Valle de los Caidos

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7 Ottobre 2019

Il mausoleo del franchismo. Sia sulla tomba del caudillo che del suo figlioccio Primo de Rivera ci sono delle rose. Non è raro che qualche invasato si presenti lì con una bandiera spagnola, inginocchiandosi sulla tomba o cantando “Cara al sol”, l’inno della Falange

“Madre mia”. “Mamma mia”, in pratica. C’è un uomo sulla cinquantina che esce dal portone della basilica ed è a metà tra lo sconvolto e il preoccupato. Non posso scambiare con lui nessuna parola, perché ora tocca a me entrare nella basilica. Una strana basilica, da fuori ha tutto dell’edificio religioso, compresa una mega-croce che domina sul paesaggio, l’avvertenza di non usare il cellulare, se possibile spegnerlo: il vero significato di questo edificio, in compenso, è puramente politico, a pensarci bene. E’ il luogo più divisivo di tutta la Spagna, forse: imponente, maestoso e al contempo spettrale. Per certi versi è un riassunto dell’intera Spagna: è El Valle de los Caidos, un argomento che è finito anche nella campagna elettorale.

Escorial

Autostrada A6, gratuita, direzione La Coruna. A nord-ovest di Madrid, la capitale spagnola alle spalle da più di mezz’ora. Guardo alla mia sinistra e noto, lassù tra i monti, una croce bianca, enorme. Potrebbe essere il Cristo del Corcovado di Rio de Janeiro, per dimensione. Invece no, El Valle de los Caidos, “la valle dei caduti”, è lì che osserva i viaggiatori, perlopiù ignari. Non è una zona particolarmente turistica, anche se il vicino paese di San Lorenzo del Escorial è meta di curiosi e appassionati: sui libri di storia del terzo anno di scuola superiore quante volte è capitato di leggere “Il Monastero dell’Escorial, dove il re di Spagna Filippo II decise di trasferire la sua corte, in un luogo strategico perché esattamente al centro della penisola iberica”.

Ecco, quello è appunto l’Escorial, che naturalmente esiste ancora, merita la deviazione: 12 euro il biglietto d’ingresso, due ore di visita guidata, un bel giardino visibile da fuori, un vago senso di sproporzione tra il monumento e la zona circostante, sembra sia stato calato dall’alto e incastrato lì, nel nulla. Ma non era proprio ciò che voleva il suo ideatore, Filippo II, il sovrano plumbeo e austero, più un notaio che un re, propugnatore della Controriforma cattolica, così diverso dal papà, Carlo V, quello sul cui impero “non tramontava mai il sole”? San Lorenzo del Escorial è stato per secoli il centro strategico dell’intera Spagna, qui ci sono sepolti tanti dei sovrani che nei libri di storia ci sono entrati con più o meno merito.

Persino Juan Carlos di Borbone, padre dell’attuale re, pare abbia espresso la volontà di essere tumulato qua, dove lo scorso 17 maggio è apparso in pubblico per l’ultima volta, prima di annunciare il ritiro a vita privata. Per ora i sepolcri sono 26, nella Cripta Real, compresi quelli della mamma e del papà dell’ex re Juan Carlos, nonni dell’attuale sovrano Felipe VI.

Prima di arrivare a San Lorenzo, comunque, c’è El Valle de los Caidos: monumento nazionale spagnolo. Come se fosse uno Stato a sé, l’ingresso assomiglia tantissimo a una frontiera, con una sorta di casello che in realtà è la biglietteria. E lì accanto qualche poliziotto, sparuto, probabilmente non ci crede nemmeno lui alla sorveglianza che deve effettuare. Cosa deve sorvegliare, in effetti? Me lo chiedo anche io mentre dall’entrata risalgo la strada, in questa pineta labirintica, mi sembra di girare in tondo a qualcosa.

