Il caso dell’Ecuador e le battaglie dell’organizzazione Amazon Frontlines

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25 Maggio 2020

Intervista al direttore esecutivo di Amazon Frontlines

Per gran parte dell’America Latina la pandemia rappresenta una sfida imponente che rischia di logorare il fragile quadro economico-politico e allo stesso tempo mette a dura prova la tenuta dei sistemi sanitari nazionali, in molti casi dalle risorse estremamente carenti.

Ne sono prova le dolorose immagini che ad inizio aprile arrivavano dall’Ecuador e che mostravano corpi senza vita giacere ai bordi delle strade per ore, a volte giorni, prima che le autorità fossero in grado di occuparsene.

Il paese guidato da Lenin Moreno è infatti fra i più colpiti dell’intera regione. Su una popolazione di 17 milioni di abitanti, al 13 di maggio si contano 30419 casi e 2327 decessi.

Tuttavia, stando ad un’analisi effettuata dal The New York Times, che ha confrontato i dati dei decessi tra il primo marzo e il 15 aprile di quest’anno con quelli dello stesso periodo dello scorso anno, la realtà sarebbe ben diversa.

Il quotidiano newyorkese asserisce infatti che il bilancio delle vittime per coronavirus dichiarato dal governo (503 al 15 aprile) potesse essere di ben 15 volte inferiore al dato reale. Lo stesso Moreno ad aprile ammise che il bilancio fosse probabilmente molto più grave date le difficoltà delle autorità nel tenere sotto controllo l’avanzamento del virus.

La zona più colpita del paese è la provincia di Guayas, in particolare il suo capoluogo Guayaquil. È proprio qui che il giorno di San Valentino, colei che è ritenuta dalle autorità il paziente 0, una donna ecuadoriana di 71 anni, è arrivata dalla Spagna dove avrebbe contratto il virus.

Fra il suo arrivo e la diagnosi passano 15 giorni, lasso di tempo in cui la donna ha involontariamente contagiato altre persone. Con i casi che velocemente aumentavano, a metà marzo il governo ha deciso di chiudere le frontiere e di imporre severe restrizioni alla libertà di movimento nel tentativo di contenere la diffusione del virus.

foto di Amazon Frontlines

Le misure restrittive hanno portato dei buoni risultati permettendo di arrivare ai primi di maggio ad una stabilizzazione del numero dei contagi. Il governo ha quindi allentato parzialmente la presa, concedendo ad alcune categorie lavorative il ritorno all’attività.

Una scelta difficile, ma in un certo senso dovuta, se si pensa che in Ecuador, come in molti altri paesi dell’America Latina, una fetta importante della popolazione vive sotto la soglia di povertà e di conseguenza l’impossibilità di lavorare diventa un peso insostenibile.

Per far fronte agli effetti drammatici di questa crisi, che non è più solo sanitaria ma anche economica e sociale, il governo ha elaborato alcuni piani di assistenza per le fasce più deboli della cittadinanza: il Bono de Protection Familiar che consiste in un sussidio di 120 dollari di cui si stima beneficeranno 950mila famiglie e il piano Canasta solidaria, annunciato da Moreno il 30 aprile, che prevede la distribuzione di razioni di cibo a 8 milioni di cittadini ecuadoriani.

Lo Stato ha inoltre ottenuto dal Fondo Monetario Internazionale un prestito di 643 milioni di dollari che il governo mira ad investire in progetti di salute e protezione sociale, ma soprattutto per garantire la ripartenza produttiva e l’occupazione.

Tuttavia, contro l’operato del governo si ergono le voci delle comunità indigene e delle organizzazioni che lottano per la loro sopravvivenza.

Il virus rappresenta un’enorme minaccia. Una minaccia per cui sarebbe improprio usare l’espressione “senza precedenti” per descriverne la portata. I precedenti ci sono e ne sono tristemente noti gli esiti.

Intere popolazioni, nei secoli passati, sono state straziate e decimate dal diffondersi tra gli indios di malattie portate dall’esterno. Oggi quello che questi popoli temono è che la storia possa ripetersi.

Timori rafforzati dalla passività dello Stato di fronte all’avanzata del corona virus all’interno delle loro comunità. Accusano infatti il governo di non aver elaborato nessuna reale strategia per tutelarli, abbandonandoli a loro stessi nella gestione della crisi sanitaria.

foto di Amazon Frontlines

Ad esacerbare la situazione, il 7 aprile, tre oleodotti si sono rotti riversando ingenti quantità di petrolio nei fiumi Coca e Napo. La contaminazione che ne è conseguita ha colpito i territori delle province del Sucumbìos, Napo e Orellana ed ha raggiunto persino il Perù.

È la più grande catastrofe petrolifera che ha colpito l’Ecuador dal 2004 ad oggi.

È chiaro come questo abbia delle drammatiche ripercussioni sulle popolazioni indigene, per le quali l’acqua di questi fiumi e la vita che vi scorre all’interno rappresentano elementi fondamentali per la loro autonoma sussistenza.

