Francisca Fernández Droguett, antropologa cilena, master in Psicologia sociale e dottoressa di ricerca in Studi americani. Dal 2013 è membro del Movimiento por el Agua y los Territorios (MAT) ed è portavoce del comitato socio-ambientale Coordinadora Feminista 8M. Inoltre balla danze andine e fa parte del Colectivo Cerro Blanco. Specializzata in antropologia giuridica, difende i diritti idrici delle comunità aymara e quechua. Ha stretto una relazione molto forte con il resto del continente latinoamericano, specialmente con la Bolivia e l’Ecuador, svolgendo ricerche e stage. Attualmente è professoressa all’Universidad Academia Humanismo Cristiano de Chile (Santiago del Cile), dove è stata condotta quest’intervista.
In veste di organizzatrice del Vertice dei Popoli (Cumbre de los pueblos), incontro plurinazionale tenutosi a Santiago del Cile tra il 2 e il 7 dicembre 2019, raccontaci, com’è stata l’esperienza?
Il Vertice dei Popoli è stata un’istanza presentatasi, in qualità di Movimiento por el Agua y los Territorios, nel marzo 2019, momento in cui sono state definite due proposte: in primo luogo, la realizzazione dei cabildos per l’acqua (incontri cittadini, riattivatisi e moltiplicatisi dopo lo scorso ottobre, ndt) e poi la necessità di generare un’istanza parallela alla COP25, in cui fossero presenti, assieme al MAT, altre organizzazioni, soprattutto le ONG territoriali, provenienti dal Cile, dall’America Latina e dal mondo.
Pertanto, il Vertice dei Popoli ha generato diversi spazi: uno generale per il dibattito sugli effetti di monocolture, agrotossici, agroindustria, estrattivismo minerario, piscicoltura, settori idroelettrico ed energetico e la situazione dei ghiacciai. Ma soprattutto, creare un momento per aggiornarci su ciò che stava succedendo in Cile, dando forte enfasi all’assemblea costituente e all’input che le lotte socio-ambientali o l’esempio dei diritti della natura possono fornire al dibattito.
Il secondo spazio era lo stand delle donne, che toccava diverse dimensioni. Da un lato, la denuncia di come l’estrattivismo danneggi di più noi donne, ragazze, dissidenti sessuali, considerando il modello di sfruttamento della natura simile a quello perpetrato contro le donne. Abbiamo anche realizzato un tribunale etico, prendendo in considerazione il caso di Macarena Valdés, assassinata nel 2016 in Cile, nel quadro della difesa territoriale di Panguipulli contro l’idroelettrica Tranquil. Allo stesso tempo, abbiamo trattato il caso della morte di oltre 120 contadini e contadine in Paraguay, a causa dei pesticidi usati per le piantagioni di soia, e anche il caso di Nicole Saavedra che, sebbene sia catalogabile come omicidio lesbico-femminicida, in quanto lei era lesbica, è in realtà un’uccisione rimandabile al suo contesto territoriale, in cui agrotossici e agroindustria vanno a braccetto in quelle che chiamiamo economie e territorialità mascolinizzate. Un’altra dimensione presente nello stand delle donne è stata quella delle alternative all’estrattivismo, come possono essere le economie solidali, locali e femministe, vincolate al lavoro sulla sovranità alimentare e sulla protezione delle sementi native.
Infine, c’era il Villaggio della Pace, dove le organizzazioni più legate all’ambito spirituale, hanno sviluppato attività per rendere visibile questa dimensione, sia dalla prospettiva dei popoli originari che da quelle delle organizzazioni socio-ambientali.
Cosa puoi dirci sul 5º Tribunale internazionale per i diritti della natura che ha avuto luogo sempre in Cile?
Purtroppo il 5º Tribunale internazionale per i diritti della natura non si è tenuto all’interno del Vertice dei Popoli dell’Universidad de Santiago, ma presso la Facoltà di Ingegneria dell’Universidad de Chile e sono stati affrontati casi piuttosto emblematici di estrattivismo in America Latina. Ad esempio, sono stati analizzati i casi degli incendi in Amazzonia e del fracking di Vaca Muerta in Argentina. Per quanto riguarda il Cile, sono state contemplate varie situazioni: il litio nel Salar de Atacama, la Patagonia quale grande riserva di vita, così come un caso più generale, che è la privatizzazione dell’acqua in tutto il Paese.
Il tribunale etico ha un procuratore della Terra, che è un avvocato emblematico delle lotte per i diritti socio-ambientali dell’Argentina (Enrique Viale), e si costituiscono tavoli di lavoro, formati da giudici che lavorano su diversi casi. Per il Cile gli analisti erano Nancy Yáñez e Raúl Sohr. C’erano anche Alberto Acosta, Yaku Pérez e Maristella Svampa. Alberto Acosta è stato scelto come giudice privato per affrontare la realtà cilena.
