Nel suo brillantissimo (e spietato) saggio The Trouble with Women, la disegnatrice e umorista Jacky Fleming offre una definizione brutale – quanto perfetta – del posto in cui la memoria collettiva ha messo le donne: “the Dustbin of History”, la Pattumiera della Storia. Ogni tanto qualcuna viene tirata fuori, perlopiù su iniziativa di un’altra donna, ma di base è dentro questo grande secchio dell’indifferenziata che abbiamo gettato le nostre antenate. Artiste, intellettuali (in Italia praticamente tutte tranne Elsa Morante e Natalia Ginzburg) ma anche le nostre nonne e le nostre mamme.
Non c’è da stupirsi, allora, se il tema della memoria torna frequentemente al centro delle opere di registe, sceneggiatrici, scrittrici né che il cuore della narrazione siano spesso le figlie, destinatarie di un’eredità composta di esperienze (più o meno dolorose), conquiste, traumi e perdite.
Inès Cagnati, Elena Ferrante, Nora Ephron, Céline Sciamma sono solo alcune delle autrici che, tanto nei libri quanto al cinema, hanno messo a confronto madri e figlie su ciò che vale la pena ricordare. All’elenco – che sarebbe molto ma molto più lungo di così – si è aggiunta a fine 2023 Paola Cortellesi con il suo esordio da regista, C’è ancora domani, scritto insieme a Furio Andreotti e Giulia Calenda.
Il film (uscito al cinema lo scorso 26 ottobre) racconta la storia di Delia, una donna come tante, che vive nel 1946 in una Roma povera e ancora pattugliata dagli Alleati. Le sue giornate sono lunghissime e si dividono tra lavoretti vari per campare la famiglia, le faccende di casa, la cura dei tre figli, le angherie del gretto suocero Ottorino e le violenze del marito Ivano, il capofamiglia. Ma due eventi arrivano a stravolgere la quotidianità della protagonista, portandola a riflettere sulla propria condizione: la proposta di fidanzamento di Giulio, ragazzo di buona famiglia, alla primogenita Marcella e l’arrivo di una lettera misteriosa, indirizzata niente meno che alla stessa Delia.
C’è ancora domani ci ha costretto tutti e tutte a riflettere sul posto che le donne hanno occupato nella Storia. E lo ha fatto in modo dirompente, occupando tantissimo spazio: il film è arrivato a sfiorare i 28 milioni di euro, superando Oppenheimer e posizionandosi appena dietro Barbie tra i maggiori incassi del 2023.
Il successo oggettivo del film di Cortellesi dovrebbe rendere felice chiunque – del resto, è bene ricordarlo, fa bene a tutta l’industria cinematografica italiana – e invece è partita la consueta operazione di screditamento a cura dei soliti noti “critici” (ormai, va detto, la delegittimazione nei confronti delle autrici è talmente uno schema fisso che ha finito per annoiare). Ben più interessante è considerare le recensioni negative di chi si è dato pena di argomentare: perlopiù i detrattori giudicano il film di Cortellesi didascalico ed elementare, ritengono che cavalchi una tendenza e racconti una trama già sentita. Curioso perché, invece, chi ha apprezzato C’è ancora domani si trova a lodarne proprio l’originale esercizio di memoria e il recupero di vicende non poi così note all’interno della grande Storia. I gusti sono gusti, per carità, ma non è singolare questo spectatorial gap? C’è chi snobba il film di Cortellesi, pop e ruffiano, e chi lo considera una visione fondamentale.
«Perché conta così tanto la scelta di chi considerare memorabile? La domanda è spesso sembrata inutile, soprattutto a chi appartiene alla metà di umanità che ha occupato spazio da sempre», ricorda Daniela Brogi nel suo saggio Lo spazio delle donne (Einaudi, 2022) e basterebbe fermarsi qui per comprendere come mai l’interesse nei confronti del film di Paola Cortellesi non sia uniforme. Per rendersi conto che la Pattumiera della Storia è piena occorre guardarci dentro, mentre è evidente che per secoli nessuno ha mai dato nemmeno una sbirciatina al bidone.
Se è vero che il film di Cortellesi ci mostra una storia trita e ritrita, allora dovremmo tutti e tutte sapere che fino alla riforma del Diritto di famiglia del 1975 non esisteva eguaglianza tra i coniugi né condivisione della responsabilità (allora detta “potestà”) genitoriale: nel ’46, ai tempi in cui è ambientato C’è ancora domani, era dunque perfettamente legittimo che il capofamiglia amministrasse da solo il denaro guadagnato da chiunque in casa o decidesse chi tra i figli potesse proseguire gli studi. A dire il vero, tecnicamente, la prole nemmeno apparteneva alla madre ma solo al padre; ciò era valido anche prima che i bambini nascessero: fino alla legge del 22 maggio 1978, che ha reso l’aborto legale, la donna non possedeva il proprio corpo ed era prevista la nomina di un “curatore del ventre” nel caso in cui il marito morisse mentre la moglie era incinta.
Se davvero il film di Cortellesi fosse la solita storia, saremmo perfettamente coscienti che lo “ius corrigendi”, articolo 571 del Codice penale, fatto decadere solo nel 1956 dalla Corte di Cassazione, autorizzava i padri all’uso della violenza su moglie e figli. Sapremmo anche che era praticamente impossibile denunciare un’aggressione sessuale dentro il matrimonio, visto che fino al 1996 lo stupro non era reato contro la persona ma solo contro la morale.
Quella concessa alla popolazione femminile è stata una «mezza cittadinanza» (brillante definizione della giornalista e storica Valeria Palumbo in Non per me sola, Laterza, 2020) resa concreta da leggi come l’autorizzazione maritale, abrogata solo nel 1919; dal suffragio ottenuto circa trent’anni dopo gli uomini, nel 1946; dal divieto di divorzio esistente fino al 1970.
Come Delia, la protagonista del film di Paola Cortellesi, le donne sono state private dell’istruzione, sfruttate nel lavoro di cura quanto nelle professioni fuori casa, sottomesse ai padri e ai mariti, considerate delle eterne minorenni.
Eppure nel 1901 si contavano in Italia già 37mila maestre (contro 19mila colleghi maschi) responsabili dell’educazione di un Paese al 56% analfabeta. Nel 1903 le sarte a domicilio erano 70mila e le operaie costituivano il 39% della forza lavoro industriale; nel 1936 in 570 mila lavoravano come domestiche in città. Durante la Seconda Guerra Mondiale sono state 35mila le partigiane riconosciute e 4600 le donne arrestate, torturate e imprigionate. Tra marzo e novembre del 1946 circa 13 milioni di italiane hanno votato alle elezioni amministrative e duemila sono state elette ai Consigli Comunali. L’89% delle aventi diritto ha partecipato al Referendum del 2 giugno, portando alla vittoria della Repubblica, e tra 556 deputati, 21 donne sono state elette nell’Assemblea costituente.
Ritenute incapaci di possedere beni e di amministrare denaro, di decidere l’educazione dei figli, di completare gli studi e svolgere il lavoro desiderato con retribuzione pari a quella maschile, di partecipare alla vita politica e culturale, le donne hanno ugualmente fatto l’Italia. Come ci siano riuscite, è materiale per il prossimo film di Cortellesi: del resto, c’è così tanta roba nella Pattumiera della Storia da riempire sale cinematografiche per i prossimi cento anni.