“Non si può parcheggiare sotto la basilica perché alle 11 inizia la Santa Messa”, mi ha avvisato la signora della biglietteria. Lassù c’è la croce, la basilica, le indicazioni scarseggiano: appena vedo una curva con una freccia mi ci tuffo e ho ragione. Sono in un parcheggio, deserto, solo un omino che raccoglie rifiuti vari e aghi di pino.

Il caldo è soffocante, trenta e passa gradi, sono esattamente sotto la croce e quindi sotto la basilica, in quella che è stata definita come “la più grande fossa comune di Spagna”. Oltre 33mila resti umani sono conservati nei vari ossari, attorno alla chiesa.

I due più controversi, però, sono situati sotto la croce, accanto all’altare principale: José Antonio Primo de Rivera, fondatore della Falange, l’anima fascista della Guerra Civile Spagnola, e soprattutto Francisco Franco, il caudillo, il dittatore, morto nel suo letto nel 1975 dopo 39 anni di regime sanguinario. Un regime iniziato, appunto, con la Guerra Civile e proseguito tra sopraffazioni e crudeltà varie, con il beneplacito del resto dell’Europa. Chi non era con la dittatura finiva male, specie se di idee politiche diverse dal fascismo: alcune comunità più “rosse” delle altre, come i Paesi Baschi o la Catalogna, hanno pagato col sangue la loro opposizione. Una pagina nera, in tutti i sensi, della storia recente.

In sostanza, comunque, El Valle de los Caidos è il mausoleo del franchismo. Sia sulla tomba del caudillo che del suo figlioccio Primo de Rivera ci sono delle rose, raccolte in mazzi oppure sciolte, rosse o gialle. Non è raro che qualche invasato si presenti lì con una bandiera spagnola, inginocchiandosi sulla tomba di Franco o cantando “Cara al sol”, l’inno della Falange. Specie da quando, è cosa di un anno fa, il governo ha paventato l’ipotesi di trasferire altrove i resti del caudillo per rendere El Valle “un luogo di memoria e riconciliazione”.

E la recentissima decisione del Tribunale Supremo, in accordo col governo, di avallare lo spostamento al Cimitero di Mingorrubio a Madrid, accanto alla moglie di Franco e ad altri simpatizzanti del caudillo (compreso Carrero Blanco, quello fatto saltare per aria da Eta e la cui storia è ripercorsa nel film “Ogro”), ha riacceso le polemiche.

Un po’ Vittoriale degli Italiani, ma mancano D’Annunzio e le sue stravaganze, le stanze piccole piene di oggetti superflui, la nave Puglia che guarda verso Fiume, il Mas o l’Isotta Fraschini blu; un po’ Altare della Patria, pur mancando l’altra metà della Patria, ufficialmente racchiusa dentro quel nome, “los caidos“, che sarebbero di ambedue gli schieramenti, ma insomma, è un po’ ambiguo, al centro della scena c’è Franco e il franchismo; un po’ Predappio, ma più austero, più istituzionale, quasi. Tutto questo rende El Valle un luogo particolarmente spettrale, a partire dall’interno della basilica, dove non filtra nessuna luce e le uniche che si trovano sono artificiali.

Il negozietto di souvenir all’ingresso, con cartoline, libri di ricette e oggettistica molto generici, l’ampio corridoio con pochi gradini che portano al cuore della basilica vera e propria, all’altare sovrastato da un Cristo benedicente in stile quasi bizantino e, al di fuori, la croce alta 150 metri e larga 24: più che una chiesa a un certo punto mi sembra di essere in un parco tematico o in un film di fantascienza.

Poi mi volto e leggo: “Francisco Franco caudillo de Espana patrono y fundador inaugurò este monasterio el dia 1 de abril 1959”, oppure “SS Juan XXIII erigiò su iglesia en basilica por breve de 7 de abril 1960 y fue consagrada el 4 de junio del mismo ano por el cardenal Gaetano Cicognani”.

