25 Febbraio 2020
Ai tempi del Covid_19 la nuova selezione darwiniana colpisce le specie più deboli. I pensionati, i precari e le partite iva condannate a esserlo. Breve riflessione in tempi di saturazione dal virus incoronato.
A morte il re. La prima cosa da dire è che sono fortemente antimonarchico e che adoro Monsieur Guillottin, celebre per aver associato il suo nome alla lama mozzateste incoronate.
Non fosse per la serietà del momento, varrebbe riflettere sul ritorno della corona e i danni che sta portando, quelli per la salute e quelli delle psicosi, senso di insicurezza e panico che si sono diffusi.
Momento leggero a parte, questo Kratos è destinato a osservare alcuni fatti che hanno a che vedere con i rapporti di forza dentro la nostra società, quando un agente esterno violento come un virus la attacca. Un agente poco prevedibile, quindi, che però smaschera i punti deboli dell’organizzazione capitalistica sostanzialmente mondiale, oltre all’arma a doppio taglio della globalizzazione sfrenata.
Lo hanno scritto in molti, quindi lo ricordo brevemente. Il virus è arrivato in aereo e non sui barconi. Alla faccia della propaganda becera che vive in Italia un momento di grande salute.
È arrivato e si è propagato per la normale vita di relazione che ha alla base il lavoro e i contatti umani, in luoghi chiusi come gli uffici, le riunioni, le cene di affari.
Il sistema di comunicazione e trasporto internazionale è il vettore migliore per una epidemia: lo sapevamo già dai film più interessanti che abbiamo assorbito per decenni e che oggi tornano nei nostri occhi, anche perché l’epidemia, o addirittura la pandemia, è un soggetto cinematografico che ha sempre tirato molto. La paura, il terrore, la psicosi, la guerra civile, la scienza e la politica, la verità e la menzogna, i medici buoni, quelli che muoiono, il paziente zero e alla fine l’antidoto che salva il mondo.
Oppure no, come nel famoso Esercito delle 12 scimmie. Adesso non siamo spettatori, ma attori e però il virus non è Ebola, ma una influenza carogna che mette a rischio soprattutto anziani e chi ha patologie importanti. Stiamo parlando di quelli che vengono definiti soggetti a rischio, fragili.
Qui la prima riflessione è paradossale: la natura colpisce in maniera indiscriminata e solo il livello di reazione delle nostre difese immunitarie fa il resto, cioè reagisce o meno quando c’è la possibilità di farlo.
I vecchi sono a rischio. Non solo per una questione naturale, ma anche per una concezione ormai antica della nostra società. I vecchi, anche senza corona virus, non sono ancora divenuti protagonisti delle politiche pubbliche, per non parlare del sistema capitalista che prende, sfrutta, spreme e poi ti tira il classico calcio nelle terga senza predisporre nessuno scivolo da una vita consumata di lavoro a una vita senza lavoro e spesso senza un degno sostentamento.
E allora chi è il Grande Bastardo di questa storia? Il sistema che non si occupa, o un virus che colpisce in maniera naturale, cioè proprio per sua stessa natura rispetto alle regole della biologia?
Risposta scontata, ma che mi fa riflettere.
Sulla condizione dell’età fragile, su come il dibattito politico si occupi dei bersagli sbagliati, perché siamo noi i veri dominus dell’azione politica, eppure siamo comandati, non rappresentati, solo sedotti al giro elettorale, e dimenticati per le beghe dell’agone politico che se non fosse per l’abbaiare del mainstream non ci interesserebbe per nulla.
Vecchi, e giovani che lo diverranno, ma anche una classe sociale che ha perso un lavoro contrattualizzato negli scorsi decenni e ora si trova a lavorare nel fantastico mondo della P.Iva. Anche qui la discriminazione è stata lampante. Pochi giorni dopo le notizie dei primi contagi il ministero della Sanità ha dichiarato che i lavoratori che vengono messi in quarantena sono da considerarsi in malattia. E le P.Iva o equivalenti hanno subito capito chi avrebbe pagato questa crisi.
C’è una maniera, anche simbolica, per dare un segnale? C’è una una-tantum, anche simbolica, per far capire alla società che non ci sono scalini così alti e diversi? Una esenzione fiscale, una agevolazione dedicata, un provvedimento politico che faccia capire il senso di cosa significhi non abbandonare le persone a loro stesse?
Per ora ci sono dei provvedimenti che riguardano le zone rosse, sospensione tasse e mutui, ma il rallentamento nelle grandi città colpisce ugualmente chi lavora come consulente.
Nella vox populi del bar, nelle battute che esorcizzano la paura si dice apertamente che è il ‘Fornero virus’, ci passi l’ex ministra la citazione a fianco del mostro, perché la mortalità del 3% di cui si parla tanto colpisce persone anziane o meno anziane ma con gravi patologie. E di converso procurerà non la morte, ma una discreta agonia economica, per una parte importante della popolazione che si vede decurtare le proprie entrate. Senza vedere la fine del periodo di astinenza.
Cosa ci dice questo monarchico e strafottente virus è particolarmente chiaro: abbiamo costruito un sistema che non funziona e non ci stiamo preoccupando di modificarlo.
Milano è passata dalla sesta alla seconda, senza ancora sbiellare, ma con un contraccolpo visivo e di ritmo davvero impressionanti. Tra l’altro, diciamolo sottovoce, non è che sia così orribile perdere ritmo e rallentare e questa forse è una delle scoperte che accompagna la paura. Non è così sbagliato per figlie e figli avere qualche ora di sonno in più la mattina, e i problemi che hanno i genitori nel curarsi della prole casalinga vengono risolti in parte dal telelavoro, e in parte evidenziano un’altra falla della nostra architettura sociale: abbiamo rubato troppo tempo delle nostre vite – correggo ci hanno rubato – e potremmo impostare le nostre esistenze in una maniera davvero diversa.
Questo virus ci parla. Perché ci fa paura e ci obbliga a fare una cosa che non ci lasciano fare mai, e che troppo raramente insegniamo: pensare, prenderci del tempo.
Certo, c’è l’angoscia, i giornali, internet, tutti a gridare all’apocalisse. E però ci sono le persone nei parchi, qualcuno che torna a parlarsi in casa e non solo con un ciao al mattino e una buonanotte assonnata alla sera e anche l’happy hour sarà più interessante quando leveranno l’ordinanza dei bar chiusi alle 18.
Infine, i nostri ospedali e medici, infermieri, il dialogo fra politica e sanità.
Cosa deve fare uno Stato contemporaneo, cioè una comunità di persone che hanno studiato la storia e vissuto il progresso, se non potenziare le strutture di aiuto, soccorso, cura.
Abbiamo un settore da potenziare immenso, con un bacino di occupazione importante, abbiamo bisogno di riformare le regole che riguardano le nostre vite e i servizi, perché le esigenze della società sono cambiate radicalmente e i servizi tardano a mettersi in sintonia. C’è soprattutto un problema di risorse che viene vissuto ideologicamente da chi dice di odiare le ideologie.
I temi del buon governo sono tutti sulla tavola, le priorità sono facili da individuare, il coordinamento della comunicazione e intervento è cosa che una media agenzia di comunicazione saprebbe strutturarla meglio di quello che vediamo.
Eppure, questa cosa non succede.
Ecco perché il Covid-19, che l’inferno se lo inghiotta, è un buon momento per ragionare e per cercare di usare la paura come un motore di cambiamento in positivo, una specie di propulsore che ci aiuti a entrare in un’orbita di navigazione corretta in cui affrontare le falle del sistema.