GAZA. Saranno le quattro lettere dell’infamia che rimarranno dentro la storia secolare dei colpevoli e dei complici

Io non dimentico. E non mi rassegno. I miei occhi sono stanchi dello scroll di macerie che ogni giorno scorrono fra un bikini, un gol stellare, una nuovo modello di macchina e meme più o meno divertenti. Mi rimangono negli occhi solo e soprattutto le macerie, i bambini insanguinati che urlano, i sacchi bianchi, le fosse comuni, la disperazione, come se fosse una cosa lontana da me e non semplicemente sull’altra sponda del Mediterraneo a qualche ora di aereo. Tornano ogni giorno, quando guardo al mattino il mio smartphone, la notte prima di coricarmi, le sogno, sogno i miei cari accerchiati in vie distrutte e grigie di cemento rivoltato come zolle dallo scoppio delle bombe. Cerco Milano-Gaza sulle mappe di Google e mi dice “spiacenti non ci sono indicazioni”, ma non solo dei voli, nemmeno a piedi, o in macchina. Lì non ci possiamo proprio andare, nemmeno con l’immaginazione che ti dà una mappa davanti agli occhi.

Gli ultimi numeri, non del ministero della sanità palestinese, ma la stima che ragionevolmente ci dice qualcosa di più vicino forse al vero parla già di oltre 100.000 morti, lasciando fuori i feriti, gli invalidi, gli arresti di massa, le detenzioni amministrative. 
Due sere fa un’attivista mostrava in un evento pubblico i suoi video dell’aggressione dei soldati dell’Idf sulla terra di un pastore e le sue pecore, preso di mira da un colono. Riaccendo un social e trovo una ruspa che abbatte ulivi, così, per fare spazio a nuovi insediamenti, scorro ancora e vedo mezzi cingolati con benne che distruggono l’asfalto con il solo intento di distruggere vie di circolazione.

Non riesco soprattutto a capacitarmi di come non si riesca a fermare questa carneficina. Non posso riuscirci perché sono cresciuto nel tempo della deterrenza nucleare e le cortine di ferro, dove pareva che la guerra fredda fosse un tragico gioco con delle regole, con le sue spie e doppiogiochisti, ma anche con una guerra di propaganda riconoscibile e con la presenza di istituzioni internazionali che sembravano posti importanti, persone potenti, capaci di dire cose da ascoltare.

Oggi vedo che gli sparano addosso, che non sono persone gradite, che la violenza e l’aggressione militare può sconfinare dove vuole se sei amico dei potenti, se i tuoi complici ti calmano a parole e ti gettano miliardi di dollari e bombe in quantità. Oggi vedo una mappa mondiale che riconosce a grande maggioranza la Palestina, eppure basta che un grande si opponga trascinandosi dietro qualche servo prezzolato per negare la realtà.

La realtà è un genocidio che risveglia le domande che mi facevo leggendo i libri di storia del Novecento, quando ci chiedevamo: ma nessuno sapeva?

Ma nessuno ha fatto nulla per fermare prima queste barbarie? Io no, non dimentico. Dove ‘io’ siamo noi, perché siamo tanti, siamo maggioranza, eppure ci lasciano spuntati, senza il potere di opporci se non nel nostro sdegno intimo e pubblico, nelle nostre lacrime, nel grido che si leva nelle piazze nel mondo; eppure nulla si ferma, nulla accade. Ecco io, noi, non dimentichiamo e non dimenticheremo questa macchia indelebile che si sta scrivendo con il sangue innocente, quello di Gaza, del Libano e del 7 ottobre, che era sangue anche quello. Ma il genocidio scatenato per la vendetta, o forse travestito da vendetta perché ormai questo è quello che vediamo quotidianamente, no, non lo dimenticheremo mai. 
Io non mi rassegno, siamo meglio di così. E nello stesso tempo torna la domanda sui delegati, sui governanti, su chi muove le leve di governi frutto della tanto sbandierata sovranità popolare, frase che storpia bocche sanguinanti che la usano come legittimazione a fare quel che è più utile per salvare potere e privilegi. I loro.

Io non mi rassegno, noi non ci rassegniamo. Anche loro sono complici, tutti e tutte. Non hanno fermato il massacro, sono colpevoli per ogni bomba che cade, perché non sono stati capaci di strozzare un governo terrorista, israeliano, che telefona nelle case e dà cinque minuti alle famiglie per scappare dal bersaglio. Cosa è questo se non terrore? Che colpisce gli ospedali. Che brucia e distrugge e spara ai giornalisti, che non permette la presenza di occhi, orecchie e bocche che raccontino e quelle che ci sono le uccide. 
Viviamo l’epoca dell’overdose di droghe mediatiche che offusca la nostra memoria. Chi ricorda più il giorno di grandi attentati, di morti e feriti, di scuole violate e bambini uccisi degli ultimi dieci, vent’anni? Si dimentica, si passa oltre con uno scroll e un altro scroll e ogni persona con le sue cure, i propri affanni. Ma Gaza, che ha dentro Cisgiordania, campi profughi, ospedali, scuole, sedi Unrwa, tendopoli, Libano, e omicidi mirati, ecco GAZA è destinato a diventare un segno di terrorismo disumano, lo è già.

Non è più un nome di un luogo, di una prigione a cielo aperto, di un lager, di un campo di concentramento, perché questo è stato. GAZA saranno le quattro lettere dell’infamia che rimarranno dentro la storia secolare dei colpevoli e dei complici.

Genocidio come cancellazione coloniale
Rapporto del Relatore Speciale sulla situazione umanae diritti nei territori palestinesi occupati dal 1967, Francesca Albanese