Convinti, quando le cose vanno bene e quando le cose vanno male, che ciascuno deve fare il suo lavoro, ci troviamo come redazione di fronte a un evento globale, che concorre a mettere a nudo quelle paure che saranno l’argomento del terzo numero del nostro semestrale cartaceo.
Partendo dal testo di Angelo Miotto, abbiamo deciso – nostra vecchia passione – di lanciare un Decameron online, nella vecchia tradizione, di fronte alle paure, di riunirsi attorno al fuoco (della passione narrativa) e di raccontarsi storie.
Mandateci il vostro racconto di questi giorni di Corona virus, tra allarmismi, improvvisati esperti, legittime paure e doverose cautele. Va bene, al solito, qualsiasi linguaggio: audio, testo, video, foto. Inedito o citando altri. Scrivete a redazione@qcodemag.it e noi vi pubblicheremo.
Il contagio delle storie – 16
Il Decreto #iorestoacasa e la Costituzione – Antonella La Morgia
La solidarietà è l’unico investimento che non fallisce mai.
Con questa frase di Henry Thoreau possiamo provare a commentare, passate due settimane dalla sua emanazione, il Decreto 9 marzo 2020 che ha drasticamente modificato le nostre abitudini (Ulteriori disposizioni attuative del DL 23.02.2020 n.6 recante Misure urgenti in materia di contenimento e gestione dell’emergenza epidemiologica da Covid-19).
La citazione, che sembra soccorrerci nel bisogno di chiarezza sulle norme, non a caso è stata scelta dall’ex magistrato Gherardo Colombo, dai pensieri di H. Thoreau, filosofo americano dell’Ottocento. Anche la nostra Costituzione, infatti, contiene il principio solidaristico.
In questi giorni ci si trova proprio di fronte alla necessità di come giustificare o no l’inosservanza personale o altrui, quando non strettamente necessaria e perciò non virtuosa, per lo scopo “solidale” a cui si è chiamati: la tutela della salute collettiva.
E’ questa una causa securitaria superiore dettata dall’emergenza, stabilita anche nell’articolo 32 della Cost., il quale tutela la salute come “diritto individuale e interesse della collettività”.
L’emergenza o necessità è riconoscibile e riconosciuta nella realtà oggettiva del momento, ma questo non significa che deve mancare anche “il dibattito delle idee”.
“Se non capiamo questa relazione tra noi e le regole – afferma Colombo – non possiamo capire perché si osservano”. È giusto, cioè, domandarsi, al di là della verità medica che le giustifica, il senso delle regole, e dare a queste domande risposte, e cercare queste risposte nel luogo dove centralità, dignità della persona, importanza del dovere di aiuto per il bene comune si trovano: la Costituzione.
Ciononostante, a qualcuno preoccupa come l’accettazione del nuovo stato normativo avvenga in nome di un diffuso, incondizionato e pressoché acritico piegarsi alla causa emergenziale sicuritaria, che porterebbe tutti a dire esiste e basta, discuterne equivale a disconoscerla e presenti sconcertanti analogie con politiche di blocco e/o allontanamento che ad altre emergenze si appellano o si sono appellate: il contenimento delle situazioni di criminalità, degrado, o di gestione degli immigrati, con il parallelo delle soluzioni volte alla chiusura di luoghi o a porre limiti alle libertà individuali o associative (in questo senso è interessante quanto scrive Wolf Bukowsky).
La gravissima situazione in atto, imposta da un’epidemia di rilevanza internazionale (pandemìa), dichiarata dall’Organizzazione Mondiale della Sanità l’11 marzo scorso, esprime sicuramente la ragione e il contesto che sono il presupposto delle disposizioni eccezionali in vigore nel nostro paese.
Mancando la riflessione ideologica, però, potrebbe sembrare che passi anche un velo di censura sulle perplessità (lessico delle norme, applicazione della riserva di legge, durata delle limitazioni, sanzioni ed esercizio dei controlli) circa le misure shock, che hanno stabilito forti restrizioni alle libertà in materia personale ed economica (di circolazione, di esercizio delle attività, di scambio, riunione, ecc.). Sono misure ritenute da alcuni “poliziesche” e da stato-regime, imposte tanto dall’alto dal Governo quanto dal basso, con i cittadini i quali del pari al grido di “Lo Stato sono io” si ergono (soprattutto sui social) a crociati di chi è pericoloso e mette a rischio la società (delatori dell’altro visto in strada e non-sta-a-casa), quasi che il trovarsi nello spazio fisico fuori casa sia divenuto sinonimo di pericolosità oggettiva del contagio.
