Convinti, quando le cose vanno bene e quando le cose vanno male, che ciascuno deve fare il suo lavoro, ci troviamo come redazione di fronte a un evento globale, che concorre a mettere a nudo quelle paure che saranno l’argomento del terzo numero del nostro semestrale cartaceo.
Partendo dal testo di Angelo Miotto, abbiamo deciso – nostra vecchia passione – di lanciare un Decameron online, nella vecchia tradizione, di fronte alle paure, di riunirsi attorno al fuoco (della passione narrativa) e di raccontarsi storie.
Mandateci il vostro racconto di questi giorni di Corona virus, tra allarmismi, improvvisati esperti, legittime paure e doverose cautele. Va bene, al solito, qualsiasi linguaggio: audio, testo, video, foto. Inedito o citando altri. Scrivete a redazione@qcodemag.it e noi vi pubblicheremo.
Il contagio delle storie – 23
Torneremo presto – Maria Teresa Rizzo
No, non è stata la notte più lunga della mia vita. Ne ho vissute di peggiori. Nonostante questo, non ho preso sonno se non alle sei del mattino. Le sirene delle ambulanze, colonna sonora di questa città, tacitate con mio stupore per due settimane probabilmente perché impegnate altrove, stanotte hanno ripreso a suonare.
Mi rivoltavo nel letto, con brividi che percorrono il mio corpo da giorni, chiedendomi da dove ricominceremo noi che crediamo nella bellezza, dopo avervi visto scappare con le vostre valigie piene di egoismo.
E, voi, come ritornerete, fra qualche tempo, nella città che avete abbandonato quando era in ginocchio, prendendo i primi treni dell’indifferenza? Come guarderete i vostri cari, mentre scenderete da vagoni con indosso guanti e mascherine? Codardi come siete, avrete il coraggio di presentarvi davanti al tribunale del Mar Mediterraneo che tutto sa?
No, non siete come profughi in fuga. Non siamo sotto le bombe. Non abbiamo un regime autoritario con militari che ci sparano sull’uscio di casa. Non dobbiamo fare ore di fila sotto la neve per ricevere un pasto. Non è stato distrutto il tetto della nostra casa.
Ci viene chiesto di sospendere le nostre vite, per come siamo abituati a condurle, proprio in modo da ricominciare a viverle in libertà quanto prima.
Ci viene chiesto di stare al caldo delle nostre case, con tutti i comfort di cui ci siamo circondati, per proteggere noi e la nostra comunità, se la parola “comunità” nel nostro vocabolario avesse ancora un senso.
Ci viene chiesto di preservare la salute dei giocatori di bocce dai capelli bianchi con cui amo tanto parlare.
Ci viene chiesto di rimanere uniti, pur nella distanza dei nostri corpi.
Ci viene chiesto di sospendere baci e abbracci. E, io, questi ho iniziato a contarli. Ho cominciato a fare il conto di baci e abbracci sospesi, come un caffè nei vecchi bar napoletani. Li metto sul conto, in attesa di spenderli.
Ora, abbiate cura di voi e di chi vi circonda. Abbiate l’empatia di pensare che le persone, più fragili, che vi passano accanto potreste essere voi o un vostro caro. Abbiate l’audacia di non vivere da malati i vostri giorni di salute. Abbiate la gioia che deriva dal sapere di essere vivi, qui e ora.
Noi che crediamo nella bellezza, torneremo presto ad abbracciarci e, come in un esercizio di teatro, torneremo a lasciarci cadere di spalle nel vuoto, certi che qualcuno ci prenderà.
Stay strong, stay beautiful.
«Quando un napoletano è felice per qualche ragione, invece di pagare un solo caffè, quello che berrebbe lui, ne paga due, uno per sé e uno per il cliente che viene dopo. È come offrire un caffè al resto del mondo.»
(Luciano De Crescenzo, Il caffè sospeso)