La colonna destra di molti giornali mainstream, per la verità ora si è spostata fra gli stessi articoli in pagina, è il regno dell’acchiappaclick. Capre che cantano, criceti, scoiattoli e articoletti su: fa male essere leccatio dal cane? Q Code risponde con consigli di lettura o comunque di visione e svago di genere diverso, ma non certo meno interessanti!
Buona lettura
“A morire della stessa fame”. Così un migrante di fine ‘800 sintetizzava quello che era il suo destino, dopo un viaggio che – pensato ai giorni nostri – ha qualcosa di epico. Un’epica che Martin Pollack, con il consueto talento, ha deciso di raccontare nel suo ultimo libro tradotto da Keller, nella ormai mitica collana K, dedicata al giornalismo narrativo.
Pollack concede, come già in altre opere, molto poco alle ‘storie’, in controcanto con quello che notoriamente viene indicato come un ingrediente chiave di un certo tipo di racconto di realtà: partire dalle storie per raccontare il mondo.
Ne L’Imperatore d’America, Pollack sicuramente rende omaggio a sconosciuti contadini della Galizia, la sua Macondo reale, alla quale il giornalista e scrittore austriaco ha già dedicato due libri, ma è l’epopea stessa delle migrazioni da quella remota regione dell’Impero Austro-Ungarico che – nel periodo delle due guerre mondiali – è scomparsa a livello amministrativo, fino all’America, a diventare protagonista.
A fine Ottocento la Galizia è la regione più povera e dimenticata dell’Impero di Vienna, piagata dalla corruzione e gravata dall’anti – semitismo strisciante che, seppur raramente raggiunga i livelli di violenza dei pogrom contro gli ebrei in Russia, è sempre presente. Perché al di là di tutti gi stereotipi, gli ebrei della Galizia sono gli ultimi tra gli ultimi.
All’interno della comunità, questo diventa il terreno ideale per quello che diventerà un traffico di esseri umani, definito così ieri come oggi, immenso, che nel giro di un decennio porterà decine di migliaia di persone verso gli Stati Uniti, il Brasile, l’Argentina.
E le dinamiche, oggi come più di cento anni fa, sono le stesse: si vendono sogni a chi ne ha bisogno, si raccolgono cocci di vita che s’infrangono contro la realtà, che non è mai quella sognata, si avvita alle dinamiche e agli interessi della politica, diventano un lucroso business per gli sfruttatori.
L’anti-semitismo si incrocia a tutto questo processo: ebrei sono i migranti, ebrei sono i mediatori – spesso truffatori – ebrei sono coloro che organizzano i viaggi e i dirigenti delle grandi compagnie tedesche che gestiscono le linee dei piroscafi. Ebrei son le vittime e i carnefici, gli sfruttati e gli sfruttatori. E questo finisce per alimentate un anti-semitismo che si nutre della negazione fondante: si delinque e si emigra perché, a causa della discriminazione, si vive una vita agra.
Ma giornali, politici e poliziotti non vanno per il sottile: sono ebrei e delinquono per quello, pur quando i primi grandi processi contro i ‘trafficanti’ inchiodano alle loro responsabilità decine di sfruttatori che ebrei non sono.
E poi il dramma nel dramma: quello del racket delle giovani ragazze vendute ai bordelli di Buenos Aires, Istanbul, Cairo. In una società che Pollack è maestro nel raccontare per come era, estremamente globalizzata, come mai potremmo immaginare.
L’autore è maestro nei reportage nel tempo, che riesce a scrivere – dopo monumentali lavori di ricerca in archivio – in un eterno presente, con la capacità di narrare con la grammatica della modernità fatti e personaggi (e luoghi) lontanissimi nello spazio e nel tempo.
Proprio l’attualità dei temi e delle dinamiche connesse alle migrazioni è l’ingrediente chiave che rende attuale ed eterna una storia della fine dell’800, con lo stesso dolore e la stessa fame, con i piroscafi al posto dei barconi.
Un reportage dal passato che racconta quello e il nostro tempo, all’unisono, seguendo le tracce degli ultimi, ieri come oggi, costretti a partire da una vita senza sogni.