14 Dicembre 2021
Al confine tra Polonia, Bielorussia e Lituania, sulle tracce di minoranze e meticciati, che sono alla base di un’Europa sempre più chiusa
Il cimitero di Bohoniki è quasi deserto, nel parcheggio c’è solo un’altra auto.
All’apparenza è un cimitero come ce ne sono tanti in questa zona d’Europa: una collina piena lapidi di granito seminascoste tra gli alberi. E’ una giornata spettrale e l’erba alta agitata dal vento lo fa sembrare vivo, infestato. Intorno solo campi, pianura dorata e macchie di bosco a perdita d’occhio.
Le lapidi più antiche, scavate nella roccia grezza, sono scritte in cirillico anziché in lettere latine: siamo in una zona di confine tra Polonia e Bielorussia, che è passata più volte da un alfabeto all’altro.
Ad un primo sguardo non stona nulla – il paesaggio non potrebbe essere più slavo di così. A guardarle bene però, quasi tutte le tombe hanno scritte in arabo e i monumenti sono pieni di mezze lune dorate. Una sepoltura alla polacca per un cimitero musulmano. Anche i nomi dei defunti sono arabi, ma con l’aggiunta di desinenze slave: Ibrahim Rodkiewicz, Tamerlan Jasinski, Ajsza Miskiewicz, Aladyn Szczesbowicz, Roman Assanowicz, Ali Bogdanowicz.
Siamo nella regione di Podlasie, al confine tra Lituania e Bielorussia. Qui vive da più di 300 anni una delle più antiche comunità musulmane d’Europa, di origine tatara.
I tatari sono una popolazione di origine turco-mongola che si stabilì in Europa orientale a partire dal XIII secolo. In Polonia arrivarono già verso la fine del 1300 e grazie alle loro conoscenze belliche furono utilizzati dai re polacchi come mercenari per secoli. Furono protagonisti di alcune delle battaglie più importanti della storia polacca: la battaglia di Grunwald del 1410 e poi la battagli di Vienna del 1683, durante la quale il re polacco-lituano fermò l’incursione degli ottomani in Europa.
Quest’ultima è considerata da molti polacchi una vera e propria battaglia per difendere “l’Europa cristiana dall’invasore musulmano”. Molto ironico, se pensiamo che invece fu vinta anche grazie ai leggendari ulani, i tatari che costituivano la famosa cavalleria leggera polacca.
Fu proprio dopo la battaglia di Vienna che i Tatari diventarono ufficialmente polacchi. Il re Jan Sobieski aveva poca liquidità e anziché pagarli offrì loro terre e un titolo nobiliare. In quegli anni si svilupparono le comunità di Sokółka, Bohoniki, Kruszyniany, Krynki, quattro villaggi nella regione di Podlasie che conservano ancora oggi la memoria storica della minoranza e che è possibile visitare.
Il turismo da queste parti è agli albori, ma non assente. Le due piccole moschee di legno di Boholiki e di Krzuszyniany sono un continuo via vai di macchine e di autobus. All’interno ci sono il miḥrāb e il minbar, il pulpito da cui parla l’Imam, ci sono tappeti morbidi sul pavimento e citazioni dal corano appese al muro. Cinque volte al giorno un autoparlante ricorda ai fedeli l’arrivo del momento della preghiera.
Eppure forse un musulmano ci vedrebbe qualcosa di anomalo: si entra senza scarpe, ma a testa scoperta. I tatari sono sciti, ma hanno adattato molti dei loro riti alla cultura locale e oggi celebrano matrimoni e funerali ibridi.
La moschea di Kruszyniany è considerata un po’ la Mecca dei tatari polacchi: è la moschea più importante, quella dove la comunità si riunisce per tutte le feste religiose. L’imam, la guida spirituale del villaggio, viene qui solo nelle grandi occasioni. Il resto dell’anno vive a circa un’ora di auto, a Białystok, dove lavora come autista di autobus.
