomatico italiano osservò che la partenza avrebbe leso l’immagine del paese e i due, fra i quali già non correva buon sangue, sorse una animata discussione.
Secondo quanto rivela Paolo, poco tempo dopo l’Ambasciatore lo invitò a cena nel corso della quale si sarebbe parlato dell’eventuale appoggio da parte di alcune potenze europee ad un eventuale colpo di stato. Essendo ben inserito nella cerchia del dittatore, egli avrebbe potuto fare da collegamento con il nuovo Ministro degli Esteri, Paul Etiang, il quale secondo le indiscrezioni avrebbe dovuto salire al potere al posto di Amin. Paolo accettò. “diventai il messaggero tra le diplomazie ed Etiang. La mia posizione si faceva sempre più scomoda e delicata”.
Mentre tutto ciò accadeva, scoppiò una crisi diplomatica tra l’Uganda e il Regno Unito causata dall’arresto dello scrittore inglese Denis Cecil Hills. Quest’ultimo era stato condannato a morte nell’aprile del 1975 con l’accusa di spionaggio e sedizione a seguito del modo in cui aveva descritto Amin nel suo libro intitolato “The White Pumpkin”. Per liberare Hills dovette intervenire personalmente il ministro degli esteri britannico James Callaghan e fu addirittura necessario un appello della Regina Elisabetta II, e quei giorni concitati finirono col coinvolgere anche Paolo.
La moglie di Hills, Ingrid, era di nazionalità tedesca e l’ambasciatore dell’allora Repubblica Federale di Germania si rivolse al dottore italiano affinché intercedesse con Amin per convincerlo a lasciar partire la donna assieme ai suoi due figli. Vista la delicatezza della richiesta e il caso internazionale, Paolo rispose che prima di muoversi sarebbe stato meglio ricevere un’autorizzazione dall’ambasciatore Falaschi. Il delegato tedesco chiede dunque un colloquio con il suo omologo italiano e quest’ultimo andò in confusione. L’Ambasciatore italiano avrebbe “creduto che io avessi parlato del piano del colpo di stato con l’Ambasciatore tedesco, il quale evidentemente non sapeva nulla. Così si sentì messo allo scoperto”, afferma il professore quasi rassegnato.
A seguito di questi elaborati intrecci, Paolo si ritrovò con due persone che l’avrebbero voluto fuori dal paese: il ministro Kyemba e l’ambasciatore Falaschi. “Solo più in avanti, tramite informazioni da terzi, scoprii ciò che sospettavo. I due dovevano essersi accordati per farmi fuori”, spiega Paolo.
Stando a quanto afferma il medico, i due incontrarono Amin al suo rientro da un viaggio in Angola, e accusarono il medico italiano di un complotto ai suoi danni. Circa 24 ore dopo questo incontro Paolo ricevette una lettera dell’Università di Makerere datata 27 novembre nella quale il vicerettore Joseph Lutwama comunicava d’aver ricevuto ordini per la cessazione immediata del rapporto di lavoro con l’Istituto e l’intimazione a lasciare immediatamente il paese.
Al suo rientro in Italia Paolo tentò di essere accorpato ad altre missioni e progetti di cooperazione in vari paesi del continente africano senza successo. Le sue domande vennero sempre respinte. “L’Uganda di Amin al tempo aveva strette relazioni con la maggior parte dei Paesi africani. Sono certo che Kyemba abbia fatto pressione per tenermi fuori dal continente e lontano da Amin”, afferma convinto Paolo.
La svolta arrivò nel 1977 quando inaspettatamente ricevette una proposta dallo Zambia dove serviva un medico urologo. Il governo di Lusaka era l’unico a non essere allineato con il regime ugandese, avendo dato asilo all’ex-presidente ugandese e avversario di Amin, Milton Obote. “Accettai immediatamente ed è per questo che mi trovo qui…”, confessa il dottore concludendo il suo racconto.
Nel frattempo la riproduzione del film sul computer è finita. Resta da capire il perché né Giles Foden, né Kevin Macdonald abbiano mai tentato di entrare in contatto con una persona che sembra aver vissuto gli eventi simili a quelle del cine-fantasistico Garrigan. Anzi è proprio questa somiglianza a far nascere molte incognite.
“Venni a sapere del film dalla figlia di un mio amico che lavorava a Hollywood, Mima Casanova. Mi disse che era stata contattata per interpellarmi, ma non sono mai stato interpellato”. Paolo, incuriosito, ha cercato di trovare una spiegazione e tutte le sue congetture riconducono di nuovo a Kyemba.
L’ipotesi del medico è che l’ex ministro, essendosi rifugiato a Londra e avendo scritto il libro State of Blood, abbia contribuito alla realizzazione sia del romanzo che del film. Di conseguenza avrebbe poi accuratamente evitato il coinvolgimento di un personaggio “scomodo” come il Professore. “Solo lui poteva rivelare così tanti dettagli su Amin a mio avviso. E poi… – Paolo fa uno sguardo ammiccante – Wasswa, il personaggio che nel film sarebbe Kyemba. È strano che gli somigli così tanto no?”.
Il medico in effetti ha ragione a notare questo dettaglio. Non si comprende il motivo per cui alla figura di Kyemba, forse più vicina al dittatore ugandese in quei anni, sia stato dato un ruolo così marginale nella storia, oltre ad addirittura un nome inventato pur rendendo l’attore molto somigliante. “Affascinante in ogni caso no? – domanda Paolo mentre si alza dirigendosi nel verde patio appena fuori la porta del suo studio. Poi sorride. –Sto scrivendo un libro di memorie dove svelerò molte cose… chi vuol fare film avrà molto materiale”.