Le mani di Z, l’ultimo graphic novel di AkaB

di

9 Luglio 2020

Recensione del volume pubblicato da Eris e Progetto Stigma

«È troppo triste. Non c’è un briciolo di umanità. Di speranza». Forse sono rivolte alla sua stessa opera le parole che AkaB mette in bocca a un personaggio nel finale del suo ultimo graphic novel.

Il dubbio è legittimo, perché Le mani di Z è una discesa davvero angosciante negli inferi del disagio psichico e della sofferenza umana, senza alcuna apparente via d’uscita.

Il volume appena pubblicato da Eris in collaborazione con Progetto Stigma è l’ultimo graphic novel dell’autore, scomparso nel 2019, dopo un lungo percorso creativo tra pittura, fumetto e cinema.

Un testamento artistico oscuro e disturbante, che trova piena cittadinanza nel Progetto Stigma, collettivo editoriale fondato proprio da AkaB per dare agli autori coinvolti la massima libertà espressiva.

Le mani di Z è la storia di un uomo adulto che soffre fin dalla nascita di una grave disabilità intellettiva, che lo porta tra l’altro a essere ossessionato dalla figura di Zorro, di cui possiede innumerevoli libri, film e oggetti.

Il tratto nervoso, spezzato dell’autore ci conduce nella psiche spezzata del protagonista con un bianco e nero netto, che non ammette distinzioni o sfumature tra mondi che sembrano destinati a non incontrarsi mai.

Un intreccio di trame più complesso di quello che potrebbe apparire – e che merita almeno una seconda lettura – rivela infatti progressivamente le tragiche condizioni familiari in cui si è trovato a crescere Z, mentre il mondo là fuori continuava ad andare avanti come se nulla fosse.

Nel tentativo di aiutare il fratello, vittima di un misterioso trauma, il padre di Z punta tutto su una sceneggiatura per il cinema scritta insieme a lui, che dovrebbe offrire al primo la necessaria catarsi psicologica e al secondo l’occasione di riscatto economico e sociale a lungo attesa.

Ma la posta in gioco è decisamente troppo alta per una singola scommessa e la tragedia incombente si concretizza proprio davanti agli occhi di Z, che subisce un ulteriore colpo alla sua già fragile psiche.

La cultura pop, onnipresente e pervasiva, diventa a questo punto l’unico rifugio possibile per il ragazzo, che nella fantastiche avventure di Zorro trova riparo dagli orrori della sua vita quotidiana.

Quando la sofferenza non può essere elaborata e il disagio non si riesce a superare, il placebo ipnotico della leggerezza on demand diventa il bene più prezioso, ci dice neanche troppo velatamente l’autore.

Un invito a considerare quanto il vuoto assordante che spesso questo genere d’intrattenimento porta con sé arrivi a essere apparentemente indispensabile anche nelle nostre vite.

La conseguenza logica di questa situazione è il rapporto morboso di Z con gli oggetti. Anche perché, gli ha confidato il padre, «non ti puoi fidare delle persone, mai. Solo sulle cose puoi contare».

La cornice in salsa pop che fa risaltare in modo ancora più spiccato il grigiore della vita reale ricorda in qualche modo Sospeso di Giorgio Salati e Armin Barducci, anch’esso ambientato in una grande città italiana degli anni ‘80 dove si respira forte l’indifferenza del mondo circostante alle difficoltà dei singoli.

Un’indifferenza fatta propria dall’autore stesso, che non guarda la realtà dall’alto in basso, ma ammette con sincerità: «In questo libro ho provato a dare delle risposte fantasiose a una realtà che in fondo non volevo e ancora non voglio conoscere».

In questo senso Le mani di Z è un racconto di fantasia, ma è anche qualcosa di terribilmente reale. È la riprova, come afferma l’autore con le ultime parole del racconto a fumetti, che «ci stiamo effettivamente auto-distruggendo con una violenza mascherata d’amore».