Il 28 gennaio è entrata in vigore in Polonia una sentenza della corte costituzionale che vieta l’aborto anche in casi di gravi malformazioni o malattie genetiche del feto. Da quest’anno la possibilità di abortire nel paese si limita solo ad alcuni casi veramente limite, cioè pericolo di vita per la madre, incesto o stupro.
Questo nonostante ci siano forti proteste da ormai tre mesi e non siano mancate critiche da parte della comunità internazionale. La grande marcia, la manifestazione di Varsavia del 30 novembre scorso a cui hanno preso parte più di 100.000 persone, è stata la più grande protesta dalla fine del comunismo.
L’ho seguita dall’Italia piena di orgoglio, ma anche di sorpresa. Perché sapevo che quella Polonia progressista e liberale esiste, ma non pensavo si sarebbe fatta sentire in modo così forte. Vederla travolgere il paese fin dai villaggi e invadere il centro storico di Varsavia come un fiume umano mi ha aperto gli occhi. E mi ha fatto ridimensionare una certa Polonia conservatrice che odia, anche se non dimentico che esiste.
In questi mesi ho parlato della situazione con diverse donne polacche, dentro e fuori la mia famiglia. L’argomento esce fuori spontaneo e urgente in quasi ogni conversazione – non importa da che parte si stia. C’è la persona che mi dice che si è trasferita all’estero proprio per questo clima di odio e controllo, oppure quella che si premura di avvisarmi di ignorare le stupidaggini che scrivono i giornali filo-europei.
“Di solito non mi piace commentare fatti politici, ma quando vedo la mia nazione soffrire così tanto non posso restare in silenzio”. Così inizia un lungo post su facebook della mia amica Paulina, 27 anni, ingegnere di Cracovia. “Sento paura, sento rabbia, sento frustrazione e delusione e la cosa peggiore è che mi sembra che combattere non porti a nessun risultato”.
Si chiede come farà un giorno a decidere di avere un figlio serenamente, sapendo che se dovesse essere gravemente malato non avrebbe neanche la possibilità di scegliere. Paulina ha vissuto a lungo all’estero, in Islanda, in Svezia e Francia. E come altri polacchi della sua età con esperienze simili, non può fare a meno di comparare la sua situazione a quella di altri paesi più liberali.
Un’altra amica di Cracovia, Kasia, mi ha scrive che comunque il PIS qualcuno lo ha votato ed ha ancora la maggioranza nel paese. Kasia ha 34 anni ed è avvocato, non ha figli, ma in compenso lei e il marito vivono con due bellissimi cagnolini e un gatto.
E’ convinta che l’aborto debba essere legalizzato, ma ha una visione molto pragmatica e realista della situazione.
Definisce la legge precedente un “compromesso” tra chi era a favore e sfavore, perché nonostante le restrizioni permetteva almeno in alcuni casi di abortire. La nuova legge invece non lascia praticamente più possibilità di scegliere ed è sbilanciata a favore degli anti abortisti.
Secondo Kasia è stata una mossa politica astuta, perché il governo si trova in una posizione di potere: siamo ancora lontani dalle elezioni e sarà facile introdurre nei prossimi mesi qualche programma sociale per calmare le acque. Quella sull’aborto tra l’altro è una legge che la base degli elettori del PIS probabilmente approva in pieno.
Anche se è favorevole ad una legge sull’aborto più liberale, Kasia non ha partecipato alle proteste. In parte mi ha scritto che le è mancato il tempo, ma è anche perché non si sente del tutto a suo agio con la comunicazione di Strajk Kobiet.
Strajk kobiet significa ‘lo sciopero delle donne’ ed è un movimento che esiste dal 2016 e che si batte in difesa dei diritti delle donne. In questi mesi è stata in prima linea nel coordinare le proteste in tutto il paese, anche dal punto di vista dell’immagine e della comunicazione.
E’ vero che durante queste ultime manifestazioni sono stati usati slogan particolarmente duri e pieni di rabbia. Il motto più usato durante le proteste è stato semplicemente “wypierdalać!” (andatevene a fanculo). Non posso fare a meno di capire lo stato emotivo di profonda rabbia e indignazione di chi protesta, ma allo stesso tempo conosco più persone che come Kasia si sono sentite a disagio con questa comunicazione.
Una persona che in mezzo alla folla di Strajk kobiet si è sentita a casa invece è Anka. Ha 54 anni ed ha partecipato alla grande marcia di Varsavia con i due figli grandi. A Bydgoszcz, a qualche centinaio di chilometri di distanza, anche sua madre di 82 anni è uscita a protestare. Anka mi fa vedere con orgoglio un video sul cellulare che le ha mandato, è un cassonetto della spazzatura che ha imbrattato con uno degli slogan di Strajk Kobiet. “Finché non è stata operata e riusciva ha sempre partecipato” mi ha spiegato.
