Convinti, quando le cose vanno bene e quando le cose vanno male, che ciascuno deve fare il suo lavoro, ci troviamo come redazione di fronte a un evento globale, che concorre a mettere a nudo quelle paure che saranno l’argomento del terzo numero del nostro semestrale cartaceo.
Partendo dal testo di Angelo Miotto, abbiamo deciso – nostra vecchia passione – di lanciare un Decameron online, nella vecchia tradizione, di fronte alle paure, di riunirsi attorno al fuoco (della passione narrativa) e di raccontarsi storie.
Mandateci il vostro racconto di questi giorni di Corona virus, tra allarmismi, improvvisati esperti, legittime paure e doverose cautele. Va bene, al solito, qualsiasi linguaggio: audio, testo, video, foto. Inedito o citando altri. Scrivete a redazione@qcodemag.it e noi vi pubblicheremo.
Il contagio delle storie – 22
Vivere una settimana avanti – Alessandro Ruta
A fine gennaio ero a San Sebastian per lavoro, la città risplendeva sotto il sole, nessuno si immaginava che nel giro di 40 giorni sarebbe arrivato il cataclisma che sta colpendo tutto il pianeta.
C’era qualche notizia qua e là, dalla Cina, dall’Italia la storia dei due turisti cinesi ricoverati allo Spallanzani dopo aver girato mezzo Stivale, niente di più. Ricordo come se fosse ieri, tuttavia, che nel ristorante dove stavo pranzando a un certo punto era entrata una famiglia asiatica, non sembrava nemmeno cinese ma più giapponese, e che l’atmosfera della tipica taverna di San Sebastian, caciarona e godereccia, per un attimo si era spenta.
Erano entrati tre “cinesi”, forse da Wuhan, forse venivano a festeggiare il capodanno cinese, vai tu a chiedere. E ricordo ancora che uscito dal ristorante, andando verso la macchina, un altro asiatico mi aveva chiesto di scattargli una foto con la Spiaggia della Concha sullo sfondo, a lui e alla moglie probabilmente, e io avevo detto di sì, di default, senza pensarci. Dettagli.
Sta di fatto che il primo vero focolaio del Covid-19 in Spagna non è stato Madrid, bensì Vitoria, la capitale dei Paesi Baschi. E più precisamente l’ospedale di Txagorritxu, dove è nata mia figlia, per fortuna due anni fa circa (23 maggio 2018).
Però sì, gli mancava solo l’accento foggiano e, chissà, una bella immaginetta di Padre Pio in qualche taschino o nel portafoglio (sappiamo che “Giuseppi” è molto credente); per il resto, una copia identica al primo ministro nostrano. C’è da capirlo, però, Sanchez: ha un governo che balla su un solo voto di differenza, basta che a qualcuno venga un malanno, magari non proprio il coronavirus, e va a casa, e non in quarantena.
Con lo “Stato di allarme” dichiarato dal Governo, tuttavia, una situazione ai limiti dello Stato di polizia a dire il vero, con autonomie scavalcate dalle autorità centrali, non si è più scherzato.
Giovedì 18 febbraio, volo Bilbao-Milano, splendida giornata, atterro a Malpensa e mi accoglie una specie di astronauta con scafandro e termometro: mi prova la febbre e quando chiedo la temperatura corporea mi dice “40.2”, sghignazzando.
Dopo aver replicato salace “Beh, pensavo di più” ero andato a casa, la sera con gli amici. Il giorno dopo, ecco il primo caso di Covid, quello del ragazzo di Codogno: e io a ripensare che poche ore prima avevo preso un tram pieno di gente, ma avevo toccato i pali per mantenermi in piedi o no? E se qualcuno ammalato l’aveva toccato?
Nella notte tra venerdì 19 e sabato 20, molto presto come al solito, via in macchina verso la Francia e poi Irun, San Sebastian, Durango, Urkiola, giù giù fino a Otxandio, borgo di 1.300 abitanti dove quasi nessuno sapeva che, per dire, c’era già stato un morto in Italia, il signore anziano di Vo.
Sarebbe diventato come Milano? Sarebbe finito in quarantena? Sì, adesso tutti in casa per altre due settimane circa. Ma io l’avevo già visto. E i miei genitori, fossero venuti tipo una settimana fa, oggi sarebbero bloccati qua.