Passeggiando per il villaggio si intravedono qua e là persone con gli occhi leggermente a mandorla oppure con una carnagione un po’ più scura, ma spesso non c’è molto che distingua i turisti di passaggio dalla gente del posto. Trecento anni di convivenza hanno trasformato profondamente le usanze dei tatari polacchi, i loro costumi e i loro lineamenti: ma non li hanno mai assorbiti veramente. La letteratura tatara del settecento-ottocento ad esempio era spesso scritta in polacco, ma utilizzando lettere arabe. La cucina tatara utilizza ingredienti polacchi, ma è ancora quella originale mongola.
Per questo un altro posto da non perdere a Kruszyniany è il ristorante di Dżenneta Bogdanowicz, “Tatarska Jurta”, dove si servono ricette di famiglia che sono state tramandate di generazione in generazione. Dżenneta non è solo un’imprenditrice, ma anche un’attivista e il suo sito web è la più importante risorsa sui tatari disponibile online. E’ grazie a lei che il pierkaczewnik, un pane farcito con carne macinata, è stato registrato dalla commissione europea come specialità tradizionale garantita (STG).
Il suo ristorante è quasi un museo della cultura gastronomica tartara. La coda è lunga e i piatti serviti sono a malapena una ventina, ma sono tutti piccoli capolavori. I Manti, i ravioli asiatici, sono serviti con yogurt e con marmellata di mirtilli, alla polacca. Ci si sente subito altrove tra tortini di patate alla mongola, riso pilaw (che poi è pilav alla polacca), carni e tisane speziate, caffè turco.
Basta guardarsi attorno però per tornare di nuovo in Polonia. Si è sempre circondati dalla natura selvaggia che contraddistingue la regione di Podlasie, che ospita una delle ultime foreste vergini d’Europa, Białowieża. Guidando tra una cittadina e l’altra si ha veramente l’impressione di fare un salto indietro nel tempo. Pochissime case, distese di campi, boschi fitti e quell’orizzonte basso di pianura che sembra non finire mai.
Le ultime due tappe in questi piccolo tour tartaro sono Sokółka e Krynki. Sokółka è un importante centro di pellegrinaggio per i cattolici ed è la classica cittadina sovietica, piena di palazzacci colorati costruiti con lo stampino. Sul retro del palazzo del comune però, aprendo una porta di legno, troverete l’unico museo tataro della regione che conserva costumi e manufatti d’epoca.
A Krynki invece non vedrete moschee, ma i resti di diverse sinagoghe e di uno dei più grandi cimiteri ebraici di tutto l’est Europa, oggi in stato di totale abbandono. Si fa quasi fatica a trovarlo, poi qualche lapide spunta dall’erba, piena di lumache.
Questa è la bellezza della regione di Podlasie, una delle più multiculturali del paese. Nella stessa città a pochi metri si trovano chiese cattoliche, cupole a cipolla ortodosse, ex sinagoghe, case arabeggianti. Il luogo più emblamatico per godere di questa multiculturalità è Białystok, capoluogo di regione e città natale di Ludwik Lejzer Zamenhof, l’inventore dell’Esperanto, la lingua ausiliare internazionale più parlata al mondo. Una città dove un certo estremismo di destra e la solita retorica contro i migranti sono molto presenti, ma probabilmente dovrebbero suonare più fuori luogo che altrove.
La storia dei tatari polacchi, una piccola minoranza che ad oggi conta solo 4.000 persone, può sembrare marginale nel contesto della Polonia di oggi. Invece è importantissima e carica di un significato politico più che mai attuale: ci si può sentire polacchi senza essere bianchi e cattolici. La multiculturalità non è una tendenza di questi anni di globalizzazione, perché le migrazioni sono sempre state una realtà. Soprattutto in un paese come la Polonia, che ha cambiato continuamente i suoi confini.
La regione di Podlasie in questo momento è sotto i riflettori dell’intera Europa. Qualche migliaio di persone infatti si trova proprio su quel confine, spinta verso l’Unione Europea dal regime di Lukashenko.
Persone che probabilmente si sentono tutto fuorché a casa e sicuramente ignorano che a pochi chilometri di distanza ci sono due moschee vecchie di trecento anni. Non sanno di trovarsi alle porte di quella che per tradizione secolare dovrebbe invece essere una delle regioni più aperte e accoglienti della Polonia.
Ricordare la storia dei tatari polacchi non è solo raccontare una cultura e una storia. E’ soprattutto ricordare che un’Europa diversa è esistita e che può continuare ad esistere.