Cacciatori nella neve, opera di Pieter Bruegel, è probabilmente il dipinto più conosciuto con soggetto l’inverno. Fu realizzato nel 1565, durante una fase climatica speciale: la stagione fredda del 1564-65 era stata la più lunga e dura dagli anni Trenta del Quattrocento e la prima di quel periodo estremamente gelido in Nord Europa che oggi chiamiamo la Piccola Era glaciale (anni che vanno dal XV al XIX secolo).
Diminuirono i raccolti, i ghiacciai avanzarono fino a inghiottire i pascoli, le nevicate si fecero sempre più frequenti. In Inghilterra, nel 1565, il Tamigi gelò, un fenomeno che si ripeterà sempre più negli anni successivi. Il nuovo clima deve aver avuto effetti drammatici su una società del tutto agricola, nelle locande come nei piani alti dell’aristocrazia non si parlò d’altro che del meteo che si era fatto crudo per molti anni.
Vista l’attualità dell’argomento a quel tempo, quale migliore soggetto per un’artista delle condizioni atmosferiche e del loro effetto sulla gente?
A partire dal 1565, dopo aver dipinto anche altre stagioni, Bruegel si fissò sulla neve. Tra gli altri, dipinse “Paesaggio invernale con pattinatori e trappola per uccelli” e “La strage degli innocenti”, esposta oggi di fronte ai “Cacciatori”.
Bruegel morì quattro anni dopo aver dipinto la sua scena di neve più famosa, conservata oggi al Kunsthistorisches Museum di Vienna. Aveva introdotto un interesse per il paesaggio invernale che nel secolo e mezzo di clima rigido che seguì si diffuse nei Paesi Bassi e in tutto il mondo. Dipingere soggetti invernali diventò di moda finché il clima non tornò ad essere più dolce e quindi meno “interessante”. Il “Paesaggio invernale” di Rembrandt del 1664, uno degli ultimi del genere nei Paesi Bassi, raffigura pochissima neve. Il freddo sarebbe tuttavia tornato, e con il freddo l’appetito artistico per l’inverno.
Alla fine del XVIII secolo, quando il freddo tornò protagonista in Europa, la visione dell’inverno non fu affatto benigna come quella di Bruegel, ma si spostò sulla morte e la disperazione. Persone congelate e morte, carrozze inghiottite dai crepacci. Il romanticismo pose l’attenzione sull’emozione che derivava dalla potenza dell’atmosfera.
L’inverno del 1794-95 fu così rigido che la flotta olandese rimase in secca sui ghiacci a diversi chilometri dalla costa.
Tra il 1810 e il 1819 l’Inghilterra piombò in una serie di inverni gelidi. Furono anni senza estate, anche a causa dell’eruzione del vulcano Tambora nelle Indie orientali, le cui polveri nell’atmosfera non permisero la naturale diffusione dei raggi solari. Il nuovo freddo influenzò la letteratura e la musica.
Due altri grandi pittori si occuparono di neve e inverni: il primo fu il tedesco Friedrich, che si concentrò più sull’aspetto mistico-religioso del candore in “Paesaggio invernale con chiesa” (sotto), del 1811. D’altra parte aveva visto morire il fratello mentre cercava di salvarlo dopo che era caduto in una buca nel ghiaccio. Nel 1814, dopo la catastrofica ritirata di Napoleone da Mosca, Friedrich dipinse il “Cacciatore nella foresta”.
Il secondo fu William Turner, che visitò le montagne d’Europa per vedere da vicino la violenza delle neve e del ghiaccio. Rischiò varie volte la vita nei suoi viaggi in carrozza sulle Alpi, deve essere stato attratto fatalmente dalla tempesta, tanto che rispetto ai primi dipinti giovanili che avevano come soggetto una neve soave, presto Turner dipinse scenari terrificanti, come la “Caduta di una valanga nel Canton Grigioni” o “La bufera di neve: Annibale e il suo esercito attraversano le Alpi”, del 1812 (sotto).
Alla metà del XIX secolo la Piccola era glaciale stava terminando e, a parte Gustave Courbet, che dipinse oltre 84 scene d’inverno tra il 1856 e il 1876, il paesaggio innevato e l’arte dell’inverno divenne meno popolare.
Tornò in cattedra però di prepotenza, con gli impressionisti, per i quali la neve fu un soggetto perfetto.
Tra il 1864 e il 1893 l’Europa era uscita dagli inverni troppo rigidi ma in Francia del nord si ebbero comunque grandi nevicate, alternate al bel tempo. Gli impressionisti si affrettavano ad uscire all’aria aperta con il loro cavalletto e colori a olio inventando un genere di pittura che chiamarono “effet de neige”. Sisley, Pissarro, Renoir, Gauguin, Caillebotte e Manet furono tra questi.
Ma il vero e indiscusso re dell’inverno fu Monet: si concentrò su ogni tipo di condizione invernale, cambiando nell’oggetto l’ora del giorno, l’esposizione della luce e il luogo.
Si dice che Monet fosse resistente al freddo e provasse piacere a stare al gelo, anche a – 30 C°. Nell’inverno del 1896 scrisse all’amico Geoffrey dalla Norvegia, dove aveva accettato l’invito a dipingere all’aria aperta: “Oggi ho dipinto per una parte della giornata tra la neve che cadeva incessantemente. Avresti riso nel vedermi completamente ricoperto di bianco, il ghiaccio nella barba simile a stalattiti”. Il più famoso effet de neige di Monet è nel quadro “La gazza”, del 1869 (sotto).
Questo articolo è stato ripreso da meteotrip.it