31 Agosto 2018
Un romanzo di Emily Nasrallah, la guerra civile in Libano e l’anima dolente di tutte le migrazioni
– “Giorno dopo giorno aumenta la brutalità dei combattimenti. Non so dove si andrà a finire.
– “Chi combatte contro chi?”, gli chiese, anche se avrebbe preferito non saperlo.
– “Le fazioni rivali, o almeno così dicono i notiziari.”
– “Chi sono queste fazioni? Dove hanno raccolto tutto il rancore e l’odio che portano per simili atrocità? Per che cosa si battono?”
– “Per la liberazione della patria”.
– “Quale patria? Quale liberazione?”
Canada settentrionale, interno giorno, 1975. Fuori è un gelido settembre, dentro due generazioni di libanesi si confrontano con le immagini e le notizie che arrivano al loro lontano Paese.
Sono un padre, Radwan, e un figlio, Nabil. Il primo in visita, dopo quasi venti anni di lontananza, il secondo immigrato in Canada.
Il romanzo di Emily Nasrallah, Viaggio contro il tempo, è allo stesso tempo un invito al viaggio, ma un viaggio da cultura greca, che resti mediterraneo senza farsi atlantico, che immagini sempre un nostos, un ritorno, verso le radici e la comunità.
Edito da Jouvence, nella collana Barzakh, diretta da Jolanda Guardi, il romanzo della Nasrallah – tradotto da Nadia Rocchetti – è di un’attualità dolente.
La guerra civile in Libano, che nel racconto è all’alba e che durò fino al 1990, già carica di funesti presagi di morte, potrebbe essere un qualsiasi conflitto contemporaneo. Così come sono ferocemente contemporanee le dinamiche delle diaspore, che mutano, restando a un certo punto differenti dal punto di partenza e da quello di arrivo.
Con gli occhi del 70enne Radwan e di sua moglie, Umm Nidal, si parte dalle campagne del Libano meridionale, idilliache nel ricordo, in fiamme nel presente, per riflettere sul moto di sopravvivenza che spinse i giovani libanesi che la coppia incontra in fuga dalla guerra e spinge oggi coloro che dalla guerra scappano.
Anche le dinamiche familiari sono le stesse, con una comunità libanese che si raduna nella nuova terra, tentando di non perdersi, ma consapevole che ‘ i figli di questo paese appartengono a questo paese”.
Questo non cancella la fascinazione per l’anziana coppia, stupita e travolta da un mondo nuovo, da mille ricordi, di altre guerre e di altre emigrazioni, di altre assenze e di altri rapporti sradicati. Persone che svanivano, cambiando nome, fino a quelle che si legavano ai ricordi, incapaci di essere nel presente.
Alla fine, contro il parere dei figli, con i quali stava costruendo una nuova grammatica relazionale, dopo anni di lontananza, il vecchio Radwan decide di tornare in Libano, nonostante i pericoli della guerra. La moglie no.
Va da solo, come a portare una testimonianza dell’esistenza di un Libano differente, pronto a tutto per un gesto di riconciliazione personale e collettiva, politica e culturale. A qualunque costo.
Il romanzo di Emily Nasrallah tocca molte corde dell’anima, temi attuali e sfumature personali. Un grande affresco del Libano e della comunità della diaspora, delle migrazioni e delle guerre, delle famiglie e delle storie personali.
Un affresco, che diventa specchio, per trovare ieri le parole e i dubbi di oggi, guardandoli con la prospettiva dell’assenza e del viaggio.