La città di Firenze, in virtù degli enormi interessi speculativi di cui si trova al centro, è ormai da tempo osservatorio privilegiato per poter comprendere dinamiche, portata e protagonisti della turistificazione. Il capoluogo toscano, città-vetrina per eccellenza, metà bazar metà museo, è ormai da decenni attraversato da una pluralità di mutamenti che ne hanno modificato irreversibilmente i lineamenti.
Riprendendo la celebre metafora del sociologo Erving Goffman, nel caso fiorentino, “i luoghi della città vengono messi in scena“: Firenze dunque non più spontanea realtà in evoluzione, bensì attrice intenta a fare il verso a se stessa, ipostatizzata in una recita posticcia sempre più estranea agli occhi di chi la conosce e vive.
Il modello della città cartolina, presa nel processo che osservatori attenti hanno definito di “venezianizzazione”, racconta di una realtà socio-economica costretta entro le anguste direttrici della più tipica tra le industrie a basso valore aggiunto, il turismo e correlato indotto. Scelte miopi di vertice, tese a far cassa nel breve termine senza considerazione alcuna per la loro sostenibilità nel lungo periodo, hanno generato una dinamica speculativa esclusivamente tesa a generare spazio – fisico e simbolico – alla macchina turistica, con conseguenti danni epocali e forse irreparabili al tessuto socio-culturale della città.
Per comprendere la portata di questo fenomeno basta citare i dati rilevati dal Centro Studi Turistici Firenze nel suo report annuale. Si calcola, infatti, che nel solo anno 2018 vi siano stati ben 5,3 milioni di arrivi e poco meno di 15,5 milioni di presenze. In tale contesto, a trarre maggiore vantaggio sono stati gli esercizi extralberghieri, che hanno registrato un aumento delle presenze domestiche pari al 56,7%.
Una simile mole di presenze è pensabile solo se prima si è fatto letteralmente il vuoto necessario a contenerla. Con un movimento progressivo a cerchi concentrici l’imporsi del modello ‘città-vetrina’ ha, in primis, interessato il cuore storico della città, spogliandolo di tutto ciò che non risultava coerente con tale progetto. Botteghe artigiane (un tempo preziosa e vivace realtà produttiva locale) ma non solo: interi quartieri – fino a qualche decennio fa abitati da una cittadinanza stratificata e socialmente quanto economicamente eterogenea – scomparsi per far posto all’industria turistica. E poi alberghi ma anche e sempre di più appartamenti sfitti, tenuti vuoti per fini speculativi e altri ancora (si parla di circa 4.500 sulla piattaforma Airbnb) riconvertiti ad affitti di brevissimo termine, dunque sottratti alle necessità di una città sempre più in crisi abitativa. Un movimento che oggi – conclusasi la spoliazione del centro – vede sempre più coinvolti i quartieri un tempo considerati periferici e che oggi si vedono al centro di nuove e ancora più esplicite speculazioni. Operazioni da milioni di euro, avvallate e anzi incoraggiate dai centri di potere politico cittadini, hanno visto il panorama delle aree più popolari della città costellarsi di enormi palazzine, ostelli, beni demaniali riconvertiti ad appartamenti di lusso (si pensi al caso Manifattura Tabacchi) e soprattutto studentati, ancora una volta pensati per una clientela “di lusso” che non potrà che portare gentrificazione sulle stesse fasce di popolazione che già furono cacciate dai quartieri storici del centro cittadino.
Per comprendere gli effetti degenerativi che i processi di gentrificazione hanno prodotto nel corso degli ultimi decenni è necessario osservare il loro dispiegarsi orientando il ragionamento verso un’analisi strutturale. A questo proposito, Firenze non può essere osservata come una realtà piatta, coerente, priva di distinzioni al suo interno. È infatti indubbia la natura rivoluzionaria dei cambiamenti intervenuti negli ultimi decenni. Si tratta di trasformazioni che la narrazione ufficiale ama raccontare in termini di progresso, prosperità e “rinascimento” ma che, dietro la facciata “instagrammabile” della città “smart”, nascondono una realtà fatta di rapace messa a profitto di beni e spazi comuni, di una bieca corsa alla speculazione che non può che colpire duramente le parti più fragili della popolazione.
In questa cornice, se il modello economico prevalente individua nella corsa al profitto ad ogni costo il motivo della sua stessa esistenza, ne consegue che vi saranno aree che beneficeranno di tale corsa e altre che ne verranno escluse.
La frattura che si inserisce tra tali due segmenti è ciò che non rende credibile la visione che viene propagandata dalla narrazione dominante. Quella, cioè, che si ostina a presentare Firenze come un campo di sperimentazione economico inedito capace di rivoluzionare l’industria turistica.
La realtà racconta il contrario. Gli effetti benefici di questo paradigma economico non hanno mai fatto la propria comparsa. Anzi, essi sono stati accompagnati da povertà, disparità sociali, esodi dei residenti del centro storico verso le aree periferiche.
Perché Firenze non si esaurisce soltanto nel centro storico. La sua identità si spinge oltre quei confini. Firenze, quella popolare, è stata relegata ai margini della città vetrina preconfezionata dal mercato turistico. Essa si spinge verso Novoli, Rifredi, Gavinana, Isolotto e tutti i quartieri popolari che riescono ad ospitare l’esodo generato dalla turistificazione.