di Luca Manunza
20 Ottobre 2020
Una recensione del testo a cura di Sonia Paone e Agostino Petrillo sugli scritti di Abdelmalek Sayad
“non c’è ristrettezza che nel cuore.
Il che vuol dire che se interiormente,
nel tuo cuore arrivi a sopportare la mancanza di spazio reale,
non importa più che tu non abbia questo spazio nel tuo ambiente di vita!
È una maniera come un’altra di consolarci delle nostre miserie!”.
Una Nanterre algerina, terra di bidonville di Abdelmalek Sayad
Mentre la politica continua imperterrita a teorizzare il pericolo sociale come una sorta di revival delle classi pericolose, si alimenta la disattenzione totale per i problemi vitali degli abitanti delle città. In questa cornice sembra delinearsi una riproduzione della questione coloniale -non poi cosi nuova-, accompagnata da un insieme di racconti sul progresso e sull’ingresso dei barbari, dei cafoni o della plebe nel mondo contemporaneo della civiltà dell’urbano.
È questa una delle cornici all’interno della quale si sviluppa il lavoro di ricerca di Abdelmalek Sayad nel volume Un Nanterre algérien, terre de bidonvilles di recente traduzione italiana.
Sonia Paone e Agostino Petrillo realizzano un’operazione scientifica ed editoriale di rilievo. La loro traduzione italiana del volume di Sayad – edito per la prima volta nel 1995 in Francia – è una operazione cogente e capace di inserirsi plasticamente nell’attuale dibattito sociologico e politico rispetto all’ingerenza dei dispositivi e dei meccanismi di accoglienza e trasformazione delle città.
Il volume curato a quattro mani ha il peso scientifico di alcune collaborazioni importanti e forse dovute: quella della famiglia del sociologo algerino (che ne ha concesso i diritti di pubblicazione), Eliane Dupuy collaboratrice stretta di Sayad e Salvatore Palidda che nel 2002 a 4 anni dalla morte dell’autore curò la prima traduzione italiana de La double absence. Des illusions de l’émigré aux souffrances de l’immigré. Un lavoro collettivo, quello della traduzione italiana di Una Nanterre algerina, terra di bidonville che non leva nulla alla profondità delle considerazioni della Paone e Petrillo che accompagnano l’introduzione e la postfazione del volume.
Sayad è stato indicato dall’accademia come uno dei più importanti sociologi dell’immigrazione. Definizione quanto mai riduttiva, che in vita, come alcuni raccontano, lo posizionò come l’ombra stabile del suo intimo amico Pierre Bourdieu. È emblematica su questo l’esternazione di Smaïn Laacher che senza troppi giri di parole affermava l’importanza dello studioso algerino “tanto conosciuto ma ben poco letto nella sua variegata produzione scientifica”.
Il libro si compone di 135 pagine profonde e cariche di riflessioni, storie, interviste e di un piccolo appendice fotografico finale che ci riporta al senso visivo e sociale” di una lunga stagione di trasformazione urbana e sociale di Nanterre (comune/banlieue francese situato a nord ovest di Parigi).
Sayad ci riporta attraverso un testo agevole e conciso a una profonda e diretta riflessione rispetto a quella “variabile d’arrivo” capace di porre un punto fermo sulla dicotomia migrante-emigrato cara all’autore. Un mutamento geografico e topografico tout-court che attraversa il fenomeno migratorio, la guerra d’indipendenza algerina, la questione identitaria e “la genesi e lo sviluppo” -come accennano gli autori in quarta di copertina- di una delle più estese bidonville francesi.
Attraverso una etnografia profonda del fenomeno migratorio Sayad mette in luce la brutalità di uno stato coloniale che per decenni -anche all’interno dell’accademia francese- ha descritto l’Algeria Kabyla dentro una cornice primitiva e razzista. Come si evince dal titolo l’autore traccia le linee centrali dello sviluppo di un’area urbana francese, quella di Nanterre, interessata da un importante insediamento di migranti prevalentemente algerini (alcuni dei suoi abitanti erano autoctoni come si accenna in alcune interviste), che subito dopo la fine della guerra decidono di trasferirsi in Francia. Moltissimi singoli e nuclei familiari finirono all’interno delle autocostruzioni denominate dalla politica locale bidonville (benché la politica locale mantenga la tendenza all’invisibilità di questi spazi), autocostruzioni di legno e lamiera cartone e materiale in disuso utile alla realizzazione di qualcosa molto più simile a una baracca fatiscente che a un’abitazione, insediamenti abitativi che videro negli squallidi fenomeni dei cafè-hotels e degli hotel-meulblés i suoi predecessori.
Sayad traccia una genealogia del termine e del fenomeno bidonville diretta e carica di riferimenti e riflessioni.
Una sicuramente delle prime è quella di riconoscere all’interno di questi abitati informali una sua specificità, le bidonville scrive: ”non si sono create in un giorno o in una data precisa; non si inaugurano. Sono una creazione continua”. Non è un caso che esista una critica terminologica e lessicale che sottolinea come ogni insediamento (slums, bidonville, gecekondu, vija miseria ecc.) non siano automaticamente sinonimi ma bensì appartenenti a contesti sociali, economici e architettonici specifici. Dovendone tracciare una loro similitudine si potrebbe affermare che si tratti di frammenti di città nella città, contigue e non indipendenti, sempre più estese, che nascono, crescono, mutano e si riproducono.
Il libro è suddiviso in tre parti. La prima introduttiva a firma di Sonia Paone, una seconda di viaggio all’interno del mondo di riferimento con un’appendice fotografica e una terza, una post-fazione a firma di Petrillo che rimette in ordine una serie di riflessioni attuali sul fenomeno dello spazio urbano, le modalità di gestione e le ricadute politiche all’interno dello spazio di riferimento: la città.
Come accennato il libro è un viaggio. Una scrittura fluida e carica di senso, capace di ricordare il romanzo di Jack London Il popolo degli abissi. Dentro le storie degli abitanti dei quartieri auto costruiti di Nanterre si snodano le riflessioni di Sayad sul tema della colonia, il razzismo quotidiano e la paura. Una paura che va a spiegare e a volte giustificare la violenza e l’odio subito dai migranti dalle autorità francesi e della cittadinanza autoctona. “Si detesta quel di cui si ha paura” afferma in un’intervista rilasciata a Sayad Mohammed, ex abitante di una delle bidonville di Nanterre. Una paura mossa da un odio che si struttura tanto nello stereotipo del cattivo primitivo quanto nel sentimento diffuso -al tempo come oggi- di individuare negli ultimi arrivati il capro espiatorio del pericolo dell’innalzamento della criminalità a causa di una quanto improbabile sensazione di invasione.
Sayad non si perde nel viaggio, conosce il campo. Ci accompagna per le vie di Nanterre e ci guida tra le calamità naturali che gli abitanti delle bidonville devono affrontare giorno per giorno.
Un itinerario tra gli abissi del margine che dall’inizio alla fine del volume Sayad descrive sapientemente interrogandosi spesso sul come mai per più di venti anni, alle porte della Parigi del dopo guerra, si sia potuto formare e vivere in un “insediamento urbano autonomo del genere, capace di ospitare da solo la maggior parte dei migranti algerini e del Maghreb giunti in Francia”. Un arrivo, quello dei migranti algerini, e una costruzione, quella della bidonville che, come ci racconta l’autore, deve prescindere dalla lettura oggettivistica del migrante economico, poco organizzato e senza prospettive.
Lo stesso Petrillo definisce Una Nanterre algerina come un testo politico, che prende posizione, ricordando ai lettori che, come di affermava Bourdieu: la sociologia è uno sport da combattimento. Sayad su questo versante non si tira in dietro; combatte senza vittimismo rendendo vivide le strutture più complesse dei meccanismi di nascita di una città nuova, muovendosi in punta di piedi lasciando trapelare -è nota di chi scrive questa recensione- come la stessa sorte sarebbe potuta capitare anche a lui all’indomani dal suo arrivo in Francia.
Si percepisce in tutto il volume la sensibilità di Sayad al tema dell’abitare, un concetto chiave che lascia declinare a un ex-residente padre di sette figli che afferma: “abitare è stare in mezzo a esseri umani, è vivere con loro e come loro, è vivere tra di loto. È vivere da uomini, vivere umanamente nelle condizioni normali degli uomini, stare tra loro, come loro, nelle loro medesime abitazioni”.
Le interviste realizzate da Sayad e dalla sua collaboratrice rimandano a quell’infinito rispetto nei confronti del suo “oggetto di ricerca” e “quell’innamoramento della vita” -riprendendo il Quosit che nel 1952 nel suo raccontò un quartiere operaio di Rouen- che hanno caratterizzato tutti i lavori del sociologo algerino.
I micro paragrafi di ricerca individuano i 3 elementi che condizionano e scandiscono il tempo della bidonville: il fuoco, l’acqua e il fango. Elementi che cadenzano nelle riflessioni di Sayad e nelle parole degli intervistati le fasi quotidiane di una vita complessa e privata di qual si voglia diritto. È così che nelle bidonville entrano corpi non cittadini; entrano in spazi angusti, stretti, in balia della sorte e degli stigmi come nel caso dell’approvvigionamento dell’acqua, gesto tanto naturale quanto carico di imbarazzo: “”La corvéè dell’acqua” cui sono tenuti ora gli uomini -tradizionalmente era un compito che nei villaggi spettava alle donne- è penosa e umiliante. Obbliga farsi vedere, a darsi come spettacolo e a segnalare agli occhi degli osservatori esterni la propria appartenenza alla bidonville”.
Il libro ci accompagna alla nascita della città nuova. Attraverso quel processo di manhattanizzazione detto alla Davis, sparisce la bidonville di Nanterre. Sparisce la sua conurbazione sociale ed economica attraverso quel processo di trasferimento più o meno forzoso della sua popolazione in unità abitative HLM (Habitation à Loyer Moderé). Una deportazione non indolore, in cui la popolazione, paga spesso un prezzo importantissimo: la distruzione di legami consolidati e di modi di vivere tradizionali, “cui spesso non fa riscontro alcun tipo di certezza per chi si trasferisce nella grande città alla ricerca di una vita differente o migliore” come scrive Petrillo in un suo precedente lavoro.
Il paradosso vuole che con la deportazione di interi nuclei familiari in nuove unità abitative “moderne” non sparisca la profonda simbologia della bidonville scriverà l’autore. Una simbologia che si porta dietro anche oggi esclusione e marginalità e che trova nell’idea della Banlieue contemporanea il suo campo d’azione.
Una Nanterre algerina, terra di bidonville lascia un segno. Un testo che si pone come memoria storiografica di un fenomeno che trasformò radicalmente la società francese e le sue politiche urbane.
La riflessione o forse il monito, come esprimono i curatori, è quello che di questo libro rappresenti non solo un pezzo di una storia passata ma anche un esempio paradigmatico -lì dove persista un’idea generativa di costruzione di spazi di esclusione abitativa e sociale- di come tutto possa riprodursi. La bidonville è un mondo di sottrazioni e miserie questo ci dice Sayad. Un girone urbano che mette in crisi l’urbanizzazione stessa sminuendo il ruolo che la città dovrebbe avere in quanto spazio dell’abitare inclusivo, in Francia come nel resto del pianeta. Una Nanterre algerina, terra di bidonville non è un libro solo per gli addetti ai lavori. È un libro per tutti. Una narrativa utile; un utensile fondamentale per comprendere meglio le nostre città anche nel loro presente e per poter agire e affrontare meglio, forse, le sfide urbano.
RIFERIMENTI BIBLIOGRAFICI
Sayad A., La doppia assenza. Dalle illusioni dell’emigrato alle sofferenze dell’immigrato, Raffaello Cortina Editore, Milano, 2002.
Davis M., Il pianeta degli slum, Feltrinelli, Milano, 2006.
Saitta P., Longo F., Mangano A., Piazza G, Come i problemi globali diventano locali. Proteste, guerre, migrazioni e deriva
sicuritaria, terrelibere.org, 2009.
Petrillo A., Villaggi, città, megalopoli, Carocci, Roma 2006.
Maunza L., Geografie dell’informe. Etnografie da Tangeri Napoli e Istanbul, Ombre Corte, Verona, 2016.
Petrillo A., Peripherein: pensare diversamente la periferia, Franco Angeli, Milano, 2013.
Palidda S., Mobilità umane. Introduzione alla sociologia delle migrazioni, Raffaello Cortina Editore, Milano, 2008.
Quoist M., La ville et l’Homme. Rouen. Etude sociologique d’un secteur prolétarien, Éditions ouvrières, Économie et humanisme. Prix Jansen 1954.