Il crollo del Muro. E di una nuova era.

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9 Novembre 2019

Il Muro è caduto mentre si gridava alla libertà e da allora ne abbiamo costruiti mille e mille, dalle mura dell’Europa, fortezza, in cui uccise le ideologie sono proliferati pensieri deboli e l’ipnotico mantra fake del sovranismo che gioca sulla retorica del disumano

Il 9 novembre del 1989 ero davanti al televisore e me lo ricordo perfettamente. La diretta del muro di Berlino che veniva giù. La gente, le bottiglie di spumante, le giacche a vento dell’Est. Non era una diretta urlata, i toni dei cronisti erano ancora quelli del racconto compassato, perché erano le immagini che parlavano. Le ricordo vecchie, immagini non a grande definizione, se andassi ora su youtube potrei averne conferma, ma non voglio. Mi tengo il ricordo.

Il Muro, per antonomasia, stava crollando e visto dal salotto di casa, dentro la scatola televisiva, si percepiva tutta la portata dell’evento storico. Ma pochi avrebbero predetto la portata di una giornata così incredibile come quel 9 novembre.

Venti anni dopo con un drappello di cronisti e fotografi, a Peacereporter, mi inventai un viaggio: due squadre avrebbero percorso la Cortina di Ferro, partendo da Berlino e raggiungendo gli estremi: Murmansk e Burgas. Quel lavoro, realizzato insieme a Matteo Scanni, Nicola Sessa, Luca Galassi, Samule Pellecchia e i fotografi di Prospekt, gli amici di Becco Giallo, diede vita a un webdocumentario che oggi è presente nelle pagine del Docubase del Mit. Fu un’esperienza giornalistica incredibile da realizzare; se la navigate, troverete oltre trenta storie che si snodano sulla linea di filo spinato che tagliava e attraversava confini.

Il 9 novembre un simbolo, un cancello invalicabile o quasi, una ferita per una città, il segno della spartizione che separava i due blocchi, quello blu e quello rosso, cadeva. Sfere di influenza, economie, monete, tecnologie e nuove autostrade per il progetto europeo si sarebbero aperte in un soffio, a vedere lo scorrere dei decenni. E anche dal punto di vista dell’immaginario veniva a morire il grande gioco delle spie, dei prigionieri scambiati, del periodo della corsa agli armamenti nucleari e della grande paura di un nuovo conflitto atomico.  L’Unione Sovietica che si dissolveva, il crollo delle certezze che avevamo subito e respirato fino ad allora, nel mondo dei blocchi contrapposti.

E come in un sogno confuso e veloce, ma sentendo passare ogni giorno di questi trenta anni, che sono per molti di noi un periodo di crescita e sviluppo delle proprie capacità intellettuali, lavorative, di intelligenza del mondo, svaniva con una velocità sorprendente e in una accelerazione improvvisa con l’avvento della telefonia mobile e del grande gioco del web, il terreno delle convinzioni profonde, l’uso normale del termine ‘ideologia’ che veniva ripudiato dal dizionario dell’intelligenza, la militanza si affievoliva, per ritrovarsi un decennio dopo in una fiammata legata alla globalizzazione e al suo rifiuto, con la violenza di sistema che andava, sparando e colpendo con furia cieca, a distruggere un nuovo movimento di intelligenza globale.
In Europa i segni di quel 9 novembre, guardati oggi, sono stati dei solchi, delle ferite di artiglio che hanno devastato una coscienza politica. Soprattutto a sinistra, rimasta orfana di esperienze, nel bene e nel male, e di messaggi dati per sconfitti, quando non lo erano in sé se non in una tetra applicazione distorta di ideali gridati negli slogan e fra le bandiere rosse.
Un lento declino non si sa quanto inesorabile, ma un viaggio al centro e verso la moderazione dai toni melliflui, un cambiamento epocale delle tecnologie e delle velocità di impatto sul pensiero di ciò che è attualità e il suo racconto, le guerre asimmetriche nei territori mediorientali, la crescita di nuove superpotenze, il capitalismo che resiste e che detta i tempi e i ritmi, praticamente indisturbato. Non è un riassunto di trent’anni, ma un elenco di sconfitte legate alla progressiva incapacità di sentirsi appartenere a un pensiero forte, valido e attuale nella proposta. Mentre si insinuavano le sfumature, ma così decise che del colore originario non è rimasto più nulla o quasi.

 

Ecco; c’è uno sguardo nostalgico per quel Muro? No, non penso che sia possibile avere nostalgia della Storia che evolve. Però una certa nostalgia di una coerenza di progetto, non quella imposta dal partito unico, ma quella di una teoria e pratica di equità, di solidarietà, di attenzione ai diritti, al lavoro, ai deboli della società, alle sperequazioni economiche, alle nuove frontiere delle tecnologie e quindi sarebbero arrivate anche quelle dell’ambiente. Quello manca. Tanto. E non per un attaccamento al passato da rimembrare in rievocazioni in maschera, ma perché oggi è difficile appassionarsi e vivere un progetto che incarni lo spirito del tempo, certo, ma con una visione del mondo, una visione alta e complessiva.

 

 

Il Muro è caduto mentre si gridava alla libertà e da allora ne abbiamo costruiti mille e mille, dalle mura dell’Europa, fortezza, in cui uccise le ideologie sono proliferati pensieri deboli e l’ipnotico mantra fake del sovranismo che gioca sulla retorica del disumano.  Paradossi. Reali.

Anche noi abbiamo voluto partire dai MURI.

Il 12 novembre presenteremo il nostro nuovo semestrale di geopoetica Q CODE, lo faremo a Zona K a Milano, in via Spalato 11 alle 20.30. I MURI che abbiamo interpretato nel nostro libro-rivista (160 pagg, abbonatevi qui) vanno dalle geografie lontane, alla città, alle condizioni, la musica e le parole, la mafia e le grandi dighe, le disabilità, il carcere. Proprio perché ci vuole un punto di vista, una concezione da cui partire. Per questo scriviamo. Per questo abbiamo scelto proprio questa data per la nostra nuova impresa editoriale, insieme a Prospero editore.