Moltitudine: gran quantità, gran numero di persone, animali o cose, riuniti insieme. Anche, insieme di persone unite da una caratteristica comune e considerate nel loro complesso.
È “Moltitudini” il tema scelto per Bookpride Milano 2022, la fiera dell’editoria indipendente che si è tenuta presso lo Studio Maxi di Via Moncucco dal 4 al 6 marzo scorsi.
Moltitudini di pensieri, di visioni del mondo, di “persone, di competenze, di affetti, di istanze” come scrive nell’editoriale Isabella Ferretti, presidente di Book Pride.
Una scelta importante, che arriva dopo la lunga pausa forzata della pandemia dove, se da un lato sono aumentati esponenzialmente i contatti a distanza, mediati dai mezzi informatici e di comunicazione, dall’altro moltǝ di noi si sono ritrovatǝ atomizzatǝ, chiusǝ in una solitudine che non è solo assenza fisica ma anche mancanza di scambi intellettuali e culturali.
La moltitudine può essere vista come il contrario della solitudine. L’esperienza di Book Pride ci spinge a ripensarci insieme, a ripartire dalla collettività, a ritrovare l’essenza vera della società e della comunità, a “condividere vita, lotte e obiettivi comuni”, per citare le parole di Benedetta Argentieri durante la presentazione del libro Jin, Jiyan, Azadî edito da Tamu Edizioni.
Il racconto della rivoluzione delle donne in Kurdistan ci porta, nella traduzione italiana a cura di alcune compagne del comitato italiano di Jineoloji, una voce femminile e plurale per ricostruire a 360° il pensiero e l’esperienza della rivoluzione. Esperienza fortemente caratterizzata dalla dimensione comunitaria e della sorellanza. Per le donne curde l’autodeterminazione passa attraverso la costruzione di rapporti profondi di cura, di rispetto e di sostegno verso le compagne.
Il principio dell’Evalti, tradotto nel libro come compagnerismo, accompagna e fonda fin dagli inizi l’esperienza della rivoluzione curda.
Evalti è l’amore profondo verso un altrǝ con cui si condivide un fine e una lotta che è collettiva. E questa collettività è legata a doppio filo aglǝ individuǝ che la compongono, non come strumento di oppressione o un luogo in cui l’individualità scompare, ma come spazio di rafforzamento reciproco.
“L’individuo e la società sono idee differenti ma, unite, devono creare qualcosa che le rafforzi in egual maniera. […] Tesi e antitesi non si scontrano ma si sommano, contribuiscono l’una all’altra e si arricchiscono per raggiungere una sintesi, risultato di entrambe” (Jin, Jiyan, Azadî, p.27).
La costruzione di questa collettività fondata su relazioni di fiducia e amicizia profonda passa necessariamente dalla messa in discussione di aspetti che fanno parte del nostro retaggio culturale, dall’ascolto dellǝ compagnǝ per poter crescere insieme.
La moltitudine, si legge in apertura, è un insieme di persone unite da una caratteristica comune. Questa definizione non deve farci però perdere di vista un altro aspetto fondamentale: quello della diversità. La moltitudine non è quasi mai omogenea, e la consapevolezza di questa eterogeneità deve portare necessariamente una riflessione sull’inclusione alla quale dobbiamo giungere sia attraverso cambiamenti strutturali che attraverso le pratiche quotidiane più semplici, come ad esempio il linguaggio.
E di linguaggio e narrazioni inclusive si è parlato moltissimo a Book Pride, iniziando dall’evento-dedica a bell hooks che ha visto la partecipazione di cinque autrici di spicco del panorama nazionale: Giusi Marchetta, Djarah Kan, Caterina Serra, Nadeesha Uyangoda e Ana Maria Pedroso Guerrero.
Djara Kan ha aperto la discussione problematizzando il tema della scrittura migrante, due termini contrapposti dal momento che se da un lato il termine “migrante” rende l’idea di un moto perpetuo che non si ferma mai, dall’altro la scrittura è qualcosa che resta, spesso radicata in un contesto geografico e culturale.
