Le ragazze stanno bene

di

23 Gennaio 2022

Dispacci dal Trieste Film Festival – 1

Ho visto una ragazza attraversare un’isola frastagliata, camminare in bilico lungo rocce umide e ricoperte di muschio, l’ho vista tuffarsi dagli scogli o da una barca in mare aperto e andare a caccia delle murene nascoste tra i fondali, ascoltando l’eco luminosa del mondo che si percepisce a certe profondità – là dove tutto si fa incerto, i contorni sfuocano, il silenzio è pieno di voci rotonde che non sappiamo interpretare.

Capitava che questa ragazza riemergesse e si sedesse a un tavolo, intrappolata sotto il giallo artificiale di una lampada. Capitava che obbedisse agli ordini di un padre, che assecondasse le tristezze di una madre, ma lo sguardo scuro, le movenze lente, la bocca appena piegata in un sorriso, tutto in lei rivelava una forza tranquilla, un’acquiescenza che non era mai vera sottomissione.

Abitava quel mondo per un po’ ma presto o tardi sarebbe tornata all’acqua, ci sarebbero sempre stati un’acqua e un fondale a cui tornare.

Ieri sera questa ragazza era seduta poche file davanti a me: sprofondata tra le sedie blu marino del Cinema Rossetti, incarnava il corpo giovane di Gracija Filipović, l’attrice protagonista di Murina, in concorso al 33° Trieste Film Festival, ma a vederla sullo schermo sembrava appartenere al mare da sempre, un’ombra scaturita dalle insenature di un’isola remota.

Murina è il primo lungometraggio di Antoneta Alamat Kusijanović, e si nutre dei paesaggi della sua infanzia: nata nel 1985 a Dubrovnik, cittadina a picco sul mare, amata dai turisti per le sue acque cristalline, Kusijanović non guarda alla Croazia con la lente dell’incanto, non ci mostra neanche per un attimo paesaggi da cartolina. Da nativa di un luogo che per altri è solo una meta per le vacanze, sa che non esiste una natura intoccata e accogliente ma solo maree che a volte si potranno attraversare e a volte saranno basse e ostili, rocce che a volte offriranno ricci di mare da spolpare a riva, altre volte spaccheranno le barche più arroganti e inesperte e allora resterà solo legno, vernice scrostata via dal sale, un tesoro sui fondali visitato solo dalle murene, o dalle ragazze che sapranno seguirle.

In un festival che vanta una grande presenza di registe donne, provenienti da paesi poco rappresentati, ricche di storie, vicende e personaggi così lontani dall’eroismo magnifico del grande cinema americano, il film di Kusijanović ci offre qualche indizio sul cinema che verrà: racconti che non si affidano a sceneggiature da manuale, dove non esistono trame avvincenti, come in Murina, ma solo la tranquillità misteriosa di un luogo che padroni o turisti vorrebbero addomesticare; dove non esistono soglie definitive ma solo immersioni ed emersioni continue, dove i padri smaniosi di mantenere l’ordine non saranno mai sconfitti una volta per tutte, e la libertà non sarà nello scoppio di una rivoluzione ma nelle braccia indolenzite che portano ogni volta più al largo.

Se ieri sera mi avessero chiesto che cosa ho visto, uscita dal Cinema Rossetti di Trieste, avrei detto di aver visto una ragazza che cercava la sua rotta, e a tratti mi era sembrato di confonderla con le presenze di questa città, con le ombre che scivolano dietro i portoni o si affacciano dalle persiane di questi palazzi bassi e compatti e incrostati di sale, straniere dai colori baltici e studentesse sedute nei caffè con i maglioni sformati, il viso attento e serio sui libri, venute a perdere l’accento e a cercare nuove rotte, anche loro.

Alcune ridevano uscite da un’osteria, altre passeggiavano lungo il porto; c’era una ragazza rimasta più a lungo delle altre, raccolta nel cappotto, fissava il mare che si muoveva sotto i lampioni. Aveva pensieri tutti suoi, ma chissà se affilando gli occhi riusciva a vedere oltre l’acqua nera e il riflesso rotto della luna, e a distinguere pian piano i profili delle rocce, la luce tenue di un fondale.