Passeur

di

12 Maggio 2020

Nell’ascensione al Colle di Finestra, confine tra Italia e Francia, c’è la storia del Novecento

Il 2015 è stato l’anno dell’amaro risveglio. L’anno nel quale, in Europa, il raccolto dell’odio, dopo decenni di semina, ha prodotto i suoi frutti avvelenati.

Nel 2011, al tempo delle rivolte arabe, o nel 2013, dopo il drammatico naufragio di Lampedusa, è come se una sorta di rete civile del pudore – a fatica – avesse tenuto. Una rete che, di fronte al corpo del piccolo Aylan Kurdi annegato, ha dato la sua spinta più forte, nel tentativo di ribaltare la situazione.

Una controffensiva illusoria, disperata e bellissima. Quella dell’umanità, della solidarietà, che non è politica, ma senso della decenza.

Da quel momento, già dopo l’estate di quell’anno, tutto ha iniziato a precipitare. I fronti del racconto del disumano sono tanti, sono una mappa di una guerra agli esseri umani che si arricchisce di nuove rotte, vecchie rotte, stesse fragilità.

Il confine tra Italia e Francia è uno di quei fronti. Il giornalista freelance Raphaël Krafft, documentarista radiofonico pluripremiato, decide a ottobre 2015 di raccontare quel confine.

Inizia un viaggio (che dopo il formato radiofonico è oggi un libro edito da Keller, che sul giornalismo narrativo è sempre più un faro di riferimento rispetto a traduzioni di lavori di giornalisti stranieri in italiano) al confine tra Mentone e Ventotene.

Un viaggio che parte da un dubbio, anzi più di uno. L’eterno dilemma tra cronaca e approfondimento, perché lo sai che trovare una chiave di lettura quando tutti parlano della stessa cosa non è facile. Il rischio di ritrovarsi travolti in quelle situazioni da film banale, coi giornalisti che si accalcano, è enorme. Ancora, l’abitudine di una generazione di giornalisti (Krafft è del ’74) di raccontare il mondo, ma non vedere le dinamiche che si dipanavano sotto casa.

Anche per questo l’Europa, nel 2015, si è svegliata matida di sudore capendo – speriamo non troppo tardi – che si è lasciato correre tanto, troppo. E oggi è l’Europa che ha perso sé stessa.

Krafft attraversa l’autunno del 2015, tra Parigi e il confine italo-francese, tra i volontari del Presidio di Ventimiglia scacciati e gli interventi di una polizia frustrata dagli accampamenti informali a Rue de la Chapelle a Parigi.

Si alterna tra due poli: il francese Hubert, internazionalista del ’68, e l’italiano Enzo, figlio di migranti siciliani, vecchio militante del PCI. E i ragazzi che passano quel confine, a piedi o come possono.

E Krafft, “riscoprendo che il mio paese ha dei confini”, incontra la storia del Novecento sui quei pendii. Dall’emigrazione italiana in Francia, agli antifascisti, i partigiani, gli ebrei in fuga dai nazisti, fino all’emigrazione italiana del secondo dopoguerra.

“In quest’ultima parte della camminata calpestiamo lastre millenarie. Sono pulite, patinate. Rese tali dai camminatori di San Giacomo e di Caïre de la Madone, dai portatori di sale di Heéres e della Camargue, dai contrabbandieri, dagli antifascisti italiani venuti a trovare rifugio in Francia, dagli ebrei dell’Europa centrale e dell’Est in fuga dai pogrom, dagli ebrei austriaci in fuga dall’Anschluss, dagli ebrei stranieri d’Italia in fuga dalle leggi razziali, dagli ebrei di Saint-Martin-Vésubie e da tanti altri perseguitati. Noi siamo solo di passaggio”. scrive Krafft.

L’ultima vittima nota, perché dei ragazzi che ci muoiono oggi il nome non si raccoglie, è stato un fornaio toscano, Mario Trambusti, nel 1962. Krafft incontra la memoria di quei passi, dei suoi viandanti e dei suoi passeur. Che oggi sono sudanesi, libici, etiopi e mille altri ancora.

Un libro che, metaforicamente, si completa con quello di Maurizio Pagliassotti, Ancora dodici chilometri, edito da Bollati Boringhieri. Più politico il secondo, più contemplativo il primo, sui due lati del confine di sempre.

Una targa, proprio vicino al confine, in cima, nei pressi di quella Casa Gina abbandonata durate la Seconda Guerra mondiale, piena di scritte di viandanti nei decenni, che riprendevano fiato per un attimo, recita:

Attraverso questo colle, nel settembre del 1943, centinaia di ebrei provenienti da tutta Europa cercarono spesso invano di salvarsi dalla persecuzione antisemita.
Tu che passi di qui libero ricordati che questo è accaduto ogni volta che tolleri che chiunque altro non goda dei tuoi stessi diritti.

L’Europa c’era, poi si è perduta, poi si è ritrovata, ma senza rendersi conto che si sta perdendo ancora.