Tunisia, il miraggio dell’acqua pubblica

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23 Settembre 2020

Come e perché nel paese del Maghreb questo bene primario non è per tutti

 

con foto di Fabiana Adamo

 

Jendouba, Tunisia.

Moufida ogni due giorni è costretta a lasciare i 3 figli di 6 mesi, 3 e 5 anni ai suoi vicini per andare a prendere gli ottanta litri d’acqua potabile che centellina per l’uso domestico alla fonte che si trova a 2km da casa sua. Moufida ha un piccolo vantaggio rispetto ad altre persone nella sua stessa situazione: ha un asino che trasporta le taniche al suo posto e ha una fonte relativamente vicina.

Non è una situazione inusuale nelle zone più rurali della Tunisia, dove stando agli ultimi dati disponibili forniti dall’Istituto Nazionale di Statistica, il 32% delle abitazioni in ambito non urbano sono sprovviste di acqua potabile. Nel governatorato di Jenduba, la regione di Moufida che fornisce gran parte dell’acqua potabile al resto del paese, le case in zone rurali che non dispongono di questo servizio di base sono il 52,6%, ovvero il 36,4% dell’intera popolazione regionale.

A cosa si deve questo disservizio ? Come mai una delle regioni più ricche di risorse idriche è anche tra quelle più disservite ? Che conseguenze genera l’assenza d’acqua sulla popolazione locale ?

In Tunisia la rete idrica nazionale è in mano alla SONEDE, la società nazionale incaricata della gestione e distribuzione dell’acqua, che ad oggi garantisce in ambito urbano quasi il 100% della copertura del sistema idrico.

Lo stesso non si può dire per quanto riguarda gli agglomerati non urbani. A partire dagli anni ‘70, per portare l’acqua potabile nelle zone più isolate del paese è stato promosso lo sviluppo di Associazioni d’Interesse Collettivo (AIC), divenute negli anni Gruppi d’Interesse Collettivo (GIC) prima e dal 2007 Gruppi di Sviluppo Agricolo (GDA) : entità associative private aventi come scopo la gestione diretta e il funzionamento delle infrastrutture realizzate dal governo per assicurare l’approvvigionamento d’acqua potabile in ambito rurale.

Secondo uno studio pubblicato da International Alert, il numero di queste associazioni è cresciuto esponenzialmente negli anni, raggiungendo le 2.666 unità nel 2015, di cui 1.396 incaricate della gestioni delle reti d’acqua potabile, 1.149 dei circuiti d’irrigazione e 121 «misti»,  arrivando a rifornire più di 2,5 milioni di abitanti, ovvero il 22% del paese.

 

Fonte El Feija, foto di Fabiana Adamo

 

Negli anni, i limiti di queste strutture e le loro difficoltà si sono però rivelati molteplici : da un lato la progressiva marcia indietro dello Stato, che se nella prima fase di vita delle AIC prendeva totalmente in carico le spese di funzionamento e di manutenzione del sistema idrico e i salari degli operai, oggi risulta completamente estraneo alla gestione dei GDA, diventati piccole associazioni gestite in maniera mutualistica e che non dispongono di particolari risorse finanziarie ed umane.

Sempre secondo International Alert, il 69% dei GDA funziona ormai solo grazie al volontariato dei soci, generando un giro d’affari inferiore al 6000 dinari annui, ossia meno di 2mila euro. Dall’altro, risulta quindi difficile immaginare come assicurare le spese di manutenzione ordinaria con tali risorse.

 

Secondo una stima della Direzione Generale del Genio Rurale e della Distribuzione dell’Acqua (DGGEE), il tasso medio di copertura dei costi d’utilizzo e di manutenzione degli impianti è passato dal 55% del 2006 al 30% del 2017.

L’insostenibilità di queste strutture porta dunque inevitabilmente ad una progressiva degradazione dei mezzi e del servizio offerto, che si traduce in frequenti interruzioni dell’approvvigionamento.

Causa principale di tali interruzioni è il ciclico indebitamento con la STEG, (società che gestisce l’energia elettrica), il cui mancato pagamento delle fatture ricade puntualmente sugli aderenti delle associazioni, costretti a quotizzare per far ripartire il sistema di pompaggio che garantisce l’arrivo dell’acqua alle loro abitazioni.

Il doppio pagamento degli utenti, per l’acqua consumata e per far fronte ai debiti del GDA, hanno  portato negli anni ad una progressiva diminuzione dei GDA effettivamente attivi, facendo proliferare la nascita di rivenditori privati non autorizzati che traggono profitto dalla vendita e distribuzione di acqua pubblica.

Come se non bastasse, al disagio di non poter far affidamento sull’acqua corrente, si aggiunge dunque elevato costo di accesso al bene primario, che aumenta esponenzialmente a seconda della distanza delle abitazioni dai centri urbani o dalle fonti.