Nel corso del Vertice dei Popoli, al tavolo delle esperienze costituzionali e dei diritti della natura in America Latina, hai lanciato l’idea di destituire il nazionalismo, l’estrattivismo e le politiche di sviluppo in Cile.
Sì, è complesso, il pericolo che avverto è che, se aspiriamo al fatto che tutto il cambiamento giunga per mezzo dell’assemblea costituente e della nuova costituzione, ma se questi processi non vanno nella direzione auspicata, ci deprimeremo. Sento che dobbiamo dare visibilità al fatto che il cambiamento lo stiamo già vivendo, attraverso i processi di agency territoriali, la riflessione a livello di quartiere, le merende collettive per strada, le performance del Colectivo Lastesis. Credo che tutti questi input siano processi costitutivi di questi nuovi orizzonti politici e che stiano anche destituendo il discorso monoculturalista e oppressivo.
Noi, come Movimiento por las Aguas y los Territorios, propugniamo un’assemblea costituente plurinazionale, femminista e con focus socio-ambientale. Quando parliamo di plurinazionale, non è esclusivamente il mondo indigeno, quanto piuttosto riconoscere diverse comunità politiche che compongono i territori, tra cui le popolazioni autoctone, i migranti, gli afro, i settori rurali-urbani e popolari. Questa è la plurinazionalità, che è qualcosa di molto potente per pensare all’articolazione di queste comunità politiche.
Per quanto riguarda il femminismo, si tratta di intenderlo da una prospettiva trasversale, che non passa solo attraverso la parità, figura che rappresenta un elemento quasi statistico. Invece ciò che cerca il femminismo è generare pratiche anti-patriarcali, che rendano visibile la violenza strutturale nei confronti di donne, ragazze, dissidenti sessuali. D’altra parte, l’aspetto socio-ambientale si riferisce al modo in cui siamo in grado di poter esercitare la nostra influenza, ad esempio, affinchè ci sia un riconoscimento dei diritti della natura.
Il Movimiento por el Agua y los Territorios ha proposto di liberare l’acqua dalla privatizzazione attuale, ma allo stesso tempo di non nazionalizzarla. Immagino che la distinzione sia dovuta al timore nei confronti dello Stato…
In effetti non è stato semplice all’inizio trovare un accordo, dato che c’erano settori del movimento che erano maggiormente propensi alla nazionalizzazione. Finché avremo uno Stato Nazione monoculturale ed estrattivista, una buona gestione delle risorse idriche non può essere statale. Ciò non toglie che bisognerà interpellare lo Stato, è ovvio, ma quello che proponiamo è una gestione comunitaria delle risorse idriche. Dal territorio e dalla realtà micro possiamo articolare questi sforzi più concreti e più specifici. Ad esempio, il servizio sanitario di Maipú è un caso di gestione idrica diretta della comunità.
Anche se non siamo interessati a nazionalizzare l’acqua, ci sembra imprescindibile il riconoscimento del suo diritto costituzionale, che è un’altra cosa. In effetti, fin dal primo giorno, il nostro movimento ha sostenuto l’idea di abrogare il codice dell’acqua del 1981. Per quante riforme si vogliano fare, fin quando ci sarà quel corpus normativo, non v’è alcuna possibilità di liberarsi dalla privatizzazione. Questo è il motivo per cui la nostra richiesta principale, dal 2013, è quella di abrogare il codice dell’acqua tramite un’assemblea costituente che crei una nuova costituzione.
Come vedi l’ecofemminismo in Cile?
Penso che abbiamo raggiunto un processo incipiente ma estremamente potente. L’ecofemminismo come termine c’era già negli anni ’70 e aveva un’impronta più europea, motivo per cui alcune di noi si sono avvicinate di più al femminismo comunitario boliviano, ai femminismi territoriali, che è ciò di cui parla Maristella Svampa. Da un bel po’ di tempo sto lavorando sulla nozione di femminismi dei popoli. Per esempio, una militante del nostro comitato socio-ambientale, legata alla battaglia contro i pesticidi in Cile, si definisce femminista proprio a partire da quello scenario di lotta socio-ambientale. La cosa interessante è che il femminismo socio-ambientale che ha avuto una nuova visibilità non proviene dal femminismo, ma dalle lotte per i territori. Fa la differenza, perché deriva dall’esperienza di come le donne sono più colpite dall’estrattivismo, in termini di economie e territori mascolinizzati, dove c’è violenza sia a livello di precarietà e flessibilità sul lavoro, ma anche nella quantità di ruoli che dobbiamo assumere nella cura dell’ambito domestico. Nei casi di Ventana-Quintero-Puchuncaví, ad esempio, dove risultarono intossicate alcune bambine, sono state le madri ad essere presenti, non è un caso, quindi, che a capo di molti dei territori coinvolti ci siano delle donne.