“Partire dal sé”, citando Bukowsky, per arrivare all’altro, che però non ci è più concesso di toccare, è il comandamento di una nuova empatia della calamità sanitaria. Sentirsi al contempo il pericolo e la salvezza con il personale contributo a seconda che ci si trovi nell’outdoor o indoor: dunque, interrogarsi, quanto mai prima d’ora, sulla responsabilità delle conseguenze del proprio agire, verificare persino se il nostro necessario – ovvero la spesa, il lavoro, le visite mediche indifferibili– vivere quotidiano, privato e pubblico, quest’ultimo solo virtuale (o non può dirsi cessato l’esistere dello spazio fisico pubblico esterno quando questo non può più accoglierci, includerci, aggregarci nello stare insieme?); interrogarsi, allora, se questo vivere quotidiano e necessario non ammetta un agire altrimenti.
E l’altrimenti è: restare a casa. E riguardo a questo siamo, più che disobbedienti, diversamente obbedienti. Non si discute (ma pure la tutela dei lavoratori ha visto e vede discontinuità e contraddizioni) delle necessità di lavoro, mediche, di acquisto di beni di prima necessità. Ma altre categorie dello “strettamente necessario” variano a seconda del profilo e dello stato personale: il proprietario di cane, il fumatore defenestrato e senza balcone, lo sportivo de un-giorno sì-e un giorno sì, l’approvvigionatore compulsivo di spesa famigliare, paiono meritare “strappi” alla regola liberando alcuni più di altri dall’opprimente prigione del soggiorno domestico coatto.
Vale la pena di spendere qualche parola, dunque, sulla virtù oggi necessaria dell’obbedienza a quanto ci dice il Decreto, e leggere le importanti prescrizioni in esso previste, com’è giusto, non acriticamente ma in relazione ad altri (e alti) principi stabiliti nella nostra Costituzione.
Centrale è il richiamo al principio di solidarietà enunciato nell’art.2: La Repubblica riconosce i diritti inviolabili dell’uomo (…) e richiede l’adempimento dei doveri di solidarietà politica, economica e sociale. Il dettato normativo è il portato dei lavori in seno all’Assemblea Costituente e delle posizioni espresse da Giorgio La Pira, che accanto all’alta dignità della persona riteneva dover esserci “la fraterna solidarietà umana” e ad entrambi dovesse conformarsi l’ordine sociale e politico.
Perché “la libertà – scrive La Pira – deve servire per elezione al bene supremo e personale di ciascuno e a quello comune, solidale e fraterno di tutti”. Con questa ampiezza di contenuti, estesa alla solidarietà e fraternità, si vuole che il nostro ordinamento sia fondato su una sintonia degli sforzi della collettività che miri non solo al migliore e uguale godimento e distribuzione delle risorse (progresso sociale ed economico), ma anche alla crescita morale del paese (progresso civile).
Il momento attuale ci porta a conoscere meglio il significato della solidarietà sociale e la sua “crucialità” è una lezione che dobbiamo conservare per il domani.
L’elenco dell’art. 2 Cost. non è tassativo, e, anche se così non fosse, la nostra Costituzione aggiunge di più. Esigendo la solidarietà sociale, la Costituzione eleva la solidarietà dalla forma spontanea, quale spirito altruistico sociale (che non tutti hanno o non possono ancora aver formato, per es. i più giovani) a norma e fondamento della società configurata dal nostro sistema democratico.
Sarà possibile così anche rispettare il principio di uguaglianza (art.3 Cost.) senza negare contemporaneamente il diritto alla salute (art. 32), in quanto non si potrebbe assicurare un eguale trattamento sanitario dei pazienti infetti senza un efficace, perché generalizzato, rispetto del dovere di permanenza a casa.
Restano, a ben vedere, i dubbi sul fatto che il principio precauzionale del distanziamento sociale e altre misure contenitive del possibile contagio (dispositivi come le mascherine, guanti, altri ausili sanitari) sono stati introdotti in ritardo e/o non trovano ancora coerente applicazione in molti luoghi di lavoro che non hanno visto interrotta l’attività con i decreti sul Coronavirus. Si potrebbe dire che un lavoratore sia, in alcuni casi, un “disobbediente” suo malgrado?
Il più recente DPCM 22 marzo 2010 che ha sospeso le attività produttive industriali e commerciali (ad eccezione di quelle strategiche rientranti nell’All1) fuga alcuni di questi dubbi. Ma sarà utile continuare ad interrogarci ancora sulla risposta all’osservanza delle norme, sulle maglie aperte che queste hanno presentato, in modo necessitato o volontario, in che ambiti e per quali soggetti.
Relazione del deputato Giorgio La Pira