Preoccupa in particolare il destino della nazione Siekopai, che conta solamente 744 anime. A inizio maggio, risultavano essere 15 gli individui positivi al test per il COVID-19 e due gli anziani della comunità ad essere deceduti dopo aver mostrato i sintomi del virus.

Alcuni Siekopai si sono rifugiati più in profondità nella foresta amazzonica nella speranza di evitare il contagio, ma Justino Piaguaje, Presidente della nazione Siekopai, durante una videoconferenza tenutasi il 5 di maggio, ha detto di temere che alcuni di loro potessero già aver contratto il virus prima della partenza.

Ha poi denunciato il governo per le sue inadempienze e i ritardi nel prestare soccorso. Dopo la morte del primo Siekopai, ad aprile, si sono rivolti allo Stato per chiedere di controllare la condizione di salute della comunità senza ricevere alcuna risposta.

“Stiamo utilizzando la medicina tradizionale, grazie alle conoscenze dei nostri anziani, dato che non abbiamo avuto l’appoggio dello Stato”, spiega Piaguaje. Il Presidente Siekopai ha infine ricordato quali sono le responsabilità del governo nei confronti dei popoli indigeni ed ha con decisione richiesto una risposta immediata da parte delle autorità.

foto di Amazon Frontlines

A sostenere le comunità indigene e a far da cassa di risonanza alle loro richieste c’è Amazon Frontlines, un’organizzazione non-profit composta da una squadra di molteplici figure professionali (avvocati, giornalisti, antropologi ecc.) che da anni si batte per il rispetto dei diritti delle popolazioni dell’Amazzonia. Ho avuto l’opportunità di rivolgere alcune domande a Mitch Anderson, Fondatore e Direttore Esecutivo di Amazon Frontlines.

Il Coronavirus si sta diffondendo anche tra le popolazioni indigene. Quanto è pericolosa la minaccia del virus per la comunità indigena?

Il COVID-19 presenta un rischio estremo per le popolazioni indigene dell’Amazzonia. Il rischio maggiore è per gli anziani, i guardiani di migliaia di anni di sapere ancestrale sulla foresta amazzonica e su come proteggerla. L’Ecuador è stato fra i paesi più duramente colpiti in America latina. La nostra più grande paura, che le popolazioni dell’Amazzonia venissero infettate dal virus senza avere gli strumenti adeguati per proteggersi, è diventata una tragica realtà. La malattia ha già raggiunto quasi tutte le boomtown [per boomtown si intendono comunità a rapida crescita demografica che nascono nelle vicinanze di preziose risorse naturali] che sono situate alle porte dei territori indigeni. Solamente la scorsa settimana, almeno 15 casi sono stati confermati nella sola nazione Siekopai e 2 anziani sono deceduti prima che i test fossero disponibili. La nazione Siekopai è costituita da 744 persone e 185 famiglie che vivono distribuiti in sei villaggi e i leader Siekopai sono profondamente preoccupati su cosa accadrà se il virus continuerà a diffondersi.

Le comunità indigene di tutto il mondo affrontano rischi sproporzionatamente alti durante le pandemie a causa, spesso, di alloggi affollati, scarsità d’acqua e mancanza di strutture, equipaggiamento e personale sanitario. In ultima analisi, la pandemia del COVID-19 aggrava le minacce per la sopravvivenza fisica e culturale dei popoli indigeni, esacerbando le già esistenti ineguaglianze e le violazioni sistematiche dei loro diritti, come le incursioni nei loro territori di taglialegna, cacciatori e minatori che operano al di fuori della legge e come gli effetti distruttivi dei combustibili fossili e dell’agricoltura intensiva.

Come vi state occupando della questione? Qual è la vostra strategia per difendere le comunità dal Coronavirus?

Stiamo collaborando con la leadership indigena della zona nord dell’Amazzonia per rafforzare la capacità dei popoli indigeni di gestire gli alti e i bassi di questa crisi. In collaborazione con CONAIE, la federazione indigena nazionale dell’Ecuador, e CONFENAIE, l’organizzazione indigena regionale dell’Amazzonia ecuadoriana, e l’organizzazione indigena non-profit Alliance Ceibo, abbiamo lanciato una campagna per finanziare e incanalare risorse verso iniziative a guida indigena per proteggere le comunità dal COVID-19. Stiamo lavorando per assicurare che le istituzioni indigene possano efficacemente gestire la crisi del COVID-19 e offrire servizi che vanno oltre il raggio d’azione del governo, disegnando e implementando protocolli sanitari a guida indigena, equipaggiando le comunità e istituzioni indigene con infrastrutture e strumenti di comunicazione, supportando azioni autonome di isolamento, come chiusura totale dei villaggi nel breve periodo e sistemi per monitorare e restringere l’accesso ai territori indigeni nel lungo periodo, e rendendo disponibili risorse alle istituzioni europee per rispondere a situazioni emergenziali. Attraverso iniziative umanitarie, ci stiamo battendo per assicurare che il Ministero dell’Inclusione Sociale ed Economica dell’Ecuador (MIES) metta in campo misure consistenti, culturalmente appropriate ed efficaci, per quanto riguarda gli aiuti umanitari alle fragili popolazioni indigene. Inoltre, ci stiamo battendo per potenziare la capacità del Ministero della Salute dell’Ecuador di implementare protocolli di prevenzione dal COVID-19 che siano efficaci e per fornire un’assistenza sanitaria d’urgenza, integrale ed efficace alle comunità indigene. Sul lungo termine, sosterremo la costruzione di soluzioni che siano creative e attente alle esigenze degli indigeni e che siano in grado di rispondere alle crisi, come l’eliminazione graduale dei combustibili fossili e progetti comunitari di ripresa per una maggiore indipendenza alimentare, sanitaria ed educativa.

