10 Gennaio 2019
Corridoi umanitari, la risposta alle stragi in mare e alla tratta di esseri umani, a cura di Maria Grazia Patania
*foto di Francesco Malavolta
Jamila ha circa 20 anni, viene dalla Somalia e nel luglio 2017 arriva ad Augusta, in Sicilia, dopo un lungo viaggio. Due settimane prima ha partorito la bambina avvolta in una copertina rosa che mi chiede di portare via con me, fuori dal campo. Ha un viso molto lungo, scavato, incorniciato da un velo azzurro. Alterna un sorriso ingenuo e quasi felice per la figlia che stringe fra le braccia all’ansia per il loro futuro incerto. Quella bambina partorita durante la permanenza in Libia, è probabilmente figlia delle violenze subite in un paese che calpesta ogni giorno l’Articolo 27[1] della Convenzione di Ginevra per la protezione dei civili in tempo di guerra secondo cui “Le donne saranno specialmente protette contro qualsiasi offesa al loro onore e, in particolare, contro lo stupro, la coercizione alla prostituzione e qualsiasi offesa al loro pudore”.
Donne e bambini costituiscono metà della popolazione mondiale di rifugiati e il gruppo più vulnerabile fra migranti e sfollati. Donne e ragazze che viaggiano sole sono facili prede di reti criminali che le trasformano in schiave del sesso a pagamento, mentre la tratta a fini sessuali non è una preoccupazione teorica, ma una pratica ben consolidata e documentata. Il 21 luglio 2017 l’Organizzazione Internazionale per le Migrazioni ha pubblicato un report[2] per documentare il fenomeno lungo la tratta del Mediterraneo Centrale e in Italia. Sulla base dei dati registrati ai porti di sbarco e delle storie di chi viene assistito dopo lo sbarco, sono stati individuati degli indicatori che possono rivelare una situazione di tratta: sesso femminile, età compresa fa 14 e 25 anni, specifica provenienza geografica (Nigeria) e riluttanza a parlare a causa della pressione psicologica subita. Le vittime sono solitamente poco istruite e provengono da aree estremamente povere, anche se il fenomeno sta crescendo in maniera sempre più trasversale[3]. Il dato più preoccupante riguardava la percentuale di ragazze che si sospetta siano diventate schiave sessuali dopo l’arrivo nel nostro paese: “L’OIM ritiene che circa l’80%[4] delle migranti nigeriane arrivate via mare nel 2016 sia probabile vittima di tratta destinata allo sfruttamento sessuale in Italia o in altri paesi dell’Unione Europea. Secondo l’Organizzazione le donne ed i minori non accompagnati di nazionalità nigeriana sono fra i più a rischio di essere vittime di tratta a scopo di sfruttamento sessuale, anche se non si può escludere che anche migranti di altre nazionalità siano coinvolti nel traffico”. Inoltre, il numero di vittime potenziali nel 2016 sarebbe almeno raddoppiato rispetto agli anni precedenti. Come si concilia questo dato con gli obblighi degli Stati[5] a impedire che le persone cadano nelle reti della tratta sul proprio territorio?
“Donne e ragazze che viaggiano sole sono facili prede di reti criminali che le trasformano in schiave del sesso a pagamento, mentre la tratta a fini sessuali non è una preoccupazione teorica, ma una pratica ben consolidata e documentata”
Stando a un recente studio[1], ancora oggi è difficile distinguere con precisione il legame fra crisi (umanitarie e non) e tratta di esseri umani. Alcune forme, fra cui sfruttamento sessuale da parte di gruppi armati o dei peacekeepers, sono ritenute dirette conseguenze delle crisi, mentre il legame col lavoro forzato è meno immediato. In mancanza di vie specifiche per mettere in salvo le vittime di tratta, si potrebbe ricorrere ad altri strumenti giuridici. Uno strumento particolarmente trascurato sarebbe lo status di rifugiato dal momento che i conflitti armati generano instabilità tali da alimentare sfollamento e movimenti transfrontalieri che rendono donne e bambine particolarmente vulnerabili a matrimoni forzati e schiavitù sessuale. Pertanto, “le vittime di questo tipo di sfruttamento dovrebbero ricevere lo status di rifugiato nei paesi in cui trovano riparo ed essere protette dai respingimenti (…) Laddove permangano rischi, andrebbero ricollocate”. A prescindere dal luogo in cui si trovino, le vittime -potenziali e non- di tratta dovrebbero essere agevolate nella presentazione della domanda di asilo.
Inoltre, l’ICAT[2] (Inter-Agency Coordination Group against Traffcking in Persons) ribadisce l’obbligo di protezione dai respingimenti e incoraggia agli Stati a: assicurare l’accesso dei rifugiati sul proprio territorio evitando che ricorrano ai trafficanti; garantire protezione ed assistenza effettive nei paesi di asilo così che i rifugiati non debbano spostarsi ancora potenzialmente in mano ai trafficanti; garantire vie di accesso legali e sicure per ridurre spostamenti pericolosi e irregolari. In quest’ottica, dunque, l’apertura di tali canali non sarebbe più opzionale, ma necessaria per regolamentare i flussi migratori e tutelarne le vittime più vulnerabili. Di contro, l’attuale scenario, fra respingimenti e fantomatici salvataggi da parte della cosiddetta Guardia Costiera Libica, non solo è incontestabile prova di barbarie, ma appare anche come una grave violazione del Diritto Internazionale codificato. Pertanto, anche in relazione alla tutela delle donne e delle ragazze e al fine di evitare fenomeni quali la prostituzione, la violenza o schiavitù sessuale, non rimane che costruire percorsi alternativi legali e sicuri. Eliminando la necessità di ricorrere a trafficanti e reti criminali, si elimina la domanda stessa che crea il terreno fertile per la tratta e gli abusi intollerabili che ne derivano. I corridoi umanitari, ancora una volta, sono la risposta ad un fenomeno tanto più brutale quanto incontrollato le cui vittime sono proprio le persone che meritano maggiore protezione.
[1] http://www.un.org/en/genocideprevention/documents/atrocity-crimes/Doc.33_GC-IV-EN.pdf
[2] http://www.aljazeera.com/news/2017/04/iom-african-migrants-traded-libya-slave-markets-170411141809641.html
[3] https://www.avvenire.it/chiesa/pagine/la-storia-di-blessing-da-vittima-della-tratta-alla-nuova-libert
[4] https://italy.iom.int/sites/default/files/news-documents/RAPPORTO_OIM_Vittime_di_tratta_0.pdf
[5] http://icat.network/sites/default/files/publications/documents/ICAT-IB-03-V.2.pdf
[6] http://globalinitiative.net/ht_crises/
[7] http://icat.network/sites/default/files/publications/documents/ICAT-IB-03-V.2.pdf