Il testo che pubblichiamo oggi viene da un grande ospedale lombardo.
È una cronaca di come stanno lavorando i nostri medici, gli infermieri, tutto il personale che è in prima linea contro il Covid-19.
Perché lo pubblichiamo? Ci racconta dei fatti, è un piccolo film in soggettiva che ci aiuta a capire come pensa chi è per ore dentro la battaglia. E lo pubblichiamo, soprattutto, perché c’è un punto che dovremo avere chiaro quando le cose si saranno calmate e poi stabilizzate: la sanità pubblica andrà potenziata, il nostro welfare andrà rivisto, a scapito delle spese militari per esempio, perché forse ormai tutti hanno capito quali siano le priorità oggi.
Grazie al medico che ha scritto queste parole. Lo manteniamo in anonimato, così come omettiamo il nome dell’ospedale, per semplice riservatezza, perché abbiamo bisogno di ragionare e non di vendere notizie sensazionali.
In Lombardia gli ospedali sono stati suddivisi in “Covid” e “non Covid”. Per disposizione sul territorio, capacità recettiva, modernità delle strutture e dei macchinari, personale e specialità, alcuni ospedali dovranno occuparsi solo dei soggetti sospetti o portatori di Covid (COrona VIrus Disease). In questi ospedali, tra i quali quello in cui lavoro io, sono state interrotte tutte le attività chirurgiche, chiusi i reparti specialistici ed il personale organizzato in modo tale da gestire al meglio l’attuale situazione.
In caso di pazienti con quadri tali da richiedere un intervento chirurgico, il paziente, afferito al pronto soccorso, deve essere inviato presso gli ospedali non Covid.
Qualora le condizioni del paziente siano tali da riconoscere un immediato pericolo di morte in assenza di un immediato intervento chirurgico è possibile riaprire la sala operatoria d’urgenza.
Il cittadino che accede al pronto soccorso dell’ospedale, viene sottoposto a un veloce pre-triage per suddividere i pazienti in “respiratori” o “non respiratori”. I respiratori vengono inviati in una parte del PS destinato al controllo dei sospetti Covid, gli altri vengono visti da chirurghi (chirurghi generali e specialisti delle più diverse risme), anche per problemi cardiologici, neurologici, insomma problematiche internistiche normalmente valutate da medici e non da chirurghi. Si aspetta il nemico, ma sai già di trovarlo tra le tue fila. Per ora – dati incompleti perché il personale viene sottoposto al tampone o ad altri approfondimenti diagnostici solo se presenta sintomi – abbiamo avuto 3 positivi fra medici e infermieri. La gravità del quadro non è data dalla semplice positività al corona virus, ma dallo sviluppo di una polmonite interstiziale per la quale il polmone in pratica non si espande, alla lastra diretta appare più o meno completamente chiazzato di bianco (quando normalmente è nero) e il paziente non riesce a respirare (Immaginatevi di mettere la testa in un sacchetto di plastica e chiuderlo sotto al mento).
Quando diventa necessario ricoverare il paziente respiratorio, oltre ai 6 posti in rianimazione sono state trasformate in postazioni per pazienti con polmonite interstiziale con necessità di intubazione le 6 postazioni della sala ricoveri nel blocco operatorio e le 3 postazioni della rianimazione cardiologica. Tutti i reparti internistici (medicina, geriatria, subacuti) sono stati trasformati in reparti di osservazione per corona positivi, ma che non necessitano di intubazione. Tutti i posti letto sono occupati tanto da dover riaprire i reparti chirurgici e trasformarli in posti di trattamento e osservazione di pazienti con consistenti problematiche respiratorie in attesa di ulteriore definizione.
Oramai i medici del pronto soccorso “respiratorio” sono in grado di riconoscere un corona positivo dalla clinica così la lastra del torace e il tampone vengono utilizzati per confermare la diagnosi.
Per risolvere il quadro sembra sempre più riconosciuta la positiva azione terapeutica di farmaci utilizzati per ridurre la risposta immunitaria, fino a ora utilizzati per la artrite reumatoide. Per ora ci si muove ancora in ambito empirico.
Stare in ospedale è come vivere nella fortezza Bastiani.
Desolatamente vuoto ogni corridoio, tutte le porte chiuse, ma appena entri in un reparto trovi un formicolio di persone indaffarate a trattare, calmare, gestire e sostenere pazienti sotto ossigeno e visibilmente sofferenti. Non riconosci nessuno, tutti bardati da mascherine, occhiali, cappellini, camici sopra ai camici, guanti.
Se guardi da lontano ti viene veramente paura, se ci stai dentro non vedi l’ora di contribuire a rimettere tutto in ordine.