Può un Paese diventare malattia? Essere causa di angoscia, alienazione e perdita di sé? Sindrome Italia. Storia delle nostre badanti, di Tiziana Francesca Vaccaro ed Elena Mistrello, racconta dall’interno come succede qualcosa del genere.
Il graphic novel recentemente pubblicato da BeccoGiallo, infatti, dà voce e rappresentazione alla testimonianza di Vasilica Baciu, che nel 2005 ha lasciato la Romania per venire a lavorare in Italia come assistente familiare.
Come spiega nella ricca postfazione che contestualizza nel migliore dei modi la storia narrata, Tiziana Francesca Vaccaro ha incontrato Vasilica e tante altre “badanti” come lei nell’ambito del percorso di ricerca da cui è nato lo spettacolo teatrale Sindrome Italia. O delle vite sospese.
Ecco, le vite sospese: è decisamente questa la cifra dell’esistenza di tante donne che dall’est Europa arrivano nel nostro Paese per assistere persone anziane o non autosufficienti.
A molti, in un momento della propria vita, è capitato di ricercare l’assistenza di una “badante” per un proprio caro. Ma difficilmente, in questo incontro tra necessità, le due parti riescono a conoscersi, a instaurare un dialogo che vada oltre le questioni pratiche di tutti i giorni.
Per questo Sindrome Italia è un lavoro estremamente originale, attuale e innovativo.
Perché ci conduce, prendendoci per mano, nella testa e nel cuore di chi ha vissuto quell’esperienza dall’altra parte della barricata. Di chi ha dovuto lasciarsi casa e famiglia alle spalle per consentire ai propri figli di trovare qualcosa da mangiare sulla tavola.
La forza di Sindrome Italia, però, è che il dato socio-economico della necessità di chi si trova costretto a migrare è solo il punto di partenza del racconto. Che poi conduce il lettore in un viaggio emotivo e psicologico angosciante, in grado di creare quell’empatia che porta ad allargare realmente lo sguardo.
Una sceneggiatura che alterna presente e passato, con un montaggio quasi cinematografico, segue le orme di Vasilica da Iasi a Palermo, poi a Milano, quindi nuovamente nella città d’origine in Romania.
La quadricromia delle tavole enfatizza questo alternarsi di situazioni e stati d’animo, con la base di bianco e nero che si tinge di giallo nel Paese di provenienza, virando sul verde quando la scena si sposta in Italia.
La scelta di rappresentare visivamente le angosce di Vasilica – la sensazione di affogare, l’estraneità del proprio corpo – trascina a forza il lettore nel vortice di profonde inquietudini che agitano la protagonista, nel suo rimbalzare tra due Paesi dove sentirsi comunque straniera.
L’ostacolo della lingua, un mestiere sconosciuto e totalizzante, l’ostilità delle persone assistite da una parte. La sensazione degli anni perduti, il distacco dalla famiglia e l’impossibilità di un ritorno alla normalità, dall’altra.
Schiacciate in questa morsa, tante donne come Vasilica si sono ritrovate a soffrire degli stessi sintomi, una volta tornate al Paese d’origine: cattivo umore, tristezza persistente, perdita di peso e inappetenza, insonnia, stanchezza, fantasie suicide.
Un quadro di ansie, senso di solitudine e scissione identitaria che nel 2005 gli pischiatri ucraini Andriy Kiselyov e Anatoliy Faifrych hanno battezzato, appunto, sindrome Italia.
Può, allora, un Paese diventare malattia? La risposta è sì, se non è in grado di accogliere, offrendo una rete di minime tutele sociali e lavorative, le persone che arrivano per svolgere un’attività fondamentale e difficile, spesso facendo la scelta sofferta di lasciare i propri affetti in una situazione altrettanto complicata.
Sindrome Italia non è soltanto la storia di Vasilica Baciu: è davvero la storia delle nostre badanti. Una storia che forse in molti non vorrebbero leggere né ascoltare, anche se ce l’hanno di fronte tutti i giorni. Proprio davanti agli occhi.