Questo atto dello stare, che è profondamente letterario e che parte dall’occupazione dello spazio per costruirci intorno qualcosa, siano relazioni o significati, può essere un atto compiuto al margine che diventa allora luogo di lotta e di resistenza.
Come scrive la stessa bell hooks nel saggio Elogio del margine: “A volte, casa è in nessun luogo. A volte si conoscono soltanto alienazione ed estraniazione. Allora casa non è più un solo luogo. È tante posizioni. Casa è quello spazio che rende possibili e favorisce prospettive diverse e in continuo cambiamento, uno spazio in cui si scoprono nuovi modi di vedere la realtà, le frontiere della differenza. Sperimentare e accettare dispersione e frammentazione come fasi della costruzione di un nuovo ordine mondiale che riveli appieno dove siamo e chi possiamo diventare, e che non costringa a dimenticare. […] Le nostre vite dipendono dalla nostra capacità di concettualizzare alternative, spesso improvvisando. È compito di una pratica culturale radicale teorizzare su questa esperienza in una prospettiva estetica e critica. Per me questo spazio di apertura radicale è il margine, il bordo, là dove la profondità è assoluta. Trovare casa in questo spazio è difficile, ma necessario. Non è un luogo «sicuro». Si è costantemente in pericolo. Si ha bisogno di una comunità capace di fare resistenza.”
La resistenza può essere messa in atto in molti modi e con molti strumenti. Uno di questi, come accennavo prima, è sicuramente il linguaggio. La lingua crea il mondo e influenza il nostro modo di vederlo; ciò di cui non parliamo finisce per non esistere, sprofondato nel silenzio e nell’oblio.
Il linguaggio è dunque uno strumento potente che può diventare (e a lungo lo è stato) luogo di oppressione oppure di lotta e resistenza.
Lo ha sottolineato Nadeesha Uyangoda riprendendo le parole di Toni Morrison, durante il discorso per il premio Nobel: “Il linguaggio oppressivo fa qualcosa di più che rappresentare la violenza; è la violenza; fa qualcosa di più che rappresentare i limiti della conoscenza; limita la conoscenza. Se è il linguaggio che offusca lo stato o il falso linguaggio dei media stupidi; se è l’orgoglioso ma imbalsamato linguaggio dell’accademia o il comodo linguaggio della scienza; se è il linguaggio maligno della legge senza etica, o il linguaggio fatto apposta per discriminare le minoranze, nascondere il suo razzistico saccheggio nella sua sfrontatezza letteraria – esso deve essere rifiutato, modificato e palesato. È il linguaggio che beve sangue, che piega le vulnerabilità, che nasconde i suoi stivali fascisti sotto crinoline di rispettabilità e patriottismo e si muove in fretta e furia verso la linea inferiore e verso le menti inferiori. Linguaggio sessista, linguaggio razzista, linguaggio teistico – tutti sono linguaggi tipici della politica del dominio, e non possono, non permettono nuove conoscenze né incoraggiano il mutuo scambio di idee.”
Uyangoda ribadisce che la lingua dell’oppressore, la lingua che spinge le minoranze ai margini deve essere rifiutata o, quando questo non è possibile, risignificata a partire dalle esperienze deglƏ oppressƏ.
Un esempio è la lingua deglƏ afroamericanƏ, una lingua nuova, contaminata, che deriva proprio da questo atto di riappropriazione del mezzo espressivo.
La lingua e il linguaggio sono due temi fondamentali per chi si occupa di comunicazione, di scrittura e di editoria.
In Italia il dibattito è fermo allo scontro aspro tra chi tenta di proporre un modo di parlare e di scrivere che sia il più inclusivo possibile e chi si oppone a questi tentativi, gli strenui sostenitori dell’italiano duro e puro e i fermi oppositori di una presunta “lingua orwelliana” che verrebbe calata dall’alto e creerebbe distorsioni e perversioni sociali non meglio identificate.
