Days of Hate, V for Vendetta nel XXI secolo

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9 Maggio 2019

Recensione della miniserie di Ales Kot e Danijel Zezelj (Eris)

Stati Uniti, anno 2022. In uno stato autoritario dove il suprematismo è legge, due outcast scelgono la strada della lotta armata per rispondere ai continui soprusi del potere.

Braccati dalla polizia dopo uno spettacolare attentato, dovranno gettarsi a capofitto sulle strade d’America per sfuggire alla morsa che inesorabilmente si stringe intorno a loro.

Pubblicata negli Stati Uniti da Image Comics in 12 parti tra 2018 e 2019, la miniserie Days of Hate arriva in Italia grazie a Eris Edizioni, che ha recentemente pubblicato il primo di due volumi con sei episodi ciascuno.

Il modo migliore per descrivere quest’opera, probabilmente, è la risposta contemporanea e americana a V for Vendetta.

Un’esagerazione? Può darsi. Ma di certo il capolavoro di Alan Moore e David Lloyd è una presenza sottotraccia lungo tutto il tempo della lettura, che emerge chiaramente alla conclusione della stessa.

Al di là del formato editoriale analogo in 12 albi, V for Vendetta è richiamato da numerosi elementi estetici e narrativi di Days of Hate: dai colori “cattivi” e volutamente spenti di Jordie Bellaire alla relazione tra i due principali personaggi femminili, che ricorda quella tra Valerie e Ruth.

Per non parlare poi della lotta armata messa in atto dai protagonisti, contro una dittatura che in entrambi i casi rappresenta un’evoluzione estrema e distopica del governo al potere nel Paese e nell’epoca dei rispettivi autori.

Se in V for Vendetta troviamo il Regno Unito di Margaret Thatcher negli anni ‘80 e il timore costante di un’escalation atomica della Guerra Fredda, Days of Hate porta alle estreme conseguenze gli Stati Uniti di Donald Trump: xenofobia, intolleranza e pensiero unico sono costume sociale ancora prima che legge.

Come l’illustre predecessore, grazie a un antagonista perfettamente caratterizzato, anche Days of Hate riesce a smascherare l’ipocrisia di un potere feroce costruito da persone all’apparenza “normali”.

Ma diversamente da V – di cui non vediamo mai il volto, perché la sua maschera rappresenta tutti coloro che prendono parte alla battaglia – Amanda e Arvid sono due persone vere, in carne e ossa.

Lei omosessuale, lui nero e musulmano, non potrebbero rappresentare più concretamente la diversità a cui il governo dà la caccia.

Nulla di più distante dall’interpretazione teatrale di V con la celebre maschera di Guy Fawkes.

E poi l’ambientanzione: laddove V for Vendetta è una storia di vicoli bui, strade deserte e lugubri edifici, Days of Hate rende omaggio al classico tema americano dell’on the road, portando i protagonisti da una parte all’altra del Paese a bordo dell’immancabile auto.

La sceneggiatura di Ales Kot confeziona un racconto mozzafiato, reso imprevedibile dal ruolo ambiguo di Huian, l’ex moglie di Amanda che all’inizio della storia sceglie di raccontare tutto alla polizia.

I disegni duri e spigolosi di Danijel Zezelj fanno il resto, insieme a una sapiente costruzione delle tavole e delle immagini che alterna inquadrature, piani sequenza e cambi di scena praticamente cinematografici.

Nell’insieme, l’opera trasmette l’idea di una piena padronanza del medium fumetto.

Restituendo un risultato assolutamente contemporaneo ma allo stesso tempo sintesi efficace delle esperienze di alcuni grandi maestri del passato.

A dimostrare di aver recepito la lezione del fumetto d’autore anglo-americano sono paradossalmente due autori europei, uno dei quali peraltro proveniente da un Paese del cosiddetto “gruppo di Visegrád”.

Un caso? Probabilmente no. Anche perché l’America di Days of Hate è sì una distopia ambientata nel prossimo futuro, ma a ben vedere è anche uno specchio non troppo deformante della realtà del presente.