Cosa rimane di una donna senza un figlio e cos’è una donna senza un proprio figlio? Queste due domande propongono in modo efficace il disegno rappresentato da Brenda Navarro nel suo primo romanzo.
La storia si basa su due donne: la prima già madre di Daniel, un bambino autistico, biondo e bellissimo.
La seconda donna, una ragazza alle prese con il forsennato desiderio di essere madre e succube di un uomo, Rafael, che tutto vuole tranne darle un bambino.
La trama si articoli nei punti di vista delle due donne. Senza uno schema ben preciso di passa dal pensiero di una a quello dell’altra. Una narrazione in prima persona quindi, con cui ben si descrive la sensazione delle due madri alle prese con un mostro molto più grande di loro: la maternità. Tutto sembra avvolto dal suo grande velo dove null’altro è importante se non la sua ricerca ed il suo rifiuto
La storia inizia con il racconto della scomparsa di Daniel: la madre mentre è al parco con lui, distratta da una chiamata dell’amante, lo perde vicino ad un altalena. Le prime pagine sono testimoni di uno straziante flusso di coscienza della donna che cade in una depressione furiosa.
Il bambino in realtà non si è allontanato da solo ma è stato rapito dalla seconda donna protagonista del romanzo. Quest’ultima è diametralmente opposta alla prima per certo sociale: è quasi nullatenente; sopravvive con la vendita di biscotti che gli consente una modestissima esistenza.
Inoltre, come accennato sopra, la donna è schiava delle violenze di un uomo, Rafael che per nulla stima l’attività della donna e anzi, più volte sembra un ostacolo alle sue azioni. Frequentemente la picchia e la umilia davanti a sua madre.
Nonostante le violenze continua a nutrire speranze di una famiglia e di un bambino da poter amare. L’occasione si presenta quel giorno al parco, scossa dalle ingiustizie subite, vede nel piccolo un motivo di rinascita e, senza pensarci due volte, lo ruba. Nei momenti successivi a questo apocalittico evento, la disperazione della madre di Daniel non migliora. Il superficiale ascolto del suo compagno Fran e sua nipote Nagore non l‘aiutano.
Quest’ultima è figlia della sorella di Fran, che è stata uccisa in un raptus di follia dal suo compagno Xavi.
Le due donne, e la trama costruiscono un romanzo duro, forse anche selvaggio per certi aspetti, ci ricollega se vogliamo a delle azioni che per il nostro grado di civiltà non consideriamo di nostra appartenenza: il rapimento, la violenza, la depressione, l’immobilità, le maternità instabili e violate. La Navarro include tutto in un unico filone narrativo che ci arriva addosso con la violenza del suo contenuto.
L’omicidio è raccontato con cruda limpidezza: “Xavi ha ucciso Amara nell’ennesimo dei litigi […] abbiamo letto che l’ha tirata per i capelli, l’ha insultata e l’ha spinta contro il muro continuandola a picchiare. Amara ha strillato, un urlo così acuto che Nagore ha pensato potesse perforarle i timpani.
Quell’urlo smorzatosi all’improvviso, non poteva essere normale, questo lo aveva capito, tremava. La maternità involontaria della prima donna è accentuata dalla prima persona che intensifica il racconto e permette di accedere all’anima di una ragazza che ad essere madre non ci pensava proprio: “non partorire perché quando partorisci la maternità è per sempre […] alcune non nascono per essere buone madri e a quelle come noi Dio avrebbe dovuto sterilizzarci ancor prima di nascere […] le analisi confermarono che ero incinta. Quando glielo dissi a Fran mi abbracciò, come se quella fu la cosa giusta da fare. Quel giorno avremmo dovuto abortire”.
Questi sono solo alcuni degli estratti che l’autrice descrive pescandoli dalla mente delle protagoniste. Da una parte il non essere madre, dall’altra il volerlo essere a tutti i costi; da entrambi, la violenza verso un bambino, Daniel, che nulla ha sbagliato se non “di essere venuto al mondo, avrebbe dovuto morire dentro la mia pancia”.
La Navarro, per sua stessa ammissione, rappresenta delle violenze che nascono dall’educazione. È da ricordare che i paesi dell’America Centrale sono tra i primi al mondo per numero di violenze, abusi e femminicidi. Tutto ciò non può non derivare dalla scarsa attenzione politica alla situazione familiare.
Le violenze nascono proprio tra le mura domestiche: “l’ispirazione è il Messico, lo stato femminicida, un concetto che sto studiando da molto tempo, le due donne si trovano ad affrontare delle situazioni ostili e questa è la conseguenza di un omissione dello stato, di qualsiasi stato che non rispetta i diritti delle donne”.
Rispettare le donne, aggiunge la Navarro, significa per prima cosa rispettare la persona, non tutte sono in grado di essere madri: “il desiderio di essere madri in molti paesi è un imposizione sociale e culturale”; un desiderio manovrato, se vogliamo, da troppi anni in cui le proteste femminili non sono sbocciate in un progetto educativo.
Le donne di Case Vuote non hanno un nome, perché non è importante chi sono, la loro identità; l’importante è che, come delle case appena acquistate, siano pronte ad essere riempite da emozioni, sentimenti e azioni esterne, ed inoltre, in una società come la nostra, non libere di poter costruire se stesse.