Esistono però realtà editoriali che si sono spinte avanti nel discorso, compiendo il salto coraggioso di adottare tecniche di linguaggio inclusivo nelle loro pubblicazioni.
E il caso di Effequ, che non a caso ha pubblicato il saggio Femminili singolari della sociolinguista Vera Gheno, che per prima in Italia ha adottato come linea editoriale l’utilizzo dello shwa (Ə) al posto del maschile generico. La stessa scelta è stata fatta da Capovolte edizioni a partire dalla pubblicazione del saggio di Grada Kilomba Memorie della piantagione. Episodi di razzismo quotidiano, nel quale la stessa autrice si era interrogata su come rendere il maschile generico nella versione portoghese.
Come ha spiegato Manuela Manera, autrice di La lingua che cambia per Eris Edizioni, all’incontro “Genere sesso e corpi: cambiare il linguaggio, cambiare gli immaginari” quello che si sta facendo non è introdurre elementi estranei nella lingua per rimodellare la realtà, ma è esattamente il contrario. Si tratta di aprire il linguaggio affinché tutte le identità che oggi non trovano parole e narrazioni per nominarsi e raccontarsi vengano finalmente rappresentate.
Sempre nello stesso evento sull’importanza delle rappresentazioni, rispettivamente delle persone LGBTQIA+ e delle persone con corpi non conformi sono tornate anche Antonia Caruso ed Elisa Manici, autrici di LGBTQIA+. Mantenere la complessità e Grass*. Strategie e pensieri per corpi liberi dalla grassofobia.
Un tema trattato anche nel contesto della presentazione del libro La femminilità, una trappola volume di scritti inediti di Simone de Beauvoir pubblicato da L’Orma Editore, durante la quale Federica Frediani e Jennifer Guerra hanno riaffermato la forza delle narrazioni per plasmare il mondo, e di come il mito dell’eterno femminino contribuisca ancora oggi a tenere le donne in una situazione di passività e subordinazione.
Con i suoi 200 eventi che hanno visto coinvoltƏ 470 tra ospiti e autorƏ, con la presenza di circa 150 case editrici indipendenti, una montagna di splendidi libri e il tema “Moltitudini”, Book Pride ci invita a ripensarci insieme, a ripartire da una collettività che mette in discussione qualsiasi visione “centrica”, sia essa androcentrica, eurocentrica, eterocentrica per diventare invece una società multicentrica, interculturale e interetnica basata sull’inclusività e l’inclusione di tutte le soggettività.
Questo comporta la messa in discussione della stabilità granitica delle nostre identità e l’ammettere che anche noi, singoli individui, siamo molteplici e diversƏ al nostro interno, che cambiamo, evolviamo, proprio come la nostra società o il nostro linguaggio.
Questa evoluzione richiede uno sforzo mentale e immaginativo, dobbiamo poter sognare e inventare un mondo diverso. E questo chi può insegnarcelo meglio dei libri e della letteratura?
Tra i libri interessanti presentati a Book Pride sul tema del genere e l’inclusività segnalo:
LGBTQIA+. Mantenere la complessità di Antonia Caruso (Eris edizioni)
Grass*. Strategie e pensieri per corpi liberi dalla grassofobia di Elisa Manici (Eris edizioni)
La lingua che cambia di Manuela Manera (Eris edizioni)
La femminilità, una trappola di Simone de Beauvoir (L’Orma Editore)
Jin, Jiyan, Azadî a cura dell’Istituto Andrea Wolf (Tamu edizioni)
La potenza femminista di Veronica Gago (Capovolte edizioni)
Campo di battaglia di Carolina Capria (Effequ)
Elogio del margine di bell hooks (Tamu edizioni)
Il piacere rimosso. Clitoride e pensiero di Catherine Malabou (Mimesis edizioni)