Barrage Oued Kebir, Tabarka, foto di Lorenzo De Blasio

 

Se le tariffe della SONEDE variano dai 200 millimes/m3 per i primi 20m3 a trimestre, fino ad arrivare ad un massimo di 1490 millimes/m3 (50 centesimi di euro) una volta superato il tetto dei 500 m3/trimestre, le tariffe dei GDA sono più elevate, in quanto variano dai 500 millimes ai 1.250 a seconda del GDA ed a prescindere dal consumo effettivo, nonostante non sia garantito l’approvvigionamento continuo.

Proprio a causa dei continui guasti ed interruzioni, è più frequente che l’acqua si debba andarla a prendere direttamente alle fonti o al pozzo del GDA, come ci racconta Mohamed, sceso dal suo pick-up per rifornirsi ad una delle 20 fonti presenti intorno al parco nazionale di El Feija. “In caso di mancato funzionamento della rete, i GDA permettono di prendere l’acqua potabile sul posto applicando una tariffa di 7.5DT al m3 “.

Chi non ha i mezzi di trasporto per farlo è quindi costretto ad affidarsi direttamente a chi fornisce illegalmente la consegna a domicilio, pagando per la stessa quantità d’acqua dai 12 ai 25 DT (dai 4 agli 8 euro), ossia dalle 20 alle 40 volte il prezzo di mercato del servizio che dovrebbe essere garantito a tutta la popolazione.

 

Barrage Sidi Bou Heurtma, foto di Fabiana Adamo

 

“Oltre all’esponenziale prezzo pagato, la completa mancanza di controlli effettuati sull’acqua distribuita in questo modo è la causa di focolai di epatite A, che nella regione spesso coinvolgono bambini che frequentano scuole che non dispongono di acqua corrente “,  racconta Hayet Taboui, membro del Jendouba Information and Action Center, rete di associazioni della regione che tra i propri assi d’intervento ha quello di fare plaidoyer per un’equo accesso all’acqua nella regione. “Lo stato promette di arrivare con la rete idrica nei villaggi da più di 30 anni, mentre i due principali laghi artificiali della nostra regione continuano a rifornire d’acqua altri governatorati”, continua Taboui, che non accetta il paradosso per cui “chi abita vicino ai bacini non possa beneficiare direttamente della loro acqua”.

Non è un segreto infatti che i sei governatorati del Nord Est, tra cui la regione di Grand Tunis, pur rappresentado solo l’8,5 % della superficie della Tunisia ospitano il 45 % della popolazione locale, sono i destinatari principali di tutte le risorse provenienti dai bacini del Nord-Ovest.

“In questo senso la società civile è poco organizzata”, chiosa Hayet, che spiega come “le frequenti manifestazioni che avvengono ogni estate in seguito ai problemi di manutenzione delle stazioni di pompaggio, che causano puntuali tagli alla rete idrica e proteste con blocchi stradali per l’assenza di acqua nelle abitazioni nel periodo più caldo dell’anno, si concludono con la promessa di futuri lavori e migliorie che tardano ad arrivare. Qui nella zona gli abitanti sarebbero disposti a pagare i costi di canalizzazione tra la propria casa e quella vicina. Quello che manca è la volontà da parte della SONEDE di pagare i costi di struttura”, denuncia Taboui, che sottolinea come “l’acqua piovana che si riesce a raccogliere nei bacini comunitari costruiti da comitati di vicinato non basta a soddisfare la richiesta dell’abitato e richiede spese più grandi del beneficio ricavato”.

 

Rifornimento alla fonte - foto di Floriana Adamo

 

La lontananza dello stato e l’elevato costo di una vita priva di servizi primari, insieme all’alta percentuale di disoccupazione (18% nel secondo trimestre del 2020, +3% rispetto all’inizio dell’anno), sono cause che che portano i giovani ad abbandonare le campagne per cercare lavoro in città o dall’altra parte del mediterraneo.

Un abbandono che giova doppiamente al governo di Tunisi. Da un lato, perché riducendosi il numero di abitanti di queste zone vede decrescere al contempo la forza della protesta e del malcontento di chi vi risiede, potendo giustificare il mancato intervento come non realizzabile in funzione del basso numero di beneficiari interessati.

Dall’altro, l’aumento della migrazione interna e soprattutto esterna generata dall’abbandono delle campagne, diventa un fattore di contrattazione importante con i paesi vicini, come dimostrano i recenti fondi che l’Italia e l’UE hanno promesso di stanziare per ostacolare le partenze verso l’Europa.

 

Villaggio allagato per la costruzione del barrage del Oued Kebir, Tabarka - foto di Lorenzo De Blasio