14 Gennaio 2019
Cosa resta della rivoluzione di Sankara fra insicurezza alimentare e terrorismo
Sulla strada da Ouagadougou a Kaya, mentre il paesaggio vira al rosso e al giallo del deserto, il tratto della ferrovia voluta da Sankara è in stato di abbandono e incarna le speranze tradite del popolo burkinabé.
La bataille de fer di Sankara rientrava nel suo progetto per de-schiavizzare il Sahel, contribuendo allo sviluppo non solo economico, ma soprattutto culturale.
“La società nuova esige mentalità nuove”[1], affermava nell’agosto 1985, mentre raccontava alla popolazione i risultati ottenuti fino a quel momento. Fra essi, la prima parte della ferrovia nata dall’impegno condiviso di chi volontariamente decise di contribuire all’opera per superare l’ostacolo della mancanza di fondi rifiutati dalla Banca Mondiale che ne osteggiava la creazione.
“La rivoluzione non è un cocktail party per dandy dai guanti gialli”, aggiungeva, consapevole delle criticità che avrebbe incontrato. Eppure, grazie alle sue politiche, nel 1986/87 per la prima volta il raccolto garantisce delle eccedenze, ma il golpe dell’ottobre di quell’anno distruggerà anche le strutture che avevano garantito un simile risultato. Un Paese affamato e asservito conviene sia a chi lo governa sia a chi lo sfrutta sotto nuove vesti.
La potenza di Sankara non risiede solo in un pensiero decisamente all’avanguardia per il suo tempo, ma nella capacità di spiegare facilmente temi complessi. “Volete capire in cosa consiste il neocolonialismo? Guardate nel vostro piatto! Quello che mangiate non lo avete prodotto voi”, puntualizzava.
Da lì, la sfida a “consumare burkinabé” che, nel caso dei funzionari di stato, si traduce anche nell’obbligo di indossare solo capi prodotti e lavorati in Burkina Faso fino a far diventare il tessuto tipico “faso dan fani”[2] simbolo di eleganza ed emancipazione.
In agricoltura, invece, quest’idea promuove un’economia a chilometro zero e tre politiche cruciali: lotta alla desertificazione, contrasto al pascolo indiscriminato le cui aree andavano delimitate e campagne per il rimboschimento con lo slogan “Piantate un albero e sarete i benvenuti”.
Era il 1986 quando annunciava che erano già stati piantati 10 milioni[3] di alberi e gli studenti erano stati chiamati a migliorare le proprie abitazioni per ridurre il consumo di legna.
“La società nuova esige mentalità nuove”
Delle sue battaglie per la sicurezza alimentare e l’ambiente, oggi non rimane quasi nulla se si considera che i sei Paesi attraversati dal deserto del Sahel hanno registrato livelli record di malnutrizione e nessuno dei Paesi africani è sulla buona strada per raggiungere gli Obiettivi di Sviluppo Sostenibile (SDGs) entro il 2030.
Il Burkina, in particolare, è al 138esimo[4] posto su 157 in termini di progresso verso i SDGs con una popolazione per il 44% sotto la soglia di povertà internazionale e un indice di sviluppo umano (HDI)[5] che lo colloca al 183esimo posto su 189. Dei circa 20 milioni di abitanti, si stima che almeno 4 milioni potrebbero subire stress alimentari. Ma a patire l’insicurezza alimentare non è solo la popolazione locale. A causa delle crescenti violenze in Mali, il flusso di profughi in entrata aumenta costantemente e secondo il PAM, solo lo scorso novembre, sono stati assistiti 22.000 rifugiati e le tensioni aumentano ovunque tanto che il 2018 si è chiuso con 193 “incidenti”, 180 vittime e 146 feriti[6].
Tre anni fa, il 15 gennaio 2016, il Burkina Faso vive per la prima volta in maniera inequivocabile l’incubo del jihadismo. Gli attentati all’hotel Splendid e Ybi[7] e al Cappucino, sulla strada vicinissima all’aeroporto della capitale avvengono nel cuore del Paese e mirano a colpire soprattutto la presenza straniera che li frequenta. Il bilancio parla di 30 morti e una settantina di feriti. Nemmeno il tempo di digerire il colpo che il 13 agosto 2016 c’è un altro attentato al caffè Aziz Istanbul che provoca 19 morti e una ventina di feriti. Il modus operandi è lo stesso: uomini armati assaltano luoghi noti per essere frequentati da occidentali. Il 2 marzo 2018, infine, è la volta dell’ambasciata francese colpita insieme al quartier generale dell’esercito in un attacco congiunto. Dal 2015, c’erano già stati 80 attentati di matrice terrorista e 133 vittime[8].
