di Luca Rasponi
9 Giugno 2019
Recensione del graphic novel di Jérôme Tubiana e Alexandre Franc (Gribaudo)
Ci sono parole che hanno il potere di evocare interi mondi: Guantánamo è una di queste. Ma chi di noi può dire di conoscere a fondo le vicende umane legate alla famigerata base militare degli Stati Uniti sull’isola di Cuba?
Il ragazzo di Guantánamo. La storia vera di Mohammed El-Gorani offre una possibilità irrinunciabile in questo senso, trascinando il lettore nel girone infernale vissuto dal protagonista nel corso della sua prigionia.
Il graphic novel di Jérôme Tubiana e Alexandre Franc – pubblicato in Italia da Gribaudo – ripercorre la vicenda di Mohammed El-Gorani, giovane saudita di origine ciadiana alla prese con la “Guerra al terrore” di George W. Bush.
Non ancora maggiorenne, Mohammed si sposta dall’Arabia Saudita al Pakistan per imparare l’inglese e l’informatica. Ma il momento non potrebbe essere più sbagliato.
È la fine del 2001, subito dopo gli attentati alle Twin Towers.
Arrestato arbitrariamente dalle autorità pakistane e sostanzialmente venduto per qualche migliaio di dollari agli USA, in un batter d’occhio Mohammed finisce a Guantánamo, dove comincia un calvario destinato a durare 8 anni.
Inizialmente non si può che essere increduli di fronte a una storia del genere. Perché succede tutto troppo in fretta, con una dinamica talmente assurda da somigliare più a un incubo che non a una vicenda realmente accaduta.
E invece di questo si tratta, con il suo contorno di soprusi, privazioni di ogni genere, accanimento insensato di un potere feroce contro un individuo innocente, che però sceglie di non rimane inerme.
Mohammed è minorenne, non ha fatto niente, gli converrebbe starsene buono aspettando che i fatti gli diano ragione. E invece si ribella, si batte per i suoi diritti e quelli dei compagni di prigionia, come se il temperamento e la giovane età gli impedissero di fare calcoli di fronte all’ingiustizia subita.
Questa resistenza contro interrogatori, torture, abusi è raccontata da Tubiana in modo puntuale e mai patetico, mentre le tavole in stile franco-belga di Alexander Franc alleggeriscono solo apparentemente il dramma, che in realtà prende forza dal contrasto con la delicatezza del segno grafico.
Man mano che si procede nella lettura si fa strada un’angoscia sempre più asfissiante, come sa esserlo soltanto quella che deriva dalla privazione della libertà e dalla negazione totale dei propri diritti.
Più di tutto impressiona la totale approssimazione con cui il potere manifesta la sua brutalità, abbattendosi sul primo sventurato capitato a tiro come una raffica sulla folla, senza curarsi minimamente dell’effettiva colpevolezza del detenuto.
La costante sensazione di frustrazione e impotenza condivisa con il protagonista, se possibile, non fa che aumentare dopo la sua liberazione. Perché il marchio d’infamia e l’attenzione degli Stati Uniti non sono qualcosa che è così facile da scrollarsi di dosso, nemmeno dall’altra parte del mondo.
Una vita rovinata per sempre come quella di Mohammed autorizza a chiedersi il senso di tutto questo. Di un sistema che in nome dei più alti valori di liberà e giustizia ricorre alla violenza più spietata, alla violazione del diritto più sistematica, sorda e cieca nei confronti di quell’umanità che dovrebbe tutelare.
Un potere che ricorre a qualsiasi strumento pur di perpetuare sé stesso: è questa l’unica spiegazione possibile di fronte a una storia come quella di Mohammed El-Gorani e all’intera vicenda della base di Guantánamo.
Che otto anni di amministrazione Obama non sono stati sufficienti a far chiudere, dimostrando una volta di più come questo potere schiacciante e insensibile sia un lato oscuro comune a tanti momenti della storia americana.
In dieci anni, Mohammed non è ancora riuscito a costruirsi una vita libera da angosce e persecuzioni derivanti dalla sua lunga e ingiusta prigionia.
Come se fosse destinato a rimanere per sempre il ragazzo di Guantánamo.