onvinti, quando le cose vanno bene e quando le cose vanno male, che ciascuno deve fare il suo lavoro, ci troviamo come redazione di fronte a un evento globale, che concorre a mettere a nudo quelle paure che saranno l’argomento del terzo numero del nostro semestrale cartaceo.
Partendo dal testo di Angelo Miotto, abbiamo deciso – nostra vecchia passione – di lanciare un Decameron online, nella vecchia tradizione, di fronte alle paure, di riunirsi attorno al fuoco (della passione narrativa) e di raccontarsi storie.
Mandateci il vostro racconto di questi giorni di Corona virus, tra allarmismi, improvvisati esperti, legittime paure e doverose cautele. Va bene, al solito, qualsiasi linguaggio: audio, testo, video, foto. Inedito o citando altri. Scrivete a redazione@qcodemag.it e noi vi pubblicheremo.
Il contagio delle storie – 14
L’arrivo della paura – Elisa G.
Questa sono io qualche giorno fa.
Quel rettilineo dietro, lo chiameremo Biografia, e come si vede, mi sto legando le scarpe.
A dire il vero sono scarponi da montagna, marca Head comprati nel negozio di via Marsaglia, ed hanno circa 15 anni: dopo due gravidanze mi vanno anche un pochino stretti. Siccome, però, sono stati un po’ in tutte le valige, e sono di famiglia, me li tengo e me li riallaccio.
Questo di legarsi le scarpe è il tempo migliore della mia vita. Il tempo di far sedimentare, di tornare un po’ al principio, di nutrirsi l’anima, di cercare nuove energie: perché, di fronte anche se non si vedono, ci sono strade impegnative, diverse da quella retta che vediamo dietro.
Ed ora vi svelo un segreto: Biografia, non è mai stata una retta, ma annodare i lacci sfilacciati ha un potere magico, raddrizza tutto.
Ecco quindi, proprio mentre io sono qui, che rido, e godo di questo gesto di amore verso i miei adorabili lacci e le strade raddrizzate, è arrivato quello che non mi aspettavo: la paura.
Azz!
Proprio a me?!?! Io con le Head, la strada raddrizzata e tutto bla bla bla in regola?
Dove sono i lacci? Ho perso le redini.
Sbam! paura mi ha preso e mi ha sbattuto a terra. Per un paio di giorni non sono mica riuscita ad alzarmi, appiattita. Questo virus poco alcolico, al gusto di limone – e fossimo in Messico, Dio Santo, invece che a Castellaro! – mi ha buttato giù dal muretto.
A me!
Il mio ego protestava, ma intanto li, stavo.
Poi ho capito che quello era il problema, l’ego, e l’assurda ambizione di essere impermeabili dalla paura. Non accoglierla.
Quindi mi sono goduta la visione del cielo dal basso, e ho capito, e ho abbracciato tutti gli altri impauriti.
Cosi a tastoni sono arrivata ai lacci, li ho slegati e rilegati un paio di volte. Ho nutrito l’anima, sgridato un po’ l’ego e l’ho anche perdonato.
Poi mi sono ripromessa che accetterò che possa tornare – e che tornerà – , ma , giuro! non la alimenterò e anzi, prima di partire starò ancora un po’ qui e abbellirò il mio muretto con piante, musica e qualche cuscino per gli ospiti, che verranno, in qualche modo.
Perché in fondo con la paura, è bello, bello, bello abbracciarsi.