Gustavo Castro, messicano, direttore della Ong Otros Mundos Chiapas AC, era a casa Berta Cáceres, la notte tra il 2 e il 3 marzo del 2016 quando l’attivista ambientalista venne uccisa da sicari.
E’ stato l’unico testimone oculare dell’omicidio. Per questo si è dovuto rifugiare prima nell’ambasciata messicana e poi, dopo essere uscito dall’Honduras, ha dovuto iniziare a vivere nascosto per motivi di sicurezza.
Nel dicembre 2018 è arrivata la sentenza contro gli esecutori materiali dell’omicidio. Sette persone, colpite da condanne esemplari, dai 30 ai 50 anni. Il 2 dicembre 2019, cioè dopo un anno, è stata letta la sentenza. E noi abbiamo intervistato Gustavo Castro.
Gustavo, cosa pensi della sentenza?
Questo è un passo avanti verso la giustizia, ma l’impunità continua anche se la sentenza, ci pare, faccia riferimenti precisi all’impresa Desa, a David Castillo e alla famiglia Atala. Se non ci sarà un processo e un’indagine sui mandanti allora l’impunità continua. La sentenza colpisce gli autori materiali, quelli che sono stati pagati per uccidere Berta, ma per ora non si indaga su chi ha pagato, pensato e voluto l’omicidio.
Per te quindi è l’inizio di un percorso di giustizia?
In parte, come ho detto prima. Il nodo sta nell’indagine sui mandanti. L’impunità rimane confermata fino a quando David Castillo, presidente del consiglio di amministrazione dell’azienda Desa, non viene indagato. Diverse prove lo collegano all’omicidio. E con lui anche la la famiglia
Atala, che poi sono i proprietari dell’azienda per cui lavora Castillo.
Tu ora ti senti più sicuro?
Sicuro? No. La sentenza per l’omicidio di Berta coinvolge anche me. Cioè alcuni sono stati condannati anche per il tentato omicidio contro di me. Altre volte, in casi simili, abbiamo visto tentativi di vendetta di familiari dei condannati. Ai loro occhi noi siamo colpevoli per il loro imprigionamento.
Che ruolo hanno i movimenti ambientalisti nel continente?
Toccano e colpiscono al cuore l’estrattivismo, gli investimenti e l’accumulazione di capitale.
Ecco perché è così pericoloso essere difensori dell’ambiente oggi in quei contesti. Ecco perché essi ed esse sono considerati molto pericolosi dai capitalisti. Ambientaliste e ambientalisti affrontano i
grandi interessi e investimenti legati al settore minerario, alla costruzione di dighe, strade, all’estrazione del petrolio, alla gestione dei gasdotti, all’imposizione della monocolture di olio di palma e di tutti gli altri interessi dell’agroindustria. Ambientalisti e ambientaliste sono elemento di rottura nella disputa per il controllo economico e militare dei territori. Di fatto ambientaliste e
ambientalisti, nel continente, si rivendicano di essere l’opposizione sociale e materiale ai grandi interessi del capitale.