Delle proteste Anka ricorda di aver ballato e cantato fino a tardi e che erano circondati da un numero sproporzionato di poliziotti in tenuta anti-sommosa. Ha abortito anche lei, negli anni ’90, in un ospedale norvegese. “Era la mia seconda gravidanza” mi scrive “e non la accettavo completamente. Per me la decisione non è stata difficile e non ho traumi al riguardo”. Nel suo paese Anka non avrebbe potuto interrompere la gravidanza ed è solo grazie ad un’amica norvegese che l’ha aiutata che è riuscita ad abortire all’estero senza dover spendere un capitale.
Secondo uno studio delle Nazioni Unite le donne polacche che abortiscono all’estero sono circa 100mila all’anno e viaggiano soprattutto verso Repubblica Ceca e Germania. Nello stesso report, si ipotizza che tra le 80mila e le 180mila donne abortiscano invece clandestinamente in Polonia, in modo più o meno pericoloso.
Anka di recente ha aiutato una signora ucraina residente in Polonia ad ottenere delle pillole abortive. Ufficialmente nel paese sono vietate, ma è possibile ottenerle tramite delle fondazioni. Nel suo caso ha speso 100 € e le sono state inviate dall’Olanda in un semplice busta contrassegnate come “pastiglie alle erbe”. Le istruzioni per l’assunzione venivano mandate via email.
“Per secoli le donne hanno fatto di tutto per dare alla luce un bambino e allo stesso modo sono disposte a fare qualsiasi cosa, incluso rischiare la propria salute e la propria vita, per sbarazzarsi di una gravidanza indesiderata” mi ha scritto. L’aborto per Anka non si ferma con una semplice legge, al massimo lo si rende più pericoloso (o costoso).
Da mamma, la preoccupa anche il fatto che le famiglie abbiamo pochissimo supporto economico dallo stato: la maggior parte delle medicine e visite per i figli sono a pagamento e non possono essere dedotte dalle tasse. “Rząd każe rodzić, ale potem nic ich nie obchodzi”. Il governo ci ordina di figliare, ma poi si disinteressa. Le stesse famiglie che saranno obbligate dalla nuova legge a far nascere figli con disabilità anche molto gravi, che supporto riceveranno dallo stato?
Per Maryla l’aborto è solo una nuova moda per giovani. Alla sua età, mi dice, non esistevano cose del genere e i vicini si aiutavano a vicenda, quando le famiglie erano numerose si sostenevano. E’ nata nel 1938 ed è sopravvissuta ad una guerra mondiale e a quasi quarant’anni di comunismo.
Quando le chiedo cosa ne pensa dell’aborto, inizia a raccontarmi della soppressione del suo cane. “Capiva cosa stava per succedere, l’ho dovuto calmare. Ed era solo un cane, figurati quanto potrei soffrire per un bambino!”. E poi ci spiega che il PIS, il partito al governo, non farebbe mai niente per mettere in pericolo la vita delle madri. E’ l’opposizione che cerca di infamarli.
Nel PIS (Prawo i Sprawiedliwość, diritto e giustizia) ha una fiducia cieca, quasi religiosa. Mi spiega che Mateusz Morawiecki, il primo ministro, è una persona istruita, elegante, vuole più fondi per i nostri ragazzi. Di Kaczynski, il politico che ha creato il PIS, dice invece che non le piace granché, “ma sai” ci confida “almeno lui è un vero polacco”. E dal tono in cui dice polacco si capisce che intende “un vero patriota”.
Mi stupisce che di religione in realtà non parli mai, pur essendo molto credente. Per lei quello di strajk kobiet é tutto un problema politico e culturale.
Divide il mondo politico nettamente tra quelli che c’erano prima (ladri e deboli) e il nuovo partito di governo – i veri polacchi, i patrioti. Loro a differenza del partito precedente, si ricordano la storia, quella storia che lei ha vissuto sulla sua pelle: la seconda guerra mondiale, il comunismo. E sanno che dei tedeschi, che hanno bombardato e rubato, non c’è da fidarsi. I giovani invece non capiscono – vedono la Germania e l’Europa occidentale come un modello.
Di persone come Maryla ce ne sono e non sono tutte pensionate, mi è capitato di sentire ventenni fare discorsi simili. Ed è troppo semplice metterle da parte come “estremiste” o “fanatiche del PIS”. Vengono da un tipo di rabbia diversa, ma a cui bisognerebbe trovare una soluzione.
Se mi chiedete cosa sia cambiato veramente in Polonia in questi sei mesi, mi viene da rispondere che la rabbia sia esplosa definitivamente. Ma con la rabbia è arrivata anche la voglia di partecipare e di fare politica. Sicuramente è in corso uno scontro che è in parte generazionale, ma che racchiude due visioni opposte del futuro della Polonia: una più europea e laica e l’altra più tradizionale e indipendente.
Mi chiedo spesso quanto la Polonia uscirà cambiata da quest’anno di proteste (che ricordiamolo, è anche quello del covid). L’unica cosa di cui mi sento certa è che da quella folla di Varsavia non si può tornare indietro. Non so come la politica riconcilierà Paulina, Kasia, Anka e Maryla, né chi lascerà scontento.
Ma le cose non possono restare com’erano – perché sono già cambiate.