Cosa sta facendo il governo per informare e proteggere le comunità indigene?
In Ecuador, la risposta del governo è stata terribilmente inadeguata. Le organizzazioni indigene e i gruppi della società civile hanno denunciato l’inazione del governo nel prendere misure proattive per identificare, tracciare e intervenire nei riguardi dei focolai all’interno dei territori indigeni o nel fornire un adeguato soccorso umanitario. Con i nostri alleati abbiamo lavorato ininterrottamente per acquisire prove attendibili e per proporre strade d’azione percorribili, così da stimolare un più efficace intervento da parte del governo.
Nel caso delle comunità indigene Kichwa, colpite lo scorso mese dallo sversamento di greggio nell’area settentrionale dell’Amazzonia ecuadoriana, il supporto delle compagnie petrolifere e del governo si è limitato a fornire piccole quantità di cibo e acqua alle comunità che vivono lungo le strade del petrolio. È proprio una crisi dentro la crisi. Queste comunità, insieme alle federazioni indigene regionali e le organizzazioni per i diritti umani, hanno presentato lo scorso mese un’azione legale che forzerebbe il governo ad agire in maniera più decisa e rapida.

Parliamo delle tribù in isolamento volontario. Queste comunità non hanno mai, o quasi mai, avuto contatti con altre società, ritieni che, in questa situazione, il loro isolamento sia un punto di forza o di debolezza?

I territori delle tribù indigene che vivono in isolamento volontario sono circondati da moderne società industriali e i progetti di sviluppo e di estrazione minacciano la loro terra e la loro vita. L’isolamento geografico può essere un’arma a doppio taglio durante una pandemia. Da una parte, i loro territori boschivi, privi di strade che l’attraversano, rappresentano un importante cuscinetto di protezione dalle boomtown frontaliere densamente popolate e dall’elevato tasso di trasmissione. Dall’altra, vista la riduzione della loro terra ancestrale a causa delle usurpazioni territoriali e di strade che si spingono sempre più a fondo nella foresta, le invasioni nei loro territori potrebbero essere un devastante vettore della malattia. Il rischio di una diffusione del COVID-19 tra le loro tribù potrebbe portare a un genocidio.

Credi che la comunità internazionale abbia la responsabilità di aiutare le comunità indigene nel fronteggiare il virus?

Dato che sono i guardiani ancestrali di milioni di acri di foresta incontaminata, i popoli indigeni sono i leader delle soluzioni climatiche di cui il nostro pianeta ha bisogno in questo momento. Tuttavia, le comunità indigene nell’Amazzonia sono spesso le prime a vedere i loro diritti abusati e i territori sfruttati al fine di soddisfare la richiesta internazionale di olio, legna o minerali preziosi. Ingiustamente, mentre affrontano gli effetti potenzialmente catastrofici della diffusione di coronavirus nei loro villaggi, i popoli indigeni sono fra gli ultimi che riceveranno l’attenzione medica del governo. A causa del loro risiedere in luoghi remoti, è vero, ma anche a causa di una tradizione ancora presente di fortissima discriminazione e marginalizzazione. Perciò la comunità internazionale ha decisamente l’obbligo di fare un passo in avanti.

Un modo per fare un passo in avanti è di sostenere le azioni degli indigeni sul fronte della pandemia di COVID-19 e supportare l’auto-organizzazione delle comunità. Insieme con i nostri alleati indigeni stiamo lavorando a un piano di medio e lungo termine. Il piano prevede sia di investire nella capacità degli indigeni di ridurre e limitare la loro esposizione al COVID-19 attraverso il rafforzamento dell’autosufficienza, sia di garantire che le comunità e le istituzioni indigene possano sopravvivere agli ostili progetti di risanamento economico post COVID-19. Le loro condizioni di vita e capacità di ripresa devono essere supportate e rafforzate affinché siano in grado di superare questa crisi. La più lunga e ardua battaglia per cambiare i modelli politici e economici che portano alla deforestazione, migrazione forzata dei popoli e malattie pandemiche, richiederà un’interconnessione e solidarietà globale come mai si è vista prima.

foto di Amazon Frontlines