“Volete capire in cosa consiste il neocolonialismo? Guardate nel vostro piatto! Quello che mangiate non lo avete prodotto voi”
Negli ultimi anni, la situazione della sicurezza interna è peggiorata costantemente tanto da influenzare pesantemente la vita quotidiana sotto vari punti di vista: istruzione, turismo, sicurezza alimentare, malnutrizione.
“Nel suo discorso per la Festa della Repubblica, l’11 dicembre 2018, il Presidente Kaboré ha affrontato anche il tema dell’istruzione pregiudicata dal terrorismo. Dopo che alla fine dello scorso anno scolastico era dovuto intervenite l’esercito per consentire agli studenti di sostenere gli esami, a settembre molte scuole sono rimaste chiuse. Il Presidente si è impegnato[9] solennemente a riaprirle al più presto”, confida con poca fiducia Abbé Paul della diocesi di Kaya, capitale della regione di Sanmatenga nel centro-nord del Paese.
Nel 2018, 770 scuole sono state chiuse privando 96.000 studenti del diritto all’istruzione. In seguito agli attacchi fra il 31 dicembre e l’1 gennaio che hanno provocato 46 vittime a Yirgou[10] (centro-nord), è intervenuto anche il Segretario Generale delle Nazioni Unite. Guterres[11] si è detto preoccupato per il peggioramento delle condizioni di sicurezza del Burkina Faso e ha assicurato il sostegno dell’ONU nella lotta contro il terrorismo e per le necessarie riforme. A pochi giorni di distanza dalla sua dichiarazione, i terroristi sono tornati a colpire nella regione del Sahel: a Gasseliki sono state 12 le vittime degli spari di una trentina di uomini armati che hanno anche incendiato un granaio e alcune attività commerciali.
A risentirne maggiormente è il fronte della sicurezza alimentare. L’aumento delle violenze ha come diretta conseguenza un minore accesso alle risorse alimentari e una ridotta possibilità di consegnare aiuti soprattutto nelle zone più remote.
Sono lontanissimi i tempi (e i risultati) del leader rivoluzionario Thomas Sankara che in soli quattro anni al potere aveva raggiunto l’autosufficienza alimentare tanto agognata grazie a una serie di riforme e al suo programma che mirava a garantire ‘dieci litri di acqua e due pasti al giorno’ a tutti.
Del leader rivoluzionario rimane un lontano ricordo, una nostalgia che ogni tanto durante le proteste riemerge soprattutto nei giovani che ne sono protagonisti e che qualche anno fa gridavano ancora “I figli di Sankara sono arrivati”[12], ma che sembra aver perso la forza necessaria per attuare l’unica rivoluzione possibile: quella del popolo, per il popolo.
Perché nessuna rivoluzione ha senso se non porta alla felicità. Come ribadito a pochi giorni dalla sua morte, “La nostra rivoluzione avrà valore solo se, guardando intorno a noi, potremo dire che i burkinabé sono un po’ più felici grazie a essa. Perché hanno acqua potabile e cibo abbondante e sufficiente, sono in splendida salute, perché hanno scuola e case decenti, perché sono meglio vestiti, perché hanno diritto al tempo libero; perché hanno l’occasione di godere di più libertà, più democrazia, più dignità. La rivoluzione è la felicità. Senza felicità, non possiamo parlare di successo”[13].
[1] http://www.thomassankara.net/susciter-lhomme-de-la-liberte-contre-lhomme-du-destin-discours-du-president-thomas-sankara-du-4-aout-1985/
[2] Davide Rossi, Thomas Sankara La rivoluzione in Burkina Faso 1983-198, p. 36
[3] http://www.thomassankara.net/sauver-larbre-lenvironnement-et-la-vie-tout-court-5-fevrier-1986/
[4] /files/documents/1864/Burkina-Faso-Nutrition-Profile-Mar2018-508.pdf
[5] https://docs.wfp.org/api/documents/WFP-0000101594/download/
[6] https://reliefweb.int/sites/reliefweb.int/files/resources/2018-12-19%20-%20OCHA%20BFA%20-%20Apercu%20humanitaire%20-%20EN%20%283%29.pdf
[7] https://www.jeuneafrique.com/depeches/294452/politique/burkina-au-moins-20-morts-dans-une-attaque-terroriste-a-ouagadougou-assaut-en-cours/
[8] https://www.lemonde.fr/afrique/article/2018/03/02/burkina-faso-attaques-armees-dans-le-centre-de-ouagadougou_5264722_3212.html
[9] http://news.aouaga.com/h/121377.html
[10] http://lefaso.net/spip.php?article87308
[11] https://news.un.org/fr/story/2019/01/1033202
[12] M. Bello – E. Casale, Burkina Faso, Lotte, rivolte e resistenza del popolo degli uomini integri, p. 45
[13] http://www.thomassankara.net/sankara-la-mia-rivoluzione-si-chiamava-felicita/?lang=it