Sì, la chiesa cattolica è molto presente qua dentro: certo, bisogna andare a leggerle al buio queste frasi, incise sulla pietra, ma ci sono, eccome. Ma che la religione fosse fondamentale, quasi opprimente, durante il regime, non lo scopriamo certo oggi: “Bisogna parlare cristiano”, era l’ammonimento tipico verso chi non si esprimeva in castigliano, bensì in basco, catalano o gallego, in quei 39 anni. Spagna uguale cattolicesimo uguale chiesa uguale, vabbé, il caudillo. Lo stesso Vaticano dopo la sentenza ha emesso un comunicato in cui si è detto “non contrario all’esumazione” e che comunque è “qualcosa che riguarda la Chiesa e lo Stato spagnoli”.

Il corridoio che porta all’altare inizia sotto la “protezione” di due figure alate identiche ed enormi, due statue con in mano uno spadone. Dovrebbero essere degli angeli, ma vatti a fidare. Da lì inizia una serie di cappelle, su ambedue i lati, dedicate nell’ordine: alla Virgen de Africa (in ricordo dell’inizio della Guerra Civile), alla Virgen Inmaculada (protettrice dell’esercito di terra), alla Virgen del Carmen (protettrice dell’Armada, l’esercito spagnolo-franchista), alla Virgen de la Merced (protettrice dei prigionieri) e alla Virgen de Loreto (protettrice dell’esercito dell’aria).

Ecco l’altare, sovrastato da una cupola colossale. Le tombe di Franco e di Primo de Rivera, sulla sinistra la Messa, nella Capilla del Santissimo: a destra, nella Capilla del Sepulcro una croce con un sudario, una statua di Gesù sdraiato con ai suoi lati una Madonna che prega e un soldato che ha la mano destra sul cuore. “Caidos por Dios y por Espana”, leggo sopra una porticina, “1936-1939: rip”. Letto così sembra ad un primo impatto che sia in inglese, tanto siamo abituati a leggerlo o a scriverlo sui social media: naturalmente andrebbe letto in latino, “requiescant in pace”, e non “rest in peace”. Bisogna parlare cristiano, bisogna parlare cristiano, bisogna parlare cristiano.

Manca l’aria, lì dentro. Davvero la Spagna era così? Davvero ci sono fior di nostalgici che bramano una Spagna così? Come si chiudono i conti con questo passato? Ma sono davvero stati chiusi? C’è la volontà di chiuderli? Dei 33mila resti umani presenti nel sacrario, circa un terzo sono di sconosciuti, di vittime del regime franchista, che invece quel monumento l’ha voluto a futura memoria. Altri migliaia di “desaparecidos”, sepolti chissà dove, attendono ancora giustizia. Basta per “fare la pace”? Non ci posso credere.

Di sicuro i discendenti di quei morti di parte repubblicana non vengono qua, in mezzo alla Sierra de Guadarrama, a ricordare i parenti defunti solo per idee politiche “sbagliate”: anche perché i corpi dei loro cari sono finiti lì senza il loro nulla osta, anzi, quasi tutti trafugati. Spostare i resti di Franco altrove cosa comporterebbe? Probabilmente nulla. È un insieme di contraddizioni che lascia sbigottiti. La famiglia avrebbe voluto addirittura metterli in centro a Madrid, nella cattedrale dell’Almudena. Un po’ come mettere Mussolini a San Pietro o a San Giovanni in Laterano.

Uscendo, per tutto il corridoio, poi, in alto, noto otto figure incappucciate, quattro per ogni lato, che guardano verso il basso e che prima mi erano sfuggite: e mi sovviene Zamora, ad esempio, cittadina dove ogni anno a Pasqua c’è una processione di gente vestita così, che in aggiunta si fustiga anche. Intere parti della Spagna sono ancora inchiodate a decenni fa, al contrario di altre che si sono modernizzate in maniera quasi sproporzionata.

E non è questione di nord o sud, come invece potrebbe essere in Italia. Allora sì, uscendo, dopo aver notato un cartello con l’annuncio di una Via Crucis effettuata lì pochi giorni prima (2.300 gradini, si specifica pure), come il signore incontrato sull’uscio in precedenza, anche io tra me e me ripeto “Madre mia”.