Keine papiere

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7 Febbraio 2020

Sui treni cargo la street art che porta oltre il confine del Brennero chi non ha i documenti

Vorsicht, er hat keine papiere. “Attenzione, non ha i documenti”. Non hanno carte d’identità gli uomini raggomitolati e intorpiditi, che dormono dipinti sui treni cargo che puntano al confine del Brennero.

Donne distese scalze e bambini dallo sguardo perso: figure enormi, che la vernice non riesce quasi a farcele stare nelle cornici squadrate dei vagoni merci che portano la ceramica dei distretti industriali emiliani oltre confine, verso l’Austria e la Germania.

Il profilo di un pescatore del Niger, scappato dopo l’arrivo della Shell, e un agricoltore, fuggito dopo che una multinazionale ha espropriato il suo terreno. Un ragazzo laureato in economia che vive in strada e uno che spera di studiare medicina, dopo essersi salvato rimanendo dodici ore attaccato ai frammenti della barca affondata. E molti altri. Le loro sagome, “pittate” sui cargo da un piccolo gruppo di artisti emiliani, riescono in questo modo a superare i confini più blindati.

Perché le persone non passano, le merci sì. Lo dicono gli oltre trecento treni dipinti in tre anni dal Collettivo FX, che vuole fare della street art un manifesto politico contro la burocrazia più ottusa e soffocante. Convogli che attraversano quotidianamente l’Europa, sorprendendo pendolari in attesa e autisti distratti. Che a volte hanno raccolto il messaggio e lo hanno restituito alla rete, fotografando i treni che hanno visto passare: a Verona, a Chiasso, alla bahnof di Montabaur, in Renania, alla Gare di Baden-Baden, ormai al confine con la Francia.

Persone impaurite, scalze, infreddolite dipinte su vagoni cargo diretti verso il Brennero. Da dove nasce questa idea?
Nasce su un treno Chiasso-Milano Porta Garibaldi e da un incontro casuale con una ragazza Eritrea, a ottomila chilometri da casa, da sola, magrissima e con lo sguardo terrorizzato. Ci siamo attivati con l’aiuto di una serie di persone per capire la sua situazione e farla rientrare da un parente a Roma. Ma anziché essere felici di aver aiutato una persona eravamo delusi, amareggiati, in parte colpevoli di quella situazione: cos’ha di pericoloso una ragazza di diciotto anni, con uno zainetto e lo sguardo terrorizzato? Solo perché non ha i documenti, secondo la divina burocrazia, è da respingere e lasciare su un marciapiede? Da che punto di vista alterato, distorto, malato, si può considerare una persona così, in quelle condizioni, pericolosa? Ed è così che abbiamo deciso di far viaggiare su quella stessa tratta, attraverso quegli stessi confini, questo paradosso.

Il messaggio di denuncia che si può leggere in questo progetto è forte: viviamo in un mondo in cui le merci possono muoversi e varcare i confini, le persone no. È così?

Esattamente. A questo aggiungiamo che i parametri burocratici del “documento d’identità” non rispecchiano la realtà perché non sono uno strumento capace di capire, comprendere, selezionare, integrare e respingere. Quindi noi diciamo: attenti a chi ci fa vedere la realtà attraverso i documenti, piuttosto che a chi non ha i documenti d’identità.

Un pescatore del delta del Niger, un migrante che dopo le percosse in Libia non riesce più a leggere, un bimbo che non sa più nulla della madre. Quali storie raccontate?
Inizialmente non volevamo affrontare questo argomento perché già fin troppo trattato. Dopo l’incontro con la ragazza eritrea ci siamo resi conto che il rapporto tra problema è la sua narrazione era falsato. Così ci siamo attivati per capire meglio l’argomento là fuori, nel mondo reale. Incontrando direttamente i ragazzi, guardandoli in faccia e sentendo direttamente da loro i motivi per cui se ne erano andati da casa e cosa significava per loro il viaggio che avevano intrapreso. Fondamentali tre momenti: il primo a Cotignola dove gli assessori del Comune Federico Settembrini e Barbara Nannini ci hanno fatto incontrare ragazzi provenienti da Eritrea, Etiopia, Guinea; il secondo a Bolzano, dove Federica Franchi di un’associazione che si occupa di richiedenti asilo ci ha fatto incontrare ragazzi proveniente dalla Nigeria, dal Ghana e dal Gambia; il terzo sotto casa, nei capannoni abbandonati delle vecchie Officine Meccaniche Reggiane, dove andiamo a dipingere regolarmente e che è luogo di rifugio per persone che hanno vissuto storie incredibili. Le storie sono frutto di incontri reali, testimonianze dirette, di migranti, ma anche di chi opera con loro. E poi abbiamo approfondito attraverso le inchieste di giornalisti come Fabrizio Gatti, Valentina Furlanetto e Giampaolo Musumeci.

Keine papiere, senza documenti. Al centro di questo lavoro c’è il tema della “clandestinità” e della condizione di apolide. Perché?
In realtà, più che del tema della clandestinità dei migranti, vogliamo parlare della superficialità nostra, italiana ed europea, nel giudicare le persone solo attraverso il loro documento di identità. Certo, è uno degli strumenti che si possono usare per capire una persona, non sicuramente l’unico né il più importante. Tutti i giorni ci scagliamo contro la burocrazia denunciandone l’incapacità di capire la realtà, e invece su questo argomento proprio alla burocrazia diamo un credito e un potere assoluto. Non è paradossale per tutti, per chi migra e per chi accoglie?

