Saudade – 15

di

23 Marzo 2020

Il contagio delle storie – 15

Convinti, quando le cose vanno bene e quando le cose vanno male, che ciascuno deve fare il suo lavoro, ci troviamo come redazione di fronte a un evento globale, che concorre a mettere a nudo quelle paure che saranno l’argomento del terzo numero del nostro semestrale cartaceo.

Partendo dal testo di Angelo Miotto, abbiamo deciso – nostra vecchia passione – di lanciare un Decameron online, nella vecchia tradizione, di fronte alle paure, di riunirsi attorno al fuoco (della passione narrativa) e di raccontarsi storie.

Mandateci il vostro racconto di questi giorni di Corona virus, tra allarmismi, improvvisati esperti, legittime paure e doverose cautele. Va bene, al solito, qualsiasi linguaggio: audio, testo, video, foto. Inedito o citando altri. Scrivete a redazione@qcodemag.it e noi vi pubblicheremo.

Il contagio delle storie – 15

Saudade – Laura Carrer

La scorsa notte non è stata delle migliori.

Nel weekend, senza uscite né divertimento, le ore sono passate lente. È stato facile addormentarsi tra una chiamata e una pagina di un libro, rannicchiata in un angolo del letto o sul divano. E di notte basta poco, un minimo rumore, per aprire un occhio e subito dopo l’altro. Cinque o sei secondi per ricordarti qual è la situazione. Ho passato ore a fissare il soffitto. Ma non per tristezza: quel ricordo affettuoso di ciò che è assente, speciale, e che si vorrebbe rivivere, i portoghesi lo chiamano Saudade. È davvero una bella parola.

Sono sempre stata affascinata dalle altre lingue, per un motivo preciso. Come diceva un monologo di 2 ou 3 choses que je sais d’elle (Due o tre cose che so di lei), un capolavoro di Jean Luc Godard del 1967, i limiti della mia lingua sono quelli del mio mondo. Parlando limito il mio mondo, lo finisco. Spesso proviamo sensazioni che non sempre è facile tradurre a parole: perché non si riesce, o perché non esistono. La nostalgia, ad esempio, non è proprio la stessa cosa.

C’è un gran silenzio da giorni. E nelle ore notturne ancor di più. Mentre guardavo il soffitto sentivo qualche ambulanza passare sulla strada, e i cani abbaiare nel vuoto.

Chissà che si dicono di questa situazione, me lo chiedo spesso. A destra mi fa male la spalla, a sinistra storco troppo il collo: mi sarò girata e rigirata nel letto una decina di volte, tanto da insaccarmi nel lenzuolo. Venerdì scorso abbiamo stappato un Brunello di Montalcino – annata 2014, 13,5 gradi – e l’abbiamo bevuto ridendo e cantando. Era volato pure un bicchiere per terra, in miliardi di pezzi, ma che ci vuoi fare è la vita.

Esprimere affetto per un ricordo, voler mantenere qualcosa vicino per i giapponesi è Natsukashii. La lingua giapponese è talmente sfaccettata che se ne conosci anche solo una parte, puoi immaginare un mondo ai più sconosciuto. A volte basta un suono, un profumo, uno stato per rievocare nella mente, rivivere qualcosa. Fuubutsushi.

Le lancette dell’orologio continuavano imperterrite. Quel ticchettìo odioso l’ho cercato il mattino dopo, ma non l’ho più sentito.

Fuori non si sentivano più i cani, ma gli uccellini: era quasi mattino, è quasi primavera. Anche se la vediamo solo incorniciata dalle finestre di casa. Quasi ovunque per l’Italia sono stati 6 giorni di sole pallido ma gradevole. Mi manca sfrecciare in bici, e tornare distrutta dicendomi che forse ho esagerato.

Domani è un altro giorno, si lavora e dovrei dormire. Mi metto a sorridere prima di riuscire a chiudere gli occhi. In fondo sono tutti qui, arrivano quando meno te l’aspetti e rompono il silenzio. Che bello vedere i vostri faccioni che spuntano dagli schermi.

E se ve lo chiedono: non è tristezza, è saudade!