Liberiamo Gkn: racconto del 25 marzo

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È il numero di persone scese in piazza sabato per difendere la Gkn: una chiamata nazionale che ha riscontrato ampia mobilitazione da parte di diversi settori della società. Una reazione che, contraddicendo l’indifferenza che caratterizza la società in cui viviamo, ha saputo articolarsi lungo le strade di Firenze durante l’ultimo sabato di marzo.

C’è una caratteristica che ha sempre contraddistinto le mobilitazioni del collettivo di fabbrica Gkn: la capacità di unire le rivendicazioni dei diversi settori di movimento in virtù del principio di convergenza delle lotte.

La volontà di creare piattaforme ampie e inclusive è il comune denominatore che permette alla vertenza Gkn di uscire dal perimetro dello stabilimento di Campi Bisenzio al fine di proiettarsi su un terreno politico di respiro nazionale.
Basti pensare alla grande manifestazione dello scorso ottobre a Bologna, la cui piattaforma mobilitativa scritta con Friday For Future e altri segmenti del mondo ecologista era incentrata sulle lotte ambientali, o alla partecipazione del Collettivo al corteo dell’8 marzo.

Foto di Sofia Bani

Questa volta il focus era mirato sul mondo del lavoro. O meglio, sul logoramento e sul peggioramento delle condizioni lavorative. Questione, quest’ultima, che gli operai della Gkn conoscono bene, essendo protagonisti di uno dei più grandi soprusi ai danni della classe lavoratrice di questi anni. 

Come affermato da Dario Salvetti, portavoce del collettivo, durante un’assemblea organizzativa solidale pochi giorni prima del corteo: “È un attacco al sindacato. Ben peggiore di ciò che fece Marchionne quando fece saltare il contratto nazionale alla Fiat. È per questo importante che ad aprire il corteo, dopo la testuggine operaia, vi siano i sindacati“.

Ad aprire il corteo è quindi la classe lavoratrice. Le centinaia di operai licenziati con una mail oggi si riprendono i loro spazi e sfilano nella loro città, dando voce alla rabbia che, nonostante due anni di lotta, è rimasta viva. Alla testa del corteo marciano uniti con le loro famiglie e i loro figli.

A seguire ci sono le realtà sindacali. Molte delle quali appartenenti al mondo del sindacalismo di base. Le loro parole d’ordine sono chiare: basta precarietà, esternalizzazioni, licenziamenti. Rivendicano un salario minimo, l’abbassamento dell’età pensionabile, aumento dei salari e abbassamento delle ore lavorative. Scarsa presenza della CGIL. Fattore, questo, che risulta ironico. Ancora una volta abbiamo assistito ad un imbarazzo dovuto alla presenza marginale del sindacato che ha la maggioranza nella fabbrica.

Foto di Sofia Bani
Foto di Sofia Bani

Sono molteplici gli interventi che si susseguono durante il corteo: precari, vertenze locali e nazionali, collettivi femministi, partiti e realtà politiche. Coerentemente col motto, più volte evidenziato, “per questo, per altro, per tutto”.

Tra gli interventi maggiormente significativi che il collettivo di fabbrica ha ospitato vi sono realtà che testimoniano la capacità di questa lotta di porsi, come essa stessa si identifica, come classe dirigente.

Ci sono i lavoratori portuali del CALP di Genova e i disoccupati organizzati di Napoli. Coloro, cioè, che pochi giorni fa, durante le mobilitazioni in difesa del reddito di cittadinanza, hanno sperimentato sulla propria pelle il volto più crudo della repressione delle forze dell’ordine. E la loro voce si espande durante il tragitto: “Il RdC non è una paghetta. È uno strumento di solidarietà sociale, che contrasta il lavoro nero e dà il diritto di rinunciare a lavori e paghe di merda“.

C’è un intervento studentesco che evidenzia come  le condizioni di precarietà della classe operaia debbano necessariamente intrecciarsi con quelle degli studenti, anch’essi destinatari degli attacchi all’istruzione pubblica.

La piazza del 25 non è stata solo una piazza operaia. È stata una piazza di dignità.

Un’occasione in cui è stato possibile dimostrare che un nuovo mondo è possibile. La creazione di un’alternativa di sistema non è solo auspicabile, è anzi necessaria.

Foto di Sofia Bani