Intro

Haiti è il terremoto, è il colera, è uragani, è il paese più povero delle Americhe e dell’emisfero settentrionale. Haiti è baraccopoli, bande armate, dittature e occupazioni militari. Haiti è una repubblica bananera, la repubblica delle ONG, il paese degli schiavi liberati, della corruzione, del libero passaggio delle armi e della droga. Haiti è uno zombie, un rito voudou.

Nonostante l’assonanza e l’insularità Haiti non è Tahiti, e probabilmente non è più la Perla delle Antille come lo chiamavano i Francesi, ma questo tipo di narrazione che avvolge il piccolo paese apparso agli occhi del mondo dalle macerie del terremoto del 2010 offusca lo sguardo. E’ una polvere che impedisce di saperne altro, che vincola l’immaginazione ai suoi aspetti più duri, relegando la sua storia ad un’unica rappresentazione pietistica ed impietosa.

L’idea è allora quella di provare a raccontare, con la consapevolezza di una prospettiva non veramente interna ma transitoria, raccogliendo diversi frammenti e punti di vista, traducendo voci e parole per scorgere un po’ dell’universo umano che abita l’isola. Non ci sono parole migliori per rompere il ghiaccio che quelle di Dany Laferrière, uno dei suoi più grandi scrittori, con un messaggio dedicato al rapper francese Youssoupha  che ha visitato Haiti nel 2019.

 

(…) C’est à dire cette société était deja au bord de toutes les crises, d’une crise humanitaire (…) Et comment se fait-il, Youssoupha, qu’il continue a faire de la poésie, à faire du journalisme, à faire de la peinture, à faire de la musique, (qu’on continue) à se saluer sans s’entre-égorger? Parce que ce qu’on a comme image à l’extérieur qui nous montre en train de nous entre-gorger, ce n’est pas la réalité. La réalité tu peux la demander à tous ceux qui ont été en Haiti, Youssoupha. Personne ne s’en va d’Haiti sans vouloir y retourner. C’est un pays est habité. Habité par des Dieux, habité par des hommes, habité par des femmes, habité par une obsession politique (…)