Donne che comprano fiori

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4 Ottobre 2018

“Ho vissuto abbastanza da sapere che c’è un momento nella vita di ogni persona in cui questa ha la possibilità di fare un cambiamento radicale, a centottanta gradi. Un’unica grande opportunità per crescere. La pienezza. Il grande giro di boa della storia della tua vita. E sì, ci sono persone che ne approfittano e altre no.”

Nel quartiere madrileño di Las Letras cinque donne attendono e sperano, consciamente o meno, il loro momento di cambiare e, mentre aspettano, comprano fiori.

Ciascuna di loro lo fa per un motivo diverso, ma mai per se stessa. Chi per donarli, chi per fingere di avere una vita personale oltre il lavoro, chi per compiacere un amante segreto. In questa ricerca di qualcosa di diverso, di nuovo, si scoprono tutte a gravitare intorno al negozio di fiori “Il Giardino dell’Angelo”, gestito dall’eccentrica fioraia Olivia.

È in quest’oasi di pace e colori che inizia la storia di Marina, protagonista e voce narrante, appena rimasta vedova, le spalle appesantite da un’ingombrante eredità psicologica lasciatale dal marito al quale, sul letto di morte, ha fatto un’ultima e onerosa promessa.

Nonostante il rischio, sempre in agguato, di trasformare la storia di Marina e delle altre donne in un accrocchio di aneddoti da manuale, Vanessa Montfort riesce a costruire nel suo “Donne che comprano fiori” cinque meravigliosi personaggi, tangibili e tridimensionali, reali a tal punto che nessun lettore, e soprattutto nessuna lettrice, potrà evitare di rispecchiarvisi.

Il romanzo è un’ode al cambiamento, e a coloro che hanno il coraggio di affrontarlo, sapendo che questo potrebbe significare il dover sacrificare pezzi della propria vecchia vita perché “Non è facile rinunciare ad una piccola felicità per cercare la felicità completa.” Bisogna essere coraggiosi, agire senza paura.

Dalle pagine di questo romanzo si alza forte e chiaro un messaggio per tutte le donne. Dobbiamo prendere in mano il timone della nostra vita e darle la direzione che noi scegliamo.

Non dobbiamo avere paura di quello che siamo, di quello che vogliamo o di quello che ci fa stare bene, anche quando questo significa sfidare regole sociali e familiari cristallizzate da secoli. Abbiamo il dovere verso noi stesse di disfarci di quello che ci limita o ci soffoca per andare verso la pienezza. Non per compiacere gli altri ma per compiacere, una volta tanto, noi stesse.

Fare un gesto buono verso di noi per cancellare il male che il passato ci ha appiccicato addosso. Come Aurora, vergine a trentacinque anni, invischiata in una relazione con un uomo che si fa mantenere ma di cui non riesce a liberarsi perché lui non le chiede di fare sesso. O Victoria, che porta avanti un matrimonio senza amore né passione solo perché lui è un ottimo padre per i suoi figli. O Casandra, troppo indipendente per una relazione ma comunque incastrata nella rete di un uomo sposato.

Ciascuna di loro troverà, grazie al sostegno e all’incoraggiamento delle altre, la forza di fare la scelta migliore per se stesse. Anche se questo significa compiere atti apparentemente rivoluzionari: avere un figlio restando vergine; iniziare una relazione stabile con la moglie del tuo ex amante; piantare in asso il marito per correre nelle braccia di un uomo che si ama davvero, smettendola di pensare solo al bene degli altri, fosse pure quello dei propri figli.

Le donne della Montfort ci insegnano a mettere noi stesse prima di tutto. Prima dei nostri uomini, prima dei nostri figli, prima delle nostre famiglie di origine e anche prima delle regole sociali.

Ci insegnano a chiamare “la lussuria, desiderio; la gola, gusto; l’avarizia, ambizione; l’ira, sfogo; l’accidia, riposo; l’invidia, ammirazione; e la superbia, orgoglio”. Perfino Marina, che alla fine intraprenderà da sola un, fino ad allora, impensabile viaggio per mare come promesso al marito, lo farà alle sue condizioni.

Perché il romanzo della Montfort è profondamente femminista, ma neanche in un secondo scade nell’irreale astrazione che vede la donna avulsa da ogni relazione, tanto superiore all’uomo da non averne bisogno o addirittura a disprezzarlo o sminuirlo. L’idea fondante del libro è che le donne non siano né in posizione inferiore né superiore. Né copilota, né superwoman.

“Diciamo che una copilota trasmetteva costantemente questo messaggio: «Valgo meno di un uomo, da sola non ce la faccio, dipendo da te e per questo devi prenderti cura di me» […].Una superwoman, invece, lanciava il messaggio opposto: «Sono meglio di un uomo, sono totalmente indipendente, non sono tanto femminile, non ho bisogno di nessuno.»

Curiosamente, come diceva Olivia, nessuna delle due comunicava il messaggio del: «Sono uguale a te». Ovvero: «Posso sopravvivere senza di te, non voglio che tu ti faccia carico di questo peso, ma mi renderebbe tanto felice vivere al tuo fianco»”.

La bellezza delle donne che comprano fiori sta nella capacità di riconoscersi per quello che sono, di comprendere i loro limiti e i loro bisogni e di decidere, infine, di soddisfarli.

Nessuna di loro è la perfetta immagine della femminista. Alcune di loro, in certi momenti, vi faranno venire il nervoso con la loro debolezza o la loro incapacità di reagire. Non sono eroine da romanzo epico: sono eroine della vita di tutti i giorni, in cui ciascuna di noi può rispecchiarsi e identificarsi.

E tutte, alla fine, come in un messaggio di speranza che chiude il libro, riescono a compiere il loro giro di boa. Ognuna con il suo sforzo, il suo sacrificio, la sua bellezza unica e particolare.
Non per questo smetteranno di comprare fiori, ma d’ora in avanti lo faranno solo per loro stesse.