Convinti, quando le cose vanno bene e quando le cose vanno male, che ciascuno deve fare il suo lavoro, ci troviamo come redazione di fronte a un evento globale, che concorre a mettere a nudo quelle paure che saranno l’argomento del terzo numero del nostro semestrale cartaceo.
Partendo dal testo di Angelo Miotto, abbiamo deciso – nostra vecchia passione – di lanciare un Decameron online, nella vecchia tradizione, di fronte alle paure, di riunirsi attorno al fuoco (della passione narrativa) e di raccontarsi storie.
Mandateci il vostro racconto di questi giorni di Corona virus, tra allarmismi, improvvisati esperti, legittime paure e doverose cautele. Va bene, al solito, qualsiasi linguaggio: audio, testo, video, foto. Inedito o citando altri. Scrivete a redazione@qcodemag.it e noi vi pubblicheremo.
Il contagio delle storie – 44
Morire soli – Leonardo Castelli
“E’ inutile piangere. Si nasce e si muore da soli…” Apro questo articolo prendendo spunto dalla citazione di Cesare Pavese. E’ vero, da soli si nasce e da soli si muore, ma chi resta spesso solo rimane.
Affrontare un lutto è sempre una delle esperienze più dure della nostra esistenza. Per questo nella storia dell’umanità da quando ne abbiamo memoria abbiamo affrontato la perdita dei nostri cari ritualizzandola. Nelle più disparate maniere.
Morire in tempo di Covid è ancora più straziante, ancora più crudele. Non poter metabolizzare la perdita attraverso una preghiera, un ultimo saluto lascerà delle cicatrici indelebili nella psiche di migliaia di persone che in questo periodo hanno dovuto dire addio alle persone a loro più vicine. Mi sono deciso a raccontare questa tematica con la speranza di dare visibilità ad un argomento troppo poco trattato in mezzo al caos di questi giorni.
Avrei voluto farlo con il distacco del professionista, dando voce ad una storia, per raccontarle tutte. Mi sono recato al cimitero credendo che mi sarei trovato di fronte uno sconosciuto, sicuramente anziano. Così non è stato. Il distacco e la professionalità se ne sono andati appena mi si è presentata davanti una famiglia spezzata. Una famiglia che conoscevo.
Una donna giovane. E d’improvviso il loro dolore è diventato il mio. E’ stato molto difficile per me alzare la macchina fotografica per immortalare il loro ultimo saluto. Vero, straziante, umano. Quell’umanità che si faceva largo in mezzo alle tute asettiche degli operatori cimiteriali. Quell’umanità che attraverso la richiesta di poter assistere alla sepoltura reclamava il suo spazio.
Purtroppo il virus non conosce umanità e le fin troppo rigide normative al riguardo non conoscono pena. La pena che traspare attraverso quelle tute bianche che pur svolgendo il loro ruolo, pur trasmettendo le peggiori sensazioni possibili contengono degli uomini, delle persone con un cuore che devono negare l’ultimo saluto ha chi il cuore si è frantumato in mille pezzi, all’improvviso.
Non è facile nemmeno per loro. La mia pena diventa rabbia, verso nessuno in particolare.
Ma quando hai l’impressione di assistere ad un’ingiustizia non è facile trattenere i tuoi sentimenti. Ho deciso di ricompormi, portare a termine il mio obbiettivo, “vendicare” le voci di chi in voce non ne ha più. Per dare una dignità a chi ancora è qui e ancora non ha potuto poggiare un fiore sulla lapide dei propri amati. Ho deciso di farlo con la crudezza di quella che è la realtà dei giorni nostri. Quella realtà che spesso ci sembra così distante, ma in verità è a un passo da noi.