Collettivo FX denuncia questa forma di “clandestinità ingiusta” proprio attraverso un lavoro artistico “clandestino”, quello sui treni, che storicamente è uno dei linguaggi scelti dalla street art per esprimersi. Qui si parla di oltre 300 treni, un lavoro enorme (e rischioso). Come lo avete portato avanti?
Ci stiamo lavorando da circa tre anni. Diciamo che la nostra preoccupazione non è tanto come agire e i rischi che affrontiamo (ci sono e non ci piace raccontarli pubblicamente), ma come continuare a portare avanti i temi a cui teniamo in modo efficace. Sui treni, ma non solo. Ad esempio alla mostra Keine Papiere, che racconta il nostro lavoro alla Biblioteca Poletti di Modena, abbiamo portato Call Malta, un progetto attraverso il quale raccontiamo la storia del naufragio del 13 ottobre del 2013, che fece 268 vittime di cui 60 bambini, ai ragazzi delle scuole medie.

I treni sono per definizione “mobili” e con loro le vostre opere, che, una volta realizzate, si spostano e viaggiano senza che sia più possibile tracciarle. Fa parte anche questo del gioco? Il messaggio in alcuni casi è stato raccolto anche in città lontane ed è tornato al mittente tramite Instagram…
Sì esatto, fa parte del gioco. Non consideriamo tanto il fatto che i disegni vadano “persi”, ma la quantità di immagini che bisogna fare perché possano essere notate dalla gente che aspetta i treni. I “ritrovamenti”, sempre più numerosi su Instagram, di scatti realizzati a Milano, Verona, Domodossola, Brennero, Chiasso, in Svizzera, Austria e Germania sono un piccolo segnale del fatto che il progetto sta funzionando. Ci interessa ragionare sul rapporto realtà-web. A chi si imbatte per caso nelle nostre opere vorremmo dire: guardate queste persone impaurite e infreddolite, questa è la condizione, quasi mai raccontata, vissuta da chi intraprende quel viaggio, su quei treni e in quella tratta.

Questo fa parte anche della vostra idea di street art, che vuole essere una forma d’arte soprattutto politica e sociale. Qual è l’idea di arte urbana che ha Collettivo FX?
L’arte in generale (non solo quindi la pittura, ma anche l’architettura, il cinema, la danza, il teatro) che si trova nello spazio pubblico è per sua natura politica. Quindi non è una nostra idea, né la nostra volontà. Semplicemente prendiamo atto di un dato di fatto, di qualcosa che è lì di fronte a tutti. Questo ruolo pubblico dell’arte viene usato in modi diversi: c’è chi decide di fare arredo urbano, chi da sfondo al lavoro di altri, chi decide di essere “accessorio” di un pensiero altrui, chi turismo e intrattenimento; oppure c’è chi preferisce “provocare” un punto di vista nuovo o creare una riflessione su quello che c’è lì intorno. Funzioni tutte importanti, noi preferiamo però la seconda, quella di provocare piuttosto che fare intrattenimento.

Il vostro lavoro parte sui vagoni cargo della tratta ferroviaria che va verso il Brennero, uno dei confini caldi e dei “muri” di cui si è parlato di più in questi anni. Continuerete? Ci sono altri confini, dogane, barriere su cui volete portare l’attenzione?
Continueremo finché ci sarà bisogno di affrontare l’argomento e quindi probabilmente ancora per molto. Abbiamo cominciato questo lavoro sui treni qualche mese prima che l’Austria minacciasse di chiudere le sue frontiere ai flussi migratori, la fase di tensione al Brennero ha coinciso quindi non con l’inizio del progetto, ma con la sua applicazione: mentre la polizia e la propaganda nazionalista austriaca presidiavano i confini, già molti Keine Papiere passavano il confine sotto i loro sguardi. Nel momento del caos siamo invece siamo andati a incontrare i migranti a Bolzano, alcuni dei quali avevano tentato di oltrepassare il Brennero senza successo. Oggi continueremo con altri approfondimenti sullo stesso argomento. A partire dal progetto Call Malta sul naufragio del 2013 e in modo più leggero dedicando un murales a Mustafà Doma, il primo calciatore africano a giocare in Italia negli Anni Venti nel Catania. Lo stesso confine del Brennero lo supereremo in bici a maggio in compagnia di Jens Besser (street artist tedesco, ndr), ripercorrendo il viaggio della “vendita di Dresda”: la famosa cessione della collezione Estense di Modena per pagare i debiti di guerra al Re della Sassonia. Poi continueremo a collaborare con Jindu (@cargojindu sui social, artista reggiano che lavora sui treni, ndr), un progetto che viaggia su container dall’Italia al resto del mondo. Poi i confini culturali sotto casa, quelli ad esempio che si trovano alle ex-Reggiane. E poi tanto altro, troppo forse.

Il Collettivo FX di Reggio Emilia è composto da un piccolo gruppo di persone, che fa deliberatamente della street art un atto di impegno sociale. Ha realizzato centinaia di opere non solo in Italia e non solo sui treni. Ha elaborato in un testo il suo metodo, il metodo FX, secondo il quale il writer deve sentirsi, più che artista, un artigiano che riesce a raccogliere la storia e le idee di una comunità e rappresentarle visivamente.