Rapsodia in blu, l’epica malinconica di Andrea Serio

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9 Maggio 2020

Recensione del graphic novel pubblicato da Oblomov

È il 1938 quando in Italia la discriminazione razziale diventa legge. Difficile immaginarlo, senza averlo vissuto. Rapsodia in blu di Andrea Serio ci trasporta proprio là, in quell’epoca nefasta della nostra storia.

Tratto dal libro Ci sarebbe bastato di Silvia Cuttin, il graphic novel racconta la storia vera di Andrea Goldstein, giovane ebreo friulano costretto a fuggire negli Stati Uniti dopo l’approvazione delle leggi razziali da parte del regime fascista.

Il volume – pubblicato a fine 2019 da Oblomov – è una boccata d’ossigeno nell’isolamento forzato imbevuto di tecnologia digitale sperimentato in questi lunghi mesi di pandemia.

Gande formato (21,5 x 30 cm), carta delle pagine in grammatura spessa, copertina cartonata… Rapsodia in blu è la dimostrazione che la lettura può essere anche un’esperienza sensoriale.

Le tavole di Andrea Serio, del resto, sarebbero state tremendamente penalizzate da un formato più ridotto, perché sono veri e propri dipinti a tutta pagina, dentro i quali è possibile immergersi come di fronte a una tela.

Naturalmente, tutto è virato sul blu, colore dominante dell’intera narrazione. Non soltanto per il rimando del titolo alla composizione di George Gershwin, ma per il sentimento di profonda malinconia – evocato dal doppio significato della parola blue in inglese – che questo colore è in grado di suscitare.

La spensieratezza del giovane Andrea è precocemente interrotta, durante le vacanze estive del 1938 nel paesino di Medea, dalle notizie provenienti dalla radio, che preannunciano le leggi razziali dell’autunno successivo.

Le pagine che riportano il discorso di Mussolini a Trieste il 18 settembre 1938 evocano la brutale potenza delle “adunate oceaniche” di epoca fascista, mentre Andrea Goldstein guarda la Storia arrivargli tragicamente addosso.

Senza rendersi del tutto conto della situazione, il ragazzo viene inviato dai genitori presso alcuni parenti negli Stati Uniti, in compagnia della sorella, ritrovandosi ben presto a passare da una vita relativamente agiata a un piccolo appartamento sovraffollato nel Bronx.

Dopo un inizio difficile, la vita newyorkese di Andrea – nel frattempo diventato Andrew – comincia a ingranare: alla fine del 1942 il ragazzo ha un buon lavoro, frequenta una ragazza e decide di rimettersi a studiare.

Ma qualcosa non va, e noi ce ne accorgiamo insieme a lui grazie a una serie flashforward che ci portano avanti nel tempo di qualche mese. Non potendo dimenticare l’ingiustizia subita dall’Italia fascista, Andrew decide infatti di arruolarsi da volontario nell’esercito americano.

Nel campo di addestramento di Camp Hale, Colorado, risuonano le note vivaci e imprevedibili di Gershwin che danno il titolo al volume, con il preciso obiettivo di far rimpiangere alle giovani reclute il fascino, le luci e la vitalità di New York, preparandoli a dare la vita per ciò che la città rappresenta.

Mentre il racconto volge verso la conclusione, dunque, prende forma il paradosso di un giovane ebreo che torna nel suo Paese da nemico dei fascisti, ma nelle file di un esercito straniero, perché si sente tradito dall’Italia intera.

Ecco quindi che il mare turchese dell’infanzia si trasforma nel cupo blu dell’Atlantico, nell’azzurro violato del golfo di Napoli, nella neve copiosa che copre l’Appennino tosco-emiliano pochi giorni prima della Liberazione.

L’inestinguibile malinconia che agita l’animo di Andrea/Andrew, costretto a subire un destino avverso ma pronto a ribellarsi contro di esso come l’eroe di un poema epico, si riversa nel colore che avvolge le tavole da ogni direzione.

Tra Gipi, Hopper e Gershwin, l’opera di Andrea Serio conquista per la delicatezza e l’intimità con cui racconta vicende storiche e personali difficili, a tratti tragiche. È un’epica malinconica, la sua. Una Rapsodia in blu.