La colonna destra di molti giornali mainstream, per la verità ora si è spostata fra gli stessi articoli in pagina, è il regno dell’acchiappaclick. Capre che cantano, criceti, scoiattoli e articoletti su: fa male essere leccat@ dal cane? Q Code risponde con consigli di lettura o comunque di visione e svago di genere diverso, ma non certo meno interessanti!
Buona lettura
Viviamo tempi interessanti e per quanto mi riguarda anche parecchio cupi. Ho faticato non poco a trovare l’ispirazione per questa Colonna Destra, tanto più che non ho potuto nemmeno scopiazzare da colleghi e colleghe della redazione.
Comincio quindi con un libro che ho letto diversi anni fa, non era ancora l’era COVID-19, ma le premesse di queste macerie si intravedevano già con chiarezza. Sto parlando de Il mondo di ieri. Ricordi di un europeo di Stefan Zweig, forse una delle sue opere più famose. Opera autobiografica, pubblicata postuma (Zweig, ebreo, si suicidò nel 1942), offre un affresco storico e sociale dei decenni a cavallo tra Ottocento e Novecento. Forse uno dei racconti più delicatamente potenti dell’ascesa del nazifascismo e dei nazionalismi. Leggerlo ora può risultare indubbiamente angosciante.
Per dare invece fastidio ai benpensanti (l’uso del maschile è deliberato), consiglio un’opera non ancora pubblicata in italiano, The Capital Order. How Economists Invented Austerity and Paved the Way to Fascism, della storica dell’economia Clara Mattei. Il titolo dice già tutto e lo segnalo perché penso sia importante rileggere quegli anni bui della storia italiana, europea e mondiale ragionando sul fatto che il fascismo sia stato storicamente apprezzato, giustificato e sostenuto dagli ambienti liberali. Lettura imprescindibile per tutti coloro che credono nella destra sociale e nel sacrificio dei diritti come motore di crescita. Magari da accompagnare con qualche podcast di quella miniera d’oro che è RaiPlaySound, come 1922 di Emilio Gentile o La Marcia su Roma di Marcello Flores.
Se il mondo di ieri – che è anche un po’ il mondo di oggi – getta ombre così lugubri, non ci resta che provare a immaginare un mondo di domani diverso. Ottimismo della volontà diceva qualcuno. Mi soffermo quindi su due prodotti culturali che sono sorprendentemente riusciti a mettermi di buon umore quest’anno.
Il primo è un film che non so come avevo completamente mancato nell’anno di uscita (2014), Pride. A me interessa molto la storia del Novecento, eppure ci è voluto questo gioiellino – visto per caso su quella piattaforma fantastica che è MUBI – per scoprire che nel Regno Unito degli anni Ottanta le comunità lesbica e gay sostennero attivamente gli scioperi dei minatori contro il governo Thatcher. Sarà che il film è ambientato nel mio amato Galles, sarà che Andrew Scott mi incanta sempre, sarà che sulla scena finale – avvenuta realmente – mi sono commossa senza ritegno, non posso che dirvi di recuperarlo. Se invece l’avete già visto, parliamone.
Infine, una serie guardata per un bizzarro intreccio di coincidenze (non sono una grande spettatrice di serie e so che qualcuno di mia conoscenza leggendomi ora dirà “ma come, con tutte le lacune che hai, proprio quella ti sei andata a vedere? Sì, la risposta è sì), The Bear. Uno chef pluristellato, Carmy, abbandona la sua brillante carriera per rilevare il sandwich shop del fratello, trovandosi a gestire una cucina di balordi e a mediare tra ambizioni e resistenze al cambiamento. Non saprei come descrivere in maniera accattivante questa storia, perché la trama è molto semplice, ma scava assai profondamente nelle inquietudini dell’essere umano, nei conflitti tra il vecchio (Richie, inetto amico del fratello di Carmy) e il nuovo (Sydney, l’ambiziosa assistente chef), con il personaggio di Carmy in mezzo. Quello che arriva molto bene è il bisogno di essere visti e capiti di cui parla la serie: che sia una cucina o la vita, che sia tramite regole rigide o “alla cazzo di cane” (cit.), quello che desideriamo in fondo è arrivare alla fine della giornata senza troppe incertezze e conti in sospeso.
Chiudo questa Colonna Destra un po’ sgangherata con una nota molto personale e la nuova hit del cantante palestinese Bashar Mourad. La canzone si chiama Xmas Aswad (Black Christmas) e il testo tradotto si dovrebbe trovare online. Una amara restituzione musicale e di spettacolo di un posto per il quale non si può che provare “qualcosa che assomiglia a ridere nel pianto”.
Canticchio questa canzone da giorni sulla strada per il lavoro, per cui mi fa piacere lasciarvela. Oscillando tra frustrazione e volontà di speranza, vi auguro giorni e desideri nuovi. Ma soprattutto, inchallah, possibili.