2 Luglio 2018
Sopra l’arco che mi fa varcare il confine ancora quelle tre parole, quegli ordini che mi urlano anche dalle vetrate, dalle vetrofanie copiose sulle porte a vetri dell’entrata del grande centro commerciale e multisala.
Imperativo. Eat. Shop. Fun. L’odore dolce del pop-corn e del sale che si attacca sul fondo del sacchetto è un fumo che viaggia già fuori dal parcheggio. C’è un arco che segna l’entrata, sembra uno stargate che mi porta in una dimensione parallela.
Sopra l’arco che mi fa varcare il confine ancora quelle tre parole, quegli ordini che mi urlano anche dalle vetrate, dalle vetrofanie copiose sulle porte a vetri dell’entrata del grande centro commerciale e multisala.
Salgo sui nastri delle scale mobili, primo piano, quindi al secondo dove ci sono le casse per il cinema e mi metto in coda. É lunedì sera e c’è una sola cassiera. Comprensibile, eppure mi infastidisce; se volete la mia attenzione per 40 minuti di pubblicità prima che inizi il mio film, io voglio almeno cinque cassiere pronte a smaltire la coda in tre nano-secondi.
É l’inizio della mia trasformazione, mi spuntano le orecchie dell’asino, come nel paese dei balocchi. Ma quella era poesia, qui non ne sento il profumo.
La sala è grande. Le poltrone sono enormi e comode e il film gradevole. Eppure, maledizione!, mi risuonano nella testa le tre parole, che capolavoro di brevità, che acuminato significato si pianta dentro il cranio, che suono allegro e nello stesso tempo inevitabile.
Devi mangiare, devi comprare e devi divertirti. Tre azioni che sono l’emblema del messaggio di un pensiero debole, debolissimo. Non in sé: chi potrebbe mai dire che mangiare e divertirsi sia una cosa sbagliata in sé, o che fare shopping possa essere una attività che perlomeno incuriosisce, o in presenza di denaro, interessa.
No qui siamo di fronte a un ordine di un sistema, che costruisce grandi spazi associativi dove puoi fare esattamente quelle tre cose. Puoi mangiare, e mangiare, anzi devi mangiare e possibilmente tanto e cose fritte, sugose, con intingoli e con olio riciclato ch frigge e con una copiosa messe di cibo, montagne di cibo. E devi comprare, perché sono attività del nostro stile di vita. mangia e compra. Compra tutto quello che vuoi, ché i prezi li abbiamo abbassati, come la qualità, come il gusto, ma soddisfa questa necessità e compra. Vieni, mangia e compra. Se non fossimo così bigotti il terzo imperativo sarebbe ‘fotti’, ma qui circolano anche diversi bambini e quindi hanno scelto una traduzione più larga del concetto e quindi divertiti. Ti devi divertire, perché è un luogo dove ci si diverte, si compra e si mangia. Con la magia che manca sarebbe proprio il regno dei balocchi dove si perde la memoria. E questo sicuramente è un punto da ricordare. Il luogo dell’oblio, un limbo, un luogo di passaggio e di spensieratezza che obbedisce ai tre comandi che, in fin dei conti, sono la ricetta per i peones che il capitalismo vuole sedurre, abbandonandoli immediatamente e irremediabilmente.
Cosa c’è, allora, che non mi va, che mi ronza continuamente nella testa?
Il messaggio? No quello è lecito. Le tre situazioni che apre? Nemmeno, a parte giuste rivendicazione di carattere nutrizionistico, di cui si dovrebbe sempre tener conto.
Quello che mi stona è l’assoluta apatia che accoglie una campagna così precisa nel dirti cosa devi fare, cosa puoi fare, in questi mille e mille metri cubi di cemento con le luci sfavillanti all’interno e tante sale con comode poltrone per vedere le novità del botteghino (pop-corn, smarties e bevande gasate e zuccherine a go go, ovviamente).
Mi turba il sonno. Non il mio, il sonno degli altri, anche solo la domanda, l’incertezza: ma l’avranno percepito? Hanno visto cosa hanno scritto dappertuto? E se sì, perché non facciamo niente per impedire un ordine così innocuo da essere ancor più pericoloso