12 Novembre 2021
Limitare il diritto a manifestare non è mai buona cosa. Non è solo il green pass il punto e lo Stato prima guarda e poi vieta
Alla fine saranno i prefetti, che sono gli ambasciatori rappresentanti dello Stato nelle città, a dover trovare una quadra. Dopo settimane di manifestazioni No Green Pass, spesso disordinate e creative nell’abbandonare percorsi e bloccare città, la stretta arriva grazie e solo alla strenna natalizia che si avvicina.
Il Viminale scrive ai Prefetti: individuate “specifiche aree urbane sensibili, di particolare interesse per l’ordinato svolgimento della vita della comunità, che potranno essere oggetto di temporanea interdizione allo svolgimento di manifestazioni pubbliche per la durata dello stato di emergenza, in ragione dell’attuale situazione pandemica”.
La circolare del ministro dell’Interno, Luciana Lamorgese, aggiunge: “L’evoluzione del fenomeno correlato alla protesta per le misure emergenziali dettate dal Covid 19” rende “necessaria l’urgente e immediata attuazione” dello stop alle manifestazioni nelle “aree sensibili”. Le manifestazioni no vax e no green pass, pur “rappresentative del diritto ad esprimere il dissenso, stanno determinando tuttavia elevate criticità sul piano dell’ordine e della sicurezza pubblica, nonché sul libero esercizio di altri diritti, pure garantiti, quali, in particolare quelli attinenti allo svolgimento delle attività lavorative ed alla mobilità dei cittadini, con effetti, peraltro, particolarmente negativi nell’attuale fase di graduale ripresa delle attività sociali ed economiche”.
È vero? Sì, certo che è vero. Solo pensando a Milano 15 manifestazioni del sabato, spesso con molta confusione, voluta, nei percorsi e deviazioni hanno bloccato la città e sicuramente causato problemi ai commercianti. Eppure, il diritto a manifestare è riconosciuto e tutelato e sancirne la sospensione temporanea non è mai buona cosa. Verrebbe anche da comminare l’aggravante dei motivi consumistici, e così è, mitigati dal fatto che la crisi pandemica che abbiamo vissuto rende più che necessario mantenere aperti gli esercizi commerciali.
Quindi non è un gioco di potere esclusivamente dettato dalle lobby dei commercianti, di mezzo – siamo realisti – c’è davvero anche la necessità di recuperare moneta per molti, soprattutto quelli che non erano così solidi da potersi permettere che la nottata passasse.
E però. C’è uno strano meccanismo in tutta questa vicenda pandemica e nei suoi strascichi no vax e no green pass: spesso lo Stato ha buttato le responsabilità sui cittadini, spesso il dibattito pubblico si è incancrenito in uno scontro fra cittadini, spesso le nostre chat sono state invase da un pericoloso hate speech. E le reazioni che si sentono nelle proprie cerchie sono piuttosto nette e sviluppano l’insofferenza verso chi manifesta, e che per definizione più amplifica il suo dissenso e più è contento perché crede che il messaggio sia più forte.
Ci sono diversi errori, da parte di chi applica legge e circolari e anche da parte dei manifestanti e di chi li riempirebbe volentieri di mazzate, perché ‘esasperato’.
Il primo errore è di chi detiene l’autorità. Limitare le prime manifestazioni, senza ricorrere alla violenza, sarebbe stato un ottimo viatico per le seguenti. Perimetrare, con decisione.
Il secondo errore è dei ‘NO’. Manifestare le proprie idee non significa andare a esasperare i propri concittadini, in una sorta di perenne miccia accesa. Le manifestazioni non sono assimilabili allo sciopero, mentre lo sciopero può comprendere delle manifestazioni. Detto in maniera semplice: se i trasporti scioperano, il disagio che provocano potrebbe essere una leva politica per arrivare al buon esito di trattative o prove di forza.
Le manifestazioni si fanno per includere consensi, non per provocare frizioni.
L’ultimo errore è quello finale; andare alla stretta, sospendere la libertà di manifestazione in alcune zone. È un errore speculare al primo e purtroppo grazie al secondo, quello dell’antagonismo a tutti i costi, rischia di far esplodere la polveriera.
Si è perso, sostanzialmente, di vista cosa voglia dire la protesta e la manifestazione, mentre si attuano meccanismi social nelle piazze. L’arroganza, la sfida, la minaccia a volte, sono cose da leoni da tastiera, più che da cittadini convinti di dover manifestare dissenso.
Come si torna a una normalità dignitosa, quella che lascia liberi noi tutti di manifestare ovunque, ovviamente in maniera legittima e per chi vuole legale? (Quella illegale è sempre possibile, ma verrà sanzionata).
Non è difficile, basta avere una buona dose di rispetto nell’esercizio del diritto proprio di espressione anche verso le persone non che la pensano in maniera differente, ma anche che non la pensano proprio. Odio gli indifferenti, diceva un grande politico, ma questo riguarda noi, la nostra capacità di smuoverli. Poi gli indifferenti ci sono, è una realtà che non va accettata, se volete, ma considerata. E, al di là della questione pandemica, l’indifferenza è anche il risultato di politiche precise di atomizzazione sociale, lavorativa in primis, che facilitano meccanismi di egoismo, di chiusura.
Ecco perché poi nella piazza si vivono meccanismi disordinati, che vanno più a detrimento delle idee che si portano nei corpi per le strade, tranne in un caso. Quando, cioè, la parola d’ordine della manifestazione è pretestuosa.
Chiediamoci, con un occhio alla questione No Green pass, se non ci siano diverse contraddizioni, malesseri, meccanismi quasi di furia sociale, dietro slogan molto ariosi, anche troppo. Cosa c’è della rabbia, frustrazione, risentimenti individuali portati a collettivo, dentro i cortei che si improvvisano?
Con più di un alleato di periodo, poi: andiamo a leggere la contrazione dei salari rispetto alla produzione e guardiamo anche la famosa pioggia di miliardi attesi dal Pnrr, consapevoli che andranno in colonnine excel ben diverse da quelle degli adeguamenti o aumenti del salario o del reddito dei lavoratori autonomi di piccolo e medio calibro.
Forzando un po’ la mano, potremmo dire che abbiamo bisogno di un governo politico, capace di osare dove i tecnici fanno quadrare i numeri, capace di assumersi le responsabilità e non solo di amministrarle, capace di avere una visione che sia espressione del voto democratico rappresentativo, voto che è arrivato quasi al capolinea viste le percentuali di elettori votanti.
Ecco perché non è mai un bene limitare e sospendere, soprattutto dopo che si è lasciato fare. Un precedente che non fa bene, che richiama le zone rosse, che non hanno mai significato nulla di buono per la convivenza sociale.