Questa critica al femminismo occidentale, eurocentrico, che presume di venire a spiegare al resto delle donne nel mondo come essere femministe, come lo vedi?
Convocammo un incontro nel mese di agosto, chiamato “Incontro socio-ambientale plurinazionale Macarena Valdes”, presso La Ligua. È stato interessante perché uno dei temi centrali del femminismo classico, sia autonomo che istituzionale, è stato quello dei diritti riproduttivi e dell’aborto, che certamente sono trasversalmente la nostra bandiera. Tuttavia, le militanti contadine ci hanno sempre tenuto a ricordarci, e mi sembra particolarmente rilevante, che la nostra lotta è per la sovranità del corpo, e accanto all’aborto c’è la maternità, che è un elemento decisivo nella costruzione territoriale dei popoli originari, dei contadini, delle donne afro o migranti (si consideri che le campagne di sterilizzazione subite da questi gruppi sociali, nonché gli aborti in seguito ad abusi coloniali e postcoloniali, tingono la rivendicazione dell’aborto di altra memoria e storia, rispetto al contesto europeo, ndt).
Ora, pensando più all’America Latina in termini di conflitti socio-ambientali, come vedi la relazione tra governi progressisti ed estrattivismo? In Cile questo è abbastanza invisibilizzato, dal momento che siamo in un paese così neoliberista da non far apparire questa discussione…
Sono stata molto vicina al governo di Evo Morales, in una sua prima fase. Difatti, ho partecipato alle attività del Ministero della decolonizzazione e della depatriarcalizzazione. Il mio dottorato si incentrava sulla comunità aymara di Jesús de Machaca, del lago Titicaca. Mi sento molto vicina, nutro profondo affetto e amore verso i popoli della Bolivia. Tuttavia, ho sempre notato la tensione soggiacente alla figura statale. In questo senso, lo Stato, a prescindere da quanto plurinazionale si voglia presentare e quanto lo si riempa di altre denominazioni, rimane uno Stato estrattivista. Infatti, negli ultimi anni le imprese estrattiviste sono aumentate in Bolivia, sulla base dell’argomento dominante di aver migliorato le politiche pubbliche e ampliato le politiche sociali.
Certo, dipende dall’angolo da cui si guardi la cosa…
Sì, voglio sottolinearlo, non esiste alcuna equivalenza tra Cile e Bolivia, non è possibile, perché sono processi molto diversi, complessi e di realtà diverse. Per me l’esperienza più meravigliosa in Bolivia è stata proprio quella dell’assemblea costituente, più che la stessa costituzione. Il processo è stato splendido e ho avuto l’opportunità di prendere parte a diverse istanze di dibattito.
Ad esempio, come vedi la figura di Álvaro García Linera (vicepresidente della Bolivia nei mandati di Morales, ndt), è uno dei più importanti intellettuali e politici del progressismo in America Latina…
Sarò super onesta, per anni ho citato Álvaro García Linera, perché ha fatto un lavoro molto interessante sull’ayllu quale possibilità di comunità politica. Penso che lui abbia all’attivo delle opere molto interessanti. Tuttavia, ho conosciuto di persona Álvaro García Linera, che è un’altra cosa. Conserva logiche molto maschili, molto maschiliste, e ritengo, inoltre, che molte delle critiche che possiamo fare al governo di Evo Morales siano imputabili principalmente a Álvaro García Linera.
In effetti alcuni suoi lavori giustificano l’estrattivismo.
Sì, tra l’altro con una visione che tende a trattare come ingenui coloro i quali denunciano l’estrattivismo. Di recente ho parlato con Hugo Moldiz del MAS (Movimiento al Socialismo, il partito di Morales, ndt) attorno ai diritti della natura e mi ha dato dell’ingenua. Questo per dire che mi sembra contraddittorio riconoscere i diritti della natura senza cambiare la matrice della produzione energetica.
Inoltre, il cambiamento della matrice della produzione energetica deve avvenire attraverso una transizione, nessuno dice da un giorno all’altro.
È per questo che riaffermiamo il concetto di Eduardo Gudynas di transizione post-estrattivista. Ovviamente non può avvenire da un giorno all’altro, ma ad esempio possiamo attivare misure concrete, attraverso l’arresto della grande estrazione mineraria o l’applicazione di standard internazionali sulle emissioni di CO2. Ma anche la diminuzione della produzione di beni di consumo, come la televisione e simili, e iniziare a dare impulso invece al settore dei servizi. Oggi siamo di fronte ad una débâcle globale, se non interveniamo ora, faremo disastri. Esiste un’urgenza a livello mondiale, una crisi climatica, generata dal capitalismo, dal modello estrattivista e dal modo di relazionarsi con la Natura, erede della modernità. Pur scommettendo sulla transizione post-estrattiva, non dobbiamo dimenticare la dimensione dell’urgenza.
Come vedi il problema del caudillismo, dei personalismi in America Latina?
Sfortunatamente questo è assolutamente trasversale, ed è per questo che, sia dal fronte femminista che da quello socio-ambientale, cerchiamo di generare una tensione su come pensare alla costruzione della politica considerando diversi attori in gioco. Cerchiamo di mettere in risalto il ruolo della rotazione degli incarichi, in virtù di esperienze concrete già portate a termine.
Ad esempio l’esperienza zapatista, che è molto importante in questo senso…
Sì, assolutamente, anche se gli zapatisti non si definiscono, tout court, come femministi, sono un grande riferimento per il mondo femminista, perché si sono fatti carico della violenza e dell’oppressione nei confronti delle donne. Hanno cambiato il tipo di relazione nei loro spazi comunitari, senza smettere di essere zapatisti, né di essere tzotzil, ch’ol, indigeni.
Parliamo un po’ del ruolo della Cina a livello mondiale, secondo me la sinistra tende a sminuirlo, non discuterne abbastanza, concentrandosi solo sugli Stati Uniti. Cosa ci dici a tal proposito?
Sì, all’interno del nostro movimento ne parliamo spesso, quello cinese è un caso davvero emblematico. Ribadisco che il problema è la matrice energetica produttiva, da qualunque modello politico provenga: il socialismo reale, il capitalismo, l’economia mista (che è il caso della Cina)…tutti portano avanti il paradigma dello sfruttamento della Natura.
Su istanze politiche latinoamericane regionali, come UNASUR, Celac, Banco del Sur, che erano istanze più ampie, cosa puoi commentarci?
Lo stesso, all’inizio nutrivo una certa simpatia nei loro confronti, nel senso che erano uno spazio di sinistra, più critico, più progressista, ma è esattamente lo stesso. Se ci pensi, ora c’è il piano IIRSA, che ha a che fare con il collegamento dei diversi territori al fine di generare flussi di mercato per saccheggiare i beni naturali. Gli stessi paesi progressisti fanno parte di tali piattaforme. Il Brasile, ad esempio, con Lula, con Dilma l’hanno sostenuto, e ora con Bolsonaro è ovviamente un disastro.
Tuttavia, sento che nonostante tutte le critiche che si possano muovere alla sinistra, ci sono tuttavia più possibilità di dialogo, con la destra no. Voglio essere chiara su un punto: la destra e la sinistra per me non sono la stessa cosa, nonostante il fatto che l’estrattivismo rimanga trasversale in entrambe. La reale possibilità di una trasformazione la vedo più probabile dialogando con la sinistra, entrando in una dimensione di confronto e conflitto con certa sinistra, mentre con la destra mi sembra impossibile.
Ma c’è anche un discorso autoritario di sinistra, secondo cui se si criticano i governi progressisti, si sta facendo il gioco della destra. Ad esempio, Silvia Rivera Cusicanqui, Raúl Zibechi, María Galindo, Raquel Gutiérrez Aguilar, Rita Segato, Maristella Svampa sono stati duramente criticati di aver apparentemente fatto il gioco della destra ed essere dunque imperialisti, solo per aver mosso le critiche che da sempre muovono.
Senza se e senza ma quello della Bolivia è stato un colpo di stato, è l’unica cosa su cui non ero d’accordo con loro, visto che all’inizio non l’hanno manifestato in modo chiaro, anche se in seguito l’hanno fatto. Sono critica, penso che ci sono state responsabilità politiche molto forti all’interno del MAS, che hanno generato il clima del golpe boliviano, dominato da una destra reazionaria, fanatica, religiosa, propria del movimento evangelico, che vediamo in Brasile con Bolsonaro e in Cile con Kast. Di conseguenza, dobbiamo costantemente combattere contro questo tipo di follia e anche contro gli effetti devastanti delle politiche progressiste neoestrattiviste, e questa nostra posizione chiaramente non è facile.
Beh, il pensiero critico non è mai facile.
No, ma abbiamo intrapreso il sentiero delle possibilità dischiuse da costruzioni diverse.
*Andrés Kogan Valderrama, sociologo cileno, laureato in Educazione per lo sviluppo sostenibile, master in Comunicazione cultura contemporanea, dottorando in Studi sociali in America latina. Direttore responsabile dell’ Observatorio Plurinacional de Aguas (www.oplas.org).