Scomparso è il primo romanzo del regista e scrittore palestinese Ahmed Masoud che, dal 2002, vive in Gran Bretagna. Tradotto dall’inglese da Pina Piccolo, e pubblicato a ottobre 2019 dalla casa editrice Lebeg, questo libro spicca per due importanti novità: l’ambientazione, il campo profughi di Jabalya a Gaza, e la trama, una sorta di intrigo familiare che si intreccia ad alcuni eventi reale della Storia di questa terra.
Sono davvero pochi, infatti, i romanzi palestinesi ambientati nella Striscia di Gaza, e ancora meno sono quelli che possiedono un plot da racconto giallo.
Il ritmo del libro, dapprima lento, si fa man mano sempre più serrato, si susseguono colpi di scena e repentini cambi di fronte che lasciano il lettore in sospeso fino alle ultime pagine. L’intera trama si dipana in tempi quasi cinematografici, e qui è chiara l’influenza del lavoro da regista di Masoud.
Il romanzo si apre con la decisione del protagonista, Omar Ouda, di far ritorno a Gaza per capire cosa rimanga della sua casa colpita da un missile, durante un bombardamento israeliano che, seguendo lo sviluppo cronologico del libro, dovrebbe coincidere con l’operazione Margine Protettivo del 2014.
Durante il difficile viaggio di rientro, Omar racconterà la storia della sua vita, segnata dalla lunga e caparbia ricerca del padre, scomparso misteriosamente nel 1981, solo qualche mese dopo la sua nascita. Questa indagine, condotta assieme ad Ahmad, suo amico d’infanzia, porterà il protagonista in contatto con le forze militari israeliane che, con violenti abusi, lo costringeranno a diventare un loro informatore.
E qui la fiction si mescola ancora una volta alla realtà: sono moltissimi, infatti, i rapporti in cui le associazioni per i diritti umani descrivono e denunciano questa pratica, utilizzata dall’esercito israeliano sui minori palestinesi, sin dagli anni ’70.
In questo libro Masoud non risparmia critiche nemmeno verso i governi egiziani, da quello dell’ex presidente Mubarak a quello attuale. La descrizione dei maltrattamenti, a cui i militari egiziani sottopongo i palestinesi al valico di Rafah, svela ancora una volta la fittizia solidarietà di molti regimi arabi verso questa popolazione.
A metà del romanzo, dopo una serie di vicissitudini, ritroveremo il protagonista, prima combattente all’interno della resistenza, e poi tenente nel Servizio di Sicurezza Preventivo dell’Autorità Nazionale Palestinese, nata dopo gli Accordi di Oslo del 1993.
Il romanzo, pur rimanendo centrato sull’indagine di Omar, attraversa diversi eventi della Storia palestinese, ad esempio la prima e la seconda intifada, ma particolarmente interessante risulta la descrizione del periodo che ruota proprio attorno alla fine degli anni ’90. L’ambientazione a Gaza, infatti, ci dà la possibilità di assistere anche alle lotte per il potere tra il partito di Fatah, a cui secondo gli accordi di pace sarebbe spettato il governo della Striscia di Gaza, e gli altri partiti della resistenza, primo tra tutti Hamas, contrari al patto e non intenzionati a cedere le armi anche dopo il ritiro israeliano. Questa battaglia interna porterà Omar e il resto della popolazione palestinese a dover fare una scelta, a combattere contro i propri vicini, e causerà nuove ferite non solo fisiche ma soprattutto psicologiche.
Geniale e perfettamente calzante è l’espediente utilizzato da Masoud per descrivere il grande imbroglio nascosto dietro gli Accordi del 1993: lo scrittore riporta, infatti, a mo’ di metafora, un racconto che fa risalire alla celeberrima raccolta di favole Kalila e Dimna, il libro preferito del protagonista, in cui i topi escogitano un piano per mettere umani e gatti gli uni contro gli altri, così da poter continuare a vivere indisturbati nella città:
«Dobbiamo escogitare un piano affinché la città inizi a odiare i propri gatti. Sua maestà dovrebbe ordinare a tutti i topi di scavare una galleria che porti a casa dell’uomo più ricco della città. Dovremmo trattenerci dal mangiare il suo cibo, ma cominceremo a strappargli i vestiti. Quando sospetterà che i responsabili siano stati i topi, prenderà un altro gatto oltre al suo per aiutarlo a darci la caccia. A questo punto inizieremo a strappargli le lenzuola. Quindi penserà di aver bisogno di un altro gatto, ma una volta che l’avrà preso cominceremo a rosicchiargli i mobili. Mentre intensifichiamo i nostri attacchi, l’uomo comincerà a sospettare che a causare tutti i danni ai vestiti e a mobili siano stati i gatti. Quindi deciderà di sperimentare sbarazzandosi di un gatto. Noi, in risposta di ciò, diminuiremo i nostri attacchi. Ci riproverà, e noi faremo la stessa cosa. […] L’uomo quindi correrà dai vicini informandoli della sua scoperta, con il risultato che tutti si sbarazzeranno dei propri gatti per prevenire i potenziali danni. […] Dopo tre mesi la città era stata ripulita dai gatti e i topi vissero in quella città per sempre felici e contenti.»
Nelle ultime pagine, interrogando suo zio Attiya, sua madre e alcuni vicini, da sempre reticenti, Omar finalmente scoprirà la verità sulla scomparsa del padre e, ricomponendo le trame della sua storia familiare, riuscirà a trovare un po’ di pace, dopo una vita di sacrifici e sofferenze.
Oltre all’originalità della trama e all’inedita ambientazione, questo romanzo ha sicuramente anche il merito di indagare dall’interno alcuni dei principali problemi e contraddizioni della società palestinese, affrontando temi spesso tabù come quello dei collaborazionisti e degli informati che, in un modo o nell’altro, appaiono però sempre vittime della lunga e